Svolgimento del processo / Motivi della decisione
1. Con ordinanza resa in data 27 gennaio 2023 il Tribunale di Palermo - costituito ai sensi dell'art. 310 cod.proc.pen. - ha respinto l'appello proposto da G. M. C. avverso la decisione emessa dal GIP della medesima sede in data 30 dicembre 2022.
1.1 Tema esclusivo della decisione è rappresentato dalla prospettata applicabilità della particolare disposizione di legge di cui all'art.275 comma 4 cod.proc.pen..
In particolare la difesa del G. ha invocato l'applicazione di tale disposizione (con applicazione della misura meno afflittiva degli arresti domiciliari) in ragione del fatto che G. è padre di una bimba di sei mesi e la madre sarebbe impossibilitata a dare assistenza alla piccola, in quanto impegnata in attività lavorativa.
1.2 Il Tribunale osserva sul punto che:
a) la disposizione in parola indica come condizione tale da rendere necessaria la sostituzione della misura o il decesso della madre o la «assoluta impossibilità» di costei di prestare assistenza alla prole;
b) l'impegno lavorativo della madre non concretizza il presupposto di legge, salvo il caso in cui l'attività lavorativa implichi, in concreto, una impossibilità di esercitare il ruolo genitoriale (come nel caso in cui venga prestata in un luogo diverso e distante da quello di abitazione della prole);
c) inoltre il G. non ha dimostrato l'assenza di altre figure idonee ad assicurare, temporaneamente, la tutela della minore.
2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione - nelle forme di legge - G. M. C., deducendo vizio di motivazione.
2.1 Secondo la difesa il Tribunale non realizza una coerente interpretazione della disposizione di legge. L'orario lavorativo della madre è di otto ore giornaliere e finisce con impedire lo svolgimento dei compiti di tutela della prole.
Si rappresenta, inoltre, la infungibilità del ruolo genitoriale, come attestato in diversi arresti nomofilattici, sicchè non potrebbe essere validamente tutelato lo sviluppo della prole tramite altre figure di riferimento.
L'entità dell'impegno lavorativo della madre rende, in altre parole, sussistente l'assoluta impossibilità indicata dal legislatore nella disposizione invocata.
2.2 All'odierna udienza camerale partecipata la difesa ha prospettato, inoltre, la illegittimità costituzionale della interpretazione offerta dal Tribunale per contrasto con i contenuti dell'art.31 Cost..
3. Il ricorso, anche con l'integrazione di cui alla odierna udienza, è infondato.
3.1 Il prevalente orientamento nomofilattico - cui il Collegio ritiene di aderire - interpreta la locuzione normativa (assoluta impossibilità) in termini di 'sostanziale assenza' della figura materna e non in termini di mera 'difficoltà' di esercizio in concreto del ruolo genitoriale.
E' stato, in tal senso, ribadito (v. Sez. I n. 10583 del 25.11.2020, dep.2021) che lo svolgimento di attività lavorativa quotidiana da parte della madre (anche durante parte delle ore pomeridiane) non può concretizzare il presupposto di legge, atteso che limita la possibilità di accudimento della prole (con necessità di intervento solo temporaneo di altre figure relazionali) ma non lo rende impossibile.
3.2 Se tale è la corretta interpretazione della disposizione - come il Collegio ritiene in rapporto al significato delle parole utilizzate dal legislatore - occorre valutare la rilevanza e non manifesta infondatezza del dubbio di legittimità costituzionale sollevato dal ricorrente in rapporto a quanto previsto dall'art.31 co.2 Cost. in tema di tutela dell'infanzia.
La critica difensiva si appunta, in altri termini, alla rigidità della previsione di legge (assoluta impossibilità) lì dove, in un bilanciamento di interessi, dovrebbe optarsi per la prevalenza delle esigenze di cura dello sviluppo del minore.
3.3 Il Collegio ritiene che la questione sia manifestamente infondata.
Va premesso che secondo gli stessi contenuti della giurisprudenza costituzionale (v. sent. n. 85 del 2013) " .. tutti i diritti fondamentali si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile, pertanto, individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro. Se così non fosse, si verificherebbe l'illimitata espansione di uno dei diritti, che diventerebbe 'tiranno' nel confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona.. ".
Dunque se da un lato è innegabile la necessità di tutela del diritto del minore (diritto di essere educato all'interno del nucleo familiare per conseguire un idoneo sviluppo della personalità, v. Corte Cost. n. 276 del 2010), non può evitarsi di osservare che l'intero sistema cautelare personale, ispirato a principi di proporzionalità e adeguatezza, è uno strumento posto a tutela non solo delle esigenze di carattere processuale ma anche di esigenze di tutela della collettività, lì dove venga ravvisata la ricorrenza della particolare esigenza cautelare di cui all'art.274 lett. c cod.proc.pen..
Ciò che il legislatore tende a realizzare - con la disposizione di cui all'art. 275 comma 4 cod.proc.pen. - è pertanto un 'sistemico' bilanciamento tra esigenze contrapposte, entrambe dotate di rilievo costituzionale (quanto al rilievo costituzionale della tutela dal pericolo di reiterazione di gravi reati, v. Corte Cost. n.1 del 1980).
Da ciò la costruzione legislativa di una obbligatoria cedevolezza delle esigenze di tutela della collettività (riconosciute in sede giurisdizionale e salva la ipotesi di eccezionale rilevanza delle medesime) solo nelle ipotesi in cui la situazione di fatto del nucleo familiare renda 'assolutamente impossibile' lo svolgimento dei compiti di assistenza da parte del genitore libero. In rapporto a simile assetto, peraltro espressione di discrezionalità legislativa, il Collegio ritiene il proposto dubbio di legittimità costituzionale manifestamente infondato.
Al rigetto del ricorso segue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.