Svolgimento del processo
1. Con decreto del 27 luglio 2020, n. 6041, reso nel procedimento n.r.g. 16468/2019, il Tribunale di Roma, richiestone da M. ed E. M. B., in qualità di figli di G. B., detto L., nominò l’Avv. L. V. amministratore di sostegno di quest’ultimo, impossibilitato a curare autonomamente i propri interessi, soprattutto economici.
2. Il 6 agosto 2021 l’Ufficiale di Stato Civile del Comune di Roma, Municipio XV, richiestone da F. L., alias F. D. , anche per l’amministrato sulla base di una procura speciale, datata 5 agosto 2021, da lui rilasciatale, effettuò le pubblicazioni relative al loro matrimonio.
2.1. L’amministratore di sostegno, tuttavia, a ciò autorizzato dal giudice tutelare, si oppose alla celebrazione di detto matrimonio ed il relativo procedimento fu iscritto al n.r.g. 14165/2021 del Tribunale di Roma, nel quale intervennero volontariamente M. ed E. M. B., associandosi alla richiesta di sospensione della celebrazione del matrimonio medesimo, e si costituì F. L., sostenendo la correttezza dell’iter intrapreso con le pubblicazioni di matrimonio ed evidenziando l’effettiva volontà di contrarre matrimonio dell’amministrato, definito il proprio compagno di vita dal 2016.
2.2. Nelle more di questo secondo procedimento, a seguito della richiesta di promuovere giudizio di interdizione nei confronti del padre avanzata da M. E. B. il 30 agosto 2021, nonché dei pareri espressi dall’amministratore di sostegno, il 13 settembre 2021, e dal Pubblico Ministero, il 16 settembre 2021, che, anche sulla base delle relazioni mediche del 5 agosto 2021, erano concordi nel richiedere l’estensione all’amministrato del divieto di contrarre matrimonio previsto per l’interdetto o l’inabilitato, il Giudice Tutelare, nell’ambito del procedimento n.r.g. 16468/2019 (connesso con quello incardinato per l’annullamento della celebrazione del matrimonio n.r.g. 14165/2021), con decreto immediatamente efficace del 19 settembre 2021 dispose, ad integrazione del provvedimento di apertura dell’amministrazione di sostegno, il divieto per l’amministrato G. B. di contrarre matrimonio, rilevando che il beneficiario non era in grado di determinarsi liberamente, né di comprendere gli effetti giuridici ed economici derivanti dalla sottoscrizione di un vincolo matrimoniale.
3. Il reclamo promosso contro questo decreto da F. L., quale parte interessata alla celebrazione del matrimonio con il beneficiario, fu dichiarato inammissibile dalla Corte di appello di Roma con decreto del 17 ottobre 2022, reso nel contraddittorio con M. ed E. M. B., con l’Avv. L. V., nella indicata qualità, e con l’intervento del Procuratore Generale della Repubblica presso quella corte.
3.1. Il giudice a quo opinò che «La reclamante, che non è stata parte in primo grado, non è legittimata ad impugnare in appello i provvedimenti adottati nel corso della procedura, alla quale è rimasta estranea. L’art. 417 c.c., richiamato dall’art. 406 c.c., elenca i soggetti legittimati a promuovere l’azione per la nomina dell’amministratore di sostegno, che ove esistenti devono anche essere sentiti dal giudice tutelare: oltre al pubblico ministero, al tutore e al curatore, la norma indica i parenti entro il quarto grado e gli affini entro il secondo, il coniuge e, a seguito della legge istitutiva dell’amministrazione di sostegno, anche la “persona stabilmente convivente”. Con il provvedimento emesso in data 8/11/2021 nella procedura RGVG 16468/2019 il giudice tutelare ha dichiarato non luogo a provvedere sull’istanza di autorizzazione ad intervenire in giudizio avanzata dal procuratore di F. L. al fine di chiedere la revoca della limitazione del diritto di contrarre matrimonio dell’amministrato, rilevando che la stessa non riveste alcuna delle qualità sopra indicate. Avverso tale decisione – il cui contenuto sostanziale è l’affermazione dell’insussistenza della legittimazione dell’istante – non risulta sia stata proposta impugnazione. Nel procedimento RGVG 16468/2019, peraltro, B. è presente anche con un proprio difensore, che, benché legittimato (Sez. 1, n. 5380/2020), non ha impugnato il provvedimento del 19/9/2021 che, pure, ha inciso su di un suo diritto personalissimo. Non è dunque ipotizzabile in questa sede neppure un intervento adesivo della reclamante ai sensi dell’art. 105 c. 2 c.p.c.». Osservò, infine, che «le parti sono concordi nel riferire che la reclamante ha conosciuto l’amministrato, vedovo dal 2010, nel 2016; la suddetta, nei propri atti, non ha mai addotto di avere convissuto con il B., e non ha contestato quanto riferito dalle altre parti circa la sua mancata disponibilità delle chiavi dell’appartamento dell’amministrato. Ascoltato dal giudice tutelare, B. ha riferito che dopo due mesi che si erano conosciuti egli e la reclamante si erano innamorati, che lei era molto bella e che talvolta andavano insieme al ristorante. Per accertare che la relazione sentimentale non ha, dunque, mai rivestito i caratteri della stabile convivenza non occorre procedere ad istruttoria, essendo tale dato incontestato (F. L. ha peraltro rinunciato a comparire innanzi al giudice tutelare che la aveva convocata per l’udienza del 7/10/2021). Stante il difetto di legittimazione attiva della reclamante, l’impugnazione deve, dunque, essere dichiarata inammissibile. Alla pronuncia consegue la condanna alla rifusione delle spese di lite, che vengono liquidate in dispositivo secondo tariffe».
4. Per la cassazione di questo decreto ha proposto ricorso F. L., alias F. D. , affidandosi a quattro motivi, illustrati anche da memoria ex art. 380-bis.1 cod. proc. civ.. Nessuno dei destinatari della notificazione di tale atto (M. ed E. M. B.; l’Avv. L. V., nella indicata qualità; il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di appello di Roma) ha svolto tempestive difese in questa sede, ma M. B., solo in vista della fissata adunanza camerale, ha depositato una propria memoria illustrativa.
Motivi della decisione
1. Rileva, preliminarmente, il Collegio che la memoria depositata da M. B., non costituitosi ritualmente e tempestivamente mediante deposito di controricorso, deve considerarsi inammissibile.
1.1. Invero, attesa la qui condivisa Cass. n. 4049 del 2023, «la parte contro la quale il ricorso è diretto, se intende contraddirvi, deve farlo mediante controricorso contenente, ai sensi dell'art. 366 cod. proc. civ. (richiamato dall'art. 370, comma secondo, stesso codice), l'esposizione delle ragioni atte a dimostrare l'infondatezza delle censure mosse alla sentenza impugnata dal ricorrente. In mancanza di tale atto, essa non può presentare memoria ma solamente partecipare alla discussione orale (v. Cass. n. 11160 del 11/06/2004, che per tale motivo ha dichiarato inammissibile un «atto di Cost.» dell'intimato non contenente alcuna replica ai motivi del ricorso; v. anche Cass. n. 6222 del 20/04/2012)». Nello stesso senso, si veda anche, in motivazione, Cass. n. 34791 del 2021, secondo cui «giusta orientamento consolidato nella giurisprudenza di legittimità, ai sensi 370, comma 1, c.p.c., alla parte contro la quale è diretto il ricorso, la quale non abbia depositato il controricorso (situazione cui deve equipararsi quella in cui come nella specie trattisi di atto non qualificabile come tale, in quanto privo dei relativi requisiti essenziali), nel periodo che va dalla scadenza del termine per la proposizione del controricorso alla data fissata per la discussione del ricorso per cassazione è preclusa qualsiasi attività processuale, sia essa diretta alla costituzione in giudizio -anche se soltanto ai fini della partecipazione alla discussione orale- o alla produzione di documenti e memorie ai sensi degli artt. 372 e 378 c.p.c. (v. Cass., Sez. Un., 11/4/1981, n. 2114; Cass., 28/5/1980, n. 3513; Cass., 9/8/1962, n. 2486)».
1.2. Ancor più specificamente, giusta Cass. n. 17030 del 2021, (cfr. in motivazione), anche nell'ambito del procedimento camerale di cui all'art. 380 bis.1 cod. proc. civ. – introdotto dall'art. 1-bis del d.l. n. 168 del 2016, convertito con modificazioni dalla L. n. 196 del 2016 –, alla parte contro cui è diretto il ricorso che non abbia depositato un atto qualificabile come controricorso, «nel periodo che va dalla scadenza del termine per il deposito del controricorso alla data fissata per la discussione del ricorso per cassazione è preclusa, pertanto, qualsiasi attività processuale, sia essa diretta alla costituzione in giudizio o alla produzione di documenti e memorie ai sensi degli artt. 372 e 378 cod. proc. civ. (cfr. Cass. n. 8056/2021; Cass. n. 10813/2019; Cass. n. 9601/2021; Cass., 25/09/2012, n. 16261; Cass., 09/03/2011, n. 5586). In conclusione, la parte […] non è legittimata neppure, come nel caso in esame, a depositare memorie illustrative (cfr. Cass. nn. 10813/2019, 24422/2018, 25735/2014), sulla base del principio affermato con riferimento alla trattazione della causa in pubblica udienza, ma che deve essere esteso anche al procedimento in camera di consiglio di cui all'art. 380 bis.1 c.p.c., introdotto dal DL 31 agosto 2016 n. 168 conv. dalla legge 25 ottobre 2016 n. 197 (cfr. anche Cass. n. 26974 del 2017; Cass. n. 10813/2019; n. 7737/2021; n. 7738/2021)».
1.3. In contrario, nemmeno può invocarsi, come, invece, ha fatto M. B., il Protocollo d’Intesa siglato in data 1 marzo 2023 dalla Corte di cassazione, dalla Procura Generale della Corte di cassazione, dall’Avvocatura Generale dello Stato e dal Consiglio Nazionale Forense, laddove, al § 2.4., esclusivamente per i ricorsi già depositati “alla data del 30 ottobre 2016”, per i quali sia stata fissata successivamente l’adunanza camerale, si è previsto che “l’intimato, che non abbia provveduto a notificare e depositare il controricorso ex art. 370 cod. proc. civ., ma che, in base alla pregressa normativa, avrebbe ancora la possibilità di partecipare alla discussione orale, per sopperire al venir meno di siffatta facoltà può presentare memoria, munita di procura speciale, nei medesimi termini entro i quali può farlo il controricorrente” (cfr. in questo senso, vedasi anche Cass. n. 6592 del 2021). Invero, nella fattispecie oggi all’esame del Collegio, il ricorso di F. L., alias F. D. , lungi dall’essere “già depositato alla data del 30 ottobre 2016”, è stato notificato il 15 novembre 2022, sicché si è assolutamente al di fuori dell’ambito temporale di operatività della disposizione appena richiamata.
2. Tanto premesso, e posta la sicura ammissibilità dell’odierno ricorso ex art. 111, comma 7, Cost., stante la innegabile decisorietà del provvedimento oggi impugnato (alla stregua di quanto recentemente sancito da Cass., SU, 24 luglio 2023, n. 22048, a tenore della quale, tra l’altro: «(a) l’art. 111, settimo comma, Cost. è garanzia del diritto di chi sia (stato) parte di un procedimento da svolgere in contraddittorio con una parte contrapposta, in funzione dichiarativa di un proprio diritto soggettivo; (b) da ciò resta integrata la garanzia costituzionale del ricorso per cassazione in ordine al provvedimento conclusivo di quel procedimento, qualunque ne sia la forma, secondo il concetto di decisorietà; (c) nelle fattispecie procedimentali soggette al modello camerale, la caratteristica di decisorietà, cui si collega la garanzia costituzionale del ricorso per cassazione per violazione di legge, parimenti attinge la natura sostanziale del provvedimento ove questo sia destinato a decidere su posizioni soggettive contrapposte, ed è integrata dal caso che si tratti di provvedimenti suscettibili di stabilizzazione perché per loro natura non provvisori e non suscettibili di assorbimento in decisioni “altre”: provvedimenti modificabili – sì – ma solo in forza del sopravvenire di circostanze nuove e diverse, secondo i canoni del giudicato cd. allo stato degli atti o, come anche suol dirsi, del giudicato rebus sic stantibus») e la sua non impugnabilità altrimenti, i suoi primi tre formulati motivi denunciano, rispettivamente:
I) «Violazione e falsa applicazione art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c.; violazione e falsa applicazione artt. 102, 120, 406, 417 e 428 c.c.; violazione e falsa applicazione artt. 115, 116 e 132 c.p.c.; violazione e falsa applicazione art. 24 della Costituzione; violazione e falsa applicazione legge n. 06/2004». Si assume che: i) la motivazione del provvedimento impugnato risulta «palesemente contraddittoria ed illegittima, poiché dapprima ritiene legittima l’esclusione della ricorrente nella procedura di nomina dell’Amministratore di Sostegno, in base all’applicazione degli artt. 417 e 406 c.c., salvo poi evidenziare che proprio in merito al diniego dell’intervento (postumo) della dott.ssa L. F. nella indicata procedura, non sia stata opposta alcuna impugnazione. La Corte d’Appello, dunque, non indica neanche quale dei due percorsi processuali avrebbe dovuto seguire la istante e dunque su quale norma si fonderebbe la successiva carenza di legittimazione a promuovere appello avverso il provvedimento di Primo Grado […], appunto impugnato in Corte d’Appello»; ii) «la Corte di Appello di Roma, compie un secondo erroneo ragionamento logico-giuridico, poiché l’impugnato provvedimento reso dalla dott.ssa Fargnoli (titolare del procedimento di amministrazione di sostegno R.G.V.G. 16486/2019), ha definito difatti un giudizio differente, ossia quello recante R.G.V.G. 14165/2021, incardinato innanzi al giudice dott. Vitalone dall’amministratore di sostegno avv. L. V., al quale hanno poi aderito i figli del sig. G. B., ossia M. E. e M. B., teso all’annullamento dell’iter matrimoniale intrapreso dalla odierna ricorrente dott.ssa L. F. ed il compagno G. B.. Tale provvedimento giudiziario lede, dunque, personalissimi ed irrinunciabili diritti ed interessi della odierna ricorrente così legittimandola all’impugnativa in ogni stato e grado di giudizio. A fronte di tale rivendicazione di personali diritti, la presenza dell’odierna ricorrente non si manifesta assolutamente necessaria nel giudizio R.G.V.G. 16486/2019, dunque, il ragionamento della Corte d’Appello non tiene dunque conto e/o stravolge fondamentali fatti giuridici che viziano la decisione finale […]. Alla luce di quanto esposto, la Corte di Appello di Roma, attraverso l’impugnato provvedimento, esclude qualsiasi tipo di tutela giuridica in capo ad un soggetto (odierna ricorrente) che, in tal caso, potrebbe solo subire passivamente provvedimenti giudiziali che ledono la propria sfera di diritti ed interessi irrinunciabili, in piena violazione anche dei Principi Costituzionali di cui all’art. 24»;
II) «Violazione e falsa applicazione art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, in combinato disposto con l’art. 105, comma 2, c.p.c.; violazione e falsa applicazione artt. 102, 120 e 428 c.c.; Violazione e falsa applicazione artt. 115, 116 e 132 c.p.c.; violazione e falsa applicazione art. 24 della Costituzione e legge n. 06/2004». Si contesta il decreto impugnato laddove afferma che «Nel procedimento RGVG 16468/2019, peraltro, B. è presente anche con un proprio difensore, che, benché legittimato […], non ha impugnato il provvedimento del 19/9/2021 che, pure, ha inciso su di un suo diritto personalissimo. Non è dunque ipotizzabile in questa sede neppure un intervento adesivo della reclamante ai sensi dell’art. 105 c. 2 c.p.c.». Vengono reiterate le motivazioni già esposte nel precedente motivo rimarcandosi, da un lato, «la piena legittimazione attiva a ricorrere della dott.ssa L. F., a tutela e protezione di propri diritti ed interessi nel caso di specie collegati alla negazione, mediante provvedimento giudiziario, di poter convolare a nozze con la persona amata»; dall’altro, che «nessuna prova del coinvolgimento del difensore del sig. G. B. è stata resa nel doppio grado di giudizio»;
III) «Violazione e falsa applicazione art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c.; violazione e falsa applicazione artt. 105, comma 2, c.p.c.; violazione o falsa applicazione artt. 102, 120 e 428 c.c.; violazione e falsa applicazione artt. 115, 116 e 132 c.p.c.; violazione e falsa applicazione art. 24 della Costituzione; violazione e falsa applicazione legge n. 06/2004». Si deduce che: i) nel provvedimento impugnato «si palesano ulteriori profili di illegittimità, frutto di unilaterali, illogici ed incoerenti valutazioni dei fatti oggetti di giudizio, utilizzati in modo non obiettivo in danno della ricorrente […]»; ii) il medesimo provvedimento è fondato «sull’adesione alle eccezioni della difesa avversaria, senza che si sia proceduto mai ad una prova testimoniale e né, tantomeno, all’invocato intervento di un CTU medico-legale, che potesse valutare l’effettiva volontà del sig. G. B. in merito alla condivisa volontà di convolare a nozze con la dott.ssa L. F.. Dunque, sia il Giudice di Prime Cure che di Secondo Grado, aderiscono alle prospettazioni dell’Amministratore di Sostegno e dei figli del sig. L. B. senza mai dimostrare o comprovare le unilaterali tesi di loro parte, sulle quali sono state tuttavia fondate due immotivati ed irragionevoli provvedimenti. Non esiste, difatti, alcuna attestazione medico-legale o altro elemento probatorio che possano supportare gli assunti di controparte».
3. Tali doglianze, scrutinabili congiuntamente perché chiaramente connesse, si rivelano insuscettibili di accoglimento alla stregua delle dirimenti considerazioni di cui appresso (nei corrispondenti sensi dovendosi intendere integrata, ex art. 384, ultimo comma, cod. proc. civ., la motivazione del decreto impugnato), pur dandosi atto della morte di G., detto L., B., medio tempore sopravvenuta il 18 dicembre 2022, come riferito dalla stessa ricorrente.
3.1. Giova puntualizzare, innanzitutto, che il provvedimento della cui impugnazione ancora si discute in questa sede ha investito, esclusivamente, il divieto di contrarre matrimonio imposto a G. (detto L.) B. e pronunciato dal giudice tutelare nell’ambito del procedimento n.r.g. 16468/2019 presso il Tribunale di Roma, non anche qualsivoglia altro provvedimento che, nelle more, abbia eventualmente definito pure il diverso (benché connesso al primo) ed autonomo procedimento n.r.g. 14165/2021 instaurato, presso il medesimo tribunale, dall’Avv. L. V., quale amministratore di sostegno del suddetto B., al fine di opporsi alla celebrazione del matrimonio tra quest’ultimo a F. L., alias F. D. , in vista del quale la odierna ricorrente aveva chiesto ed ottenuto dall’Ufficiale dello Stato Civile del Comune di Roma, Municipio XV, le corrispondenti pubblicazioni.
3.2. Fermo quanto precede, osserva il Collegio che, come già condivisibilmente sancito dalla giurisprudenza di legittimità (cfr., ex aliis, Cass. n. 12460 del 2018 e Cass. n. 11536 del 2017, entrambe ribadite dalla più recente Cass. n. 4733 del 2021) il beneficiario dell'amministrazione di sostegno non acquista lo status di incapace e, dunque, non possono essergli applicate tout court le norme limitative previste per l'interdetto (si pensi, specificamente, al divieto di contrarre matrimonio sancito dall’art. 85, comma 1, cod. civ) o l'inabilitato. Di guisa che «tutto ciò che il giudice tutelare, nell'atto di nomina o in successivo provvedimento, non affida all'amministratore di sostegno, in vista della cura complessiva della persona del beneficiario, resta nella completa disponibilità di quest'ultimo» (cfr. Corte cost., sent. 10 maggio 2019, n. 114).
3.2.1. Ciò deriva non solo dalle finalità della legge – di valorizzare le capacità residue e di sostenere, più che limitare –, ma anche dall'intento del legislatore di mantenere volontariamente sfumati i contorni tra capacità ed incapacità di agire, in quanto l'assolutezza di tale dicotomia non appare più adeguata a spiegare le innumerevoli situazioni che conducono all'apertura del procedimento di amministrazione di sostegno.
3.2.2. In definitiva, colui che è sottoposto ad amministrazione di sostegno è pienamente capace in relazione agli atti per i quali non è prevista una specifica incapacità, e la sua condizione giuridica è differenziata da quella dell'interdetto, cosicché ne deve essere tenuta distinta la posizione, salvo nel caso in cui il giudice non compia una valutazione ad hoc in ordine alla necessità di assimilarne la tutela. Dalla considerazione per la quale il beneficiario non è un "incapace" discende, dunque, che non possano essergli applicate in via interpretativa (e, quindi, a prescindere da una valutazione giudiziale) le limitazioni previste dalla legge per tale categoria di soggetti, così come quelle che si riferiscono ad interdetti ed inabilitati. Sempre che non si tratti di norme che disciplinano i rapporti per i quali il beneficiario, nel decreto, ha subito una specifica limitazione e relativamente ai quali è, dunque, incapace; queste ultime trovano senz'altro applicazione nell'ambito dell'amministrazione di sostegno anche indipendentemente da uno specifico richiamo nel decreto.
3.3. Questa Corte, poi, ha già opinato (cfr. Cass. n. 11536 del 2017; Cass. n. 18634 del 2012) che, «in ragione delle significative differenze che intercorrono tra l'amministrazione di sostegno (diretta a valorizzare le residue capacità del soggetto debole) e l'interdizione (volta a limitare la sfera d'azione di quel soggetto in relazione all'esigenza di salvaguardia del suo patrimonio nell'interesse dei suoi familiari), il divieto di contrarre matrimonio, previsto dall'art. 85 c.c. per l'interdetto, non trova generale applicazione nei confronti del beneficiario dell'amministrazione di sostegno ma può essere disposto dal giudice tutelare solo in circostanze di eccezionale gravità, quando sia conforme all'interesse dell'amministrato. In tali casi, il matrimonio contratto da quest'ultimo può essere impugnato da lui stesso ex art. 120 c.c. o dall'amministratore di sostegno ex art. 412, comma 2, c.c., non anche dai terzi ex art. 119 c.c., non potendosi richiamare la disciplina dell'interdizione». Risulta chiaramente affermato, pertanto, il principio che ciascun soggetto, anche il beneficiario di amministratore di sostegno, è titolare del diritto personalissimo di autodeteminarsi con riguardo al proprio matrimonio, sicché l'apertura dell'amministrazione di sostegno e la richiesta di limitare tale diritto non solo si rivelano tra loro legate ma, soprattutto, riguardano profili strettamente inerenti la persona proprio perché direttamente incidenti su suoi diritti fondamentali, in coerenza con i principi fondamentali ed indeclinabili di identità e libertà della persona stessa di cui agli artt. 2 e 13 Cost..
3.3.1. A sua volta, la già citata Cass. n. 4733 del 2021 ha precisato che il diritto di autodeterminarsi con riguardo al proprio matrimonio, «assume il rango di diritto personalissimo ed ogni provvedimento giurisdizionale che vi incida possiede in re ipsa una dimensione decisoria».
3.4. In coerenza con tale affermazione, poi, deve ritenersi che unico soggetto leso da provvedimenti giudiziali che incidano su un tale diritto personalissimo è soltanto il titolare di quest’ultimo: nella specie, quindi, G., detto L., B., non anche l’odierna ricorrente, nemmeno parte peraltro, del procedimento n.r.g. 16468/2019 del Tribunale di Roma (la sua richiesta di intervento ivi risulta essere stata respinta, a tanto dovendosi aggiungere che la stessa, pacificamente, non poteva considerarsi ricompresa tra i soggetti di cui agli artt. 406 e 417 cod. civ., né era stabilmente convivente con il B.), nell’ambito del quale fu pronunciato il decreto del giudice tutelare (appunto di divieto di contrarre matrimonio per l’amministrato B.), poi da lei reclamato innanzi alla corte di appello il cui provvedimento, a sua volta, ha impugnato in questa sede. Di quel procedimento, invece, era parte, doverosamente, proprio G., detto L., B., che, tuttavia, non ha inteso impugnare il divieto predetto, né lo ha fatto l’Avv. L. V., suo amministratore di sostegno.
3.4.1. Neppure può ragionevolmente opinarsi che, malgrado l’innegabile incidenza di questo provvedimento sul diverso ed autonomo (benché connesso) procedimento n.r.g. 14165/2021, di cui, invece, la L., alias D. , era sicuramente parte, ciò la legittimasse alla impugnazione del primo, a ciò ostando, da un lato, la natura personalissima del diritto da questo inciso e, dall’altro, la possibilità della stessa di far valere comunque, nel procedimento da ultimo indicato, ogni eventuale altra sua pretesa derivante dalla mancata celebrazione del matrimonio cui erano finalizzate le pubblicazioni in quella sede contestate dall’Avv. L. V. nella indicata qualità.
4. Il quarto motivo di ricorso, infine, rubricato «Sulla contestazione dello sproporzionato aggravio di spese», lamenta la pretesa abnormità della condanna delle spese inflitta alla reclamante, odierna ricorrente. In particolare, si contesta «uno squilibrio processuale» in danno di quest’ultima posto che gli importi liquidati sono «stati riconosciuti, in egual misura, sia nei confronti dell’Amministratore di Sostegno, che ha proposto giudizio e resistito in via principale, sia nei confronti dei signori E. M. e M. B., intervenuti ad adiuvandum».
4.1. Una tale doglianza si rivela inammissibile ex art. 360-bis, n. 1, cod. proc. civ., atteso che, come ripetutamente chiarito da questa Corte: i) la denuncia di violazione della norma di cui all'art. 91, comma 1, cod. proc. civ., trova ingresso, in questa sede di legittimità, solo quando le spese siano poste a carico della parte integralmente vittoriosa (cfr., ex aliis, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 15697 del 2023; Cass. n. 2984 del 2022; Cass. n. 26912 del 2020; Cass. n. 18128 del 2020), e tanto non è dato cogliere dal motivo all'esame; ii) in tema di liquidazione delle spese processuali ai sensi del d.m. n. 55 del 2014, l'esercizio del potere discrezionale del giudice, contenuto tra il minimo ed il massimo dei parametri previsti, non è soggetto al controllo di legittimità, attenendo pur sempre a parametri indicati tabellarmente (cfr. Cass. n. 14198 del 2022). Nella specie, la censura nemmeno prospetta che la liquidazione della corte distrettuale (correttamente eseguita in favore di ciascuna delle due parti ivi indicati come “reclamati”) abbia superato i massimi previsti dal menzionato d.m.; iii) l'interventore adesivo ha diritto alla rifusione delle spese di lite in caso di soccombenza dell'attore (cfr., ex multis, Cass. n. 1589 del 2022; Cass. n. 1105 del 2006; Cass. n. 18944 del 2003, e via risalendo fino a Cass. n. 500 del 1968, ove già si affermò il principio secondo cui il soccombente è tenuto a pagare all'interventore le spese giudiziali, essendo sufficiente a tal fine la partecipazione dell'interventore al giudizio).
5. In conclusione, dunque, l’odierno ricorso deve essere respinto, senza necessità di pronuncia sulle spese di questo giudizio di legittimità, essendo rimasti solo intimati tutti i destinatari della sua notificazione, altresì dandosi atto, giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020, rv. 657198-06, che, malgrado il tenore della pronuncia adottata, non è dovuto il pagamento di un’ulteriore somma, a titolo di contributo unificato, posto che il giudizio in esame rientra tra quelli per cui, l’art. 10, comma 3, del d.P.R. n. 115 del 2002, ne prevede l’esenzione.
5.1. Va, disposta, infine, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 del d.lgs. n. 196/2003.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Dispone per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 del d.lgs. n. 196/2003. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 26 settembre 2023.