Il giudice deve esaminare se, per il suo contenuto, la domanda giudiziale di restituzione dell'immobile in contesa, pur inammissibile, è comunque idonea ad incidere sul possesso perché diretta al concreto recupero del godimento del bene e, in quanto tale, capace di produrre un effetto interruttivo.
Tizio adiva il Tribunale di Palermo affinché venisse giudizialmente accertata l'autenticità della sottoscrizione apposta dalle parti in calce alla scrittura privata in forza della quale i convenuti gli avevano trasferito la proprietà di un appartamento. Nella stessa sede, chiedeva inoltre di dare atto che gli apparteneva la proprietà di tale immobile per effetto della predetta scrittura nonché in conseguenza del possesso ultraventennale esercitato.
I convenuti eccepivano preliminarmente la prescrizione del diritto azionato da Tizio e nel merito contestavano le domande sostenendo che la scrittura costituiva un preliminare che doveva ritenersi nullo non avendo l'attore mai pagato il prezzo.
Il Tribunale accoglieva le domande di Tizio dichiarando l'autenticità della sottoscrizione e l'acquisto della proprietà dell'appartamento per usucapione.
Proposto appello, la Corte territoriale lo rigettava non ritenendo idoneo atto interruttivo del termine ad usucapiendum la notifica dell'atto di appello proposto contro la sentenza di primo grado con la quale si chiedevano la condanna di Tizio a rilasciare l'immobile per cui è causa. Secondo il Giudice del gravame, costituiva oggetto di una domanda nuova introdotta tardivamente in appello e priva di requisiti.
La controversia giunge in Cassazione, dove i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per aver la Corte d'Appello ritenuto non idoneo l'atto di interruzione della prescrizione acquisitiva e per aver disatteso l'applicazione delle norme in presenza della notifica dell'atto di citazione in appello prima del decorso del ventennio rilevante ai fini dell'usucapione.
Nello specifico, i ricorrenti lamentano l'omessa considerazione dei principi giurisprudenziali riguardo all'efficacia interruttiva della prescrizione derivante anche dalla proposizione di una domanda nuova in appello, pur se inammissibile.
Per la Cassazione interruttivo il motivo è fondato. Sbaglia la Corte territoriale ad escludere l'effetto del possesso ad usucapiendum sul rilievo che si trattava di una domanda nuova proposta per la prima volta in appello e dunque inammissibile.
In giurisprudenza è stato più volte affermato che, «per interrompere la maturazione del tempo rilevante ai fini dell'usucapione, il proprietario, uscendo dallo stato di inerzia, deve o privare il possessore della disponibilità materiale del bene, determinando un'interruzione naturale del processo, ovvero compiere un atto di esercizio del diritto, proponendo nei confronti del possessore stesso ed esclusivamente di esso una domanda giudiziale intesa a recuperarlo».
Ne consegue l'accoglimento della doglianza con ordinanza n. 27989 del 4 ottobre 2023.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza (ud. 20 dicembre 2022) 4 ottobre 2023, n. 27989
Svolgimento del processo
1. Con atto di citazione notificato l'8.05.1999, il sig. V.G. conveniva innanzi il Tribunale di Palermo i sigg.ri L.C.G. e D.S.M., nonché i signori C.G., D.S. S., G., A.F., A. e G., chiedendo che venisse giudizialmente accertata l'autenticità della sottoscrizione apposta dalle parti in calce alla scrittura privata del 6.11.1975, in forza della quale i convenuti gli avevano trasferito la proprietà dell'appartamento posto al secondo piano di un edificio sito in Bagheria, via (omissis); in subordine chiedeva darsi atto che per effetto della suddetta scrittura nonché in conseguenza del possesso ultraventennale esercitato, la proprietà dell'immobile de quo apparteneva ad esso attore.
2. Si costituivano L.C.G. e D.S.M., che eccepivano preliminarmente la prescrizione del diritto azionato da controparte; nel merito contestavano le domande, assumendo che la scrittura del 6.11.1975 costituiva un preliminare che doveva in ogni caso ritenersi nullo e/o risolto e/o simulato, non avendo l'attore mai pagato il prezzo; eccepivano che quest'ultimo non aveva esercitato nemmeno il possesso utile ad usucapionem e infine che essi avevano corrisposto agli altri comproprietari la quota parte del prezzo originariamente dovuto dal V. e ne erano quindi i proprietari.
3. G D.S., P. C., E. C. (la prima in proprio e gli altri quali eredi di C.G.) ed A. D.S. si costituivano tardivamente, dichiarando di non riconoscere la firma apposta in calce alla scrittura privata in contestazione e chiedendo il rigetto delle domande avverse.
4. Con sentenza del 20/10/2011 il Tribunale di Palermo, nella contumacia di S., G., A. e F. D.S., dichiarava autentica la sottoscrizione apposta da L.C.G., D.S.M., D.S. S., D.S. G., D.S. A. e D.S. F. in calce alla scrittura privata del 6.11.1975, ritenendo che L.C.G. e D.S.M. avessero manifestato una volontà, almeno implicita, di riconoscere la scrittura; che nei confronti di D.S. S., D.S. G., D.S. A. e D.S. F., rimasti contumaci per tutto il processo, l'accertamento dell'autenticità della scrittura derivava dall'art. 215 comma 1, n. 1 c.p.c.; rigettava la domanda di accertamento dell'autenticità della sottoscrizione di detta scrittura nei riguardi di D.S.G., di A.D.S. e di P. ed E. C., che avevano effettuato tempestivamente il disconoscimento, non seguito da verificazione della scrittura richiesta dall’attore. Dichiarava poi il Tribunale che G.V. aveva acquistato per usucapione la proprietà dell'appartamento, ordinava al Conservatore dei registri immobiliare la trascrizione del capo 3 del dispositivo della sentenza e regolava le spese di giudizio.
5. Avverso detta sentenza proponevano appello L.C.G. e D.S.M.. Si costituiva G.V. resistendo al gravame.
Con altro atto di appello D.S.G. (in proprio e nella qualità di erede di C.G.), C. P. e C. E., nella qualità di eredi di C.G. e D.S. Anna proponevano appello avverso la stessa sentenza. L.C.G. e D.S.M. si costituivano aderendo all'appello. V.G. resisteva al gravame.
6. Riunite le due impugnazioni, la Corte di Appello di Palermo, con sentenza n. 652/2017 pubblicata il 4.04.2017, rigettava l’appello proposto da L.C.G. e D.S.M. sula scorta delle seguenti statuizioni, per quanto più propriamente interessa in questa sede:
non riteneva idoneo atto interruttivo del termine ad usucapiendum la notifica dell’atto di appello proposto da L.C. contro la sentenza del Tribunale di Palermo del 30.01.1992, con la quale si chiedeva la condanna della S. (coniuge separato del V.) e del V. medesimo a rilasciare l'immobile per cui è causa, in quanto oggetto di una domanda nuova introdotta tardivamente in appello e in quanto priva dei requisiti (diretta al recupero del possesso, validamente proposta sotto il profilo della tempestività, della legittimazione, della rappresentanza e di ogni altro elemento necessario per un'efficace imploratio iudicis officii);
non riteneva idonee a superare l’avvenuto riconoscimento dell'usucapione le sentenze relative ai giudizi tra il L.C., la S. e il V. in quanto come risulta dall'esame della sentenza del 1997 il rilascio era stato chiesto solo nei confronti della S., moglie del V. e detentrice dell'immobile;
considerava priva di fondamento la doglianza contro il rigetto dell'eccezione di prescrizione sollevata con la comparsa di risposta, in quanto l'azione diretta all'accertamento dell'autenticità della sottoscrizione della scrittura privata è da considerarsi dotata del requisito della imprescrittibilità.
La Corte di Appello di Palermo rigettava anche l'appello proposto dai D.S. e C. per le stesse ragioni già esposte rispetto all'interruzione del termine ventennale ad opera dei giudizi per la restituzione dell'immobile in cui era parte il V.G.; respingeva le doglianze sulla non sussistenza della prova del possesso ad usucapionem del V., precisando che non era contestato che all'atto della sottoscrizione della scrittura del 1975 il medesimo avesse conseguito il possesso dell'immobile e che nessuna censura era stata mossa dagli appellanti sul fatto che il possesso non era mai venuto meno, atteso che per effetto del provvedimento di assegnazione della casa familiare la S. (coniuge del V.) aveva solo conseguito la detenzione del bene e che parimenti nessuna censura era stata avanzata contro le dichiarazioni rese dal V. nell'ambito della procedura fallimentare, tenuto conto del particolare contesto nel quale erano state rese; riteneva inammissibile la doglianza contro il rigetto dell'eccezione di prescrizione del diritto a riconoscere l'autenticità della sottoscrizione della scrittura privata ai fini della trascrizione, soggetta al termine decennale ex art. 2946 c.c., in quanto il Tribunale aveva disposto la trascrizione del capo terzo del dispositivo con il quale è stato dichiarato l'acquisto per usucapione e che comunque l'azione di accertamento (come già precisato in relazione al rigetto del precedente appello) è imprescrittibile.
7. Avverso tale decisione hanno proposto ricorso per Cassazione, articolato in quattro motivi e illustrato da memorie, i signori G.L.C., M.D.S., E.C..
8. Ha resistito con controricorso G.V..
9. Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375 comma 2 e 380-bis.1 c.p.c.
10. In prossimità dell’udienza, i ricorrenti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Preliminarmente va dichiarata la regolare notificazione del ricorso per cassazione per essere stato lo stesso già notificato ai fratelli e unici eredi di D.S.F., deceduto prima della notifica del ricorso, per effetto della documentazione prodotta dai ricorrenti nella memoria depositata il 6.12.2022.
2. Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell'art. 360 comma 1 n. 3 e n. 5 c.p.c., degli artt. 1158, 1165 e 2943 c.c. per avere la Corte territoriale ritenuto non idoneo l’atto di interruzione della prescrizione acquisitiva e per avere disatteso l'applicazione delle norme sopra citate in presenza della notifica dell'atto di citazione in appello prima del decorso del ventennio rilevante ai fini dell’usucapione.
In particolare, i ricorrenti si dolgono che la Corte di Appello di Palermo non avrebbe preso in alcuna considerazione i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità riguardo all'efficacia interruttiva della prescrizione derivante anche della proposizione di una domanda nuova in appello, pur se inammissibile. La Corte distrettuale, inoltre, non avrebbe tenuto conto che la prova dell'interruzione del termine ad usucapiendum era stata fornita in giudizio dallo stesso attore con la produzione delle sentenze rese inter partes (in particolar modo con quella emessa il 2 agosto 1995 dalla Corte di Appello di Palermo), facendo da ciò impropriamente derivare il rigetto della domanda.
2.1. Il motivo è fondato e merita accoglimento.
La Corte palermitana ha rigettato il secondo motivo di appello con il quale gli appellanti lamentavano che il giudice di prime cure avesse omesso di esaminare quanto risultava dalle sentenze prodotte e in particolare avesse omesso di considerare che con l'atto di appello proposto da L.C.G. avverso la sentenza del Tribunale di Palermo del 30.01.1992 era stata chiesta la condanna della S. e del V. a rilasciare l'immobile per cui era causa sulla base della seguente argomentazione: trattandosi di domanda nuova proposta per la prima volta in grado di appello, la stessa era inammissibile e dunque inidonea ad interrompere il possesso ad usucapionem, posto che la domanda giudiziale – per generare l’effetto interruttivo non solo deve essere diretta al recupero del possesso, ma anche validamente proposta.
La motivazione della Corte distrettuale è sul punto errata, avendo omesso di confrontarsi con i precedenti di questo giudice di legittimità in tema di atti interruttivi del termine ad usucapiendum.
In argomento è stato più volte precisato che, per interrompere la maturazione del tempo rilevante ai fini dell’usucapione, il proprietario, uscendo dallo stato d'inerzia, deve o privare il possessore della disponibilità materiale del bene, determinando un'interruzione naturale del possesso, ovvero compiere un atto di esercizio del diritto, proponendo nei confronti del possessore stesso ed esclusivamente di esso una domanda giudiziale intesa a recuperarlo (cfr., anche in motivazione, Cass. n. 14917/2001; Cass. n. 6910/2001; Cass. n. 14733/2000).
La giurisprudenza di questa Corte ha incluso nel novero degli atti interruttivi “civili” e non “naturali” anche domande giudiziali irritualmente esperite. È questo il caso dell’azione petitoria, introdotta irritualmente nel corso del giudizio possessorio nonostante il divieto posto dall’art, 705, comma 1, c.p.c., che è stata ritenuta costituire esercizio del diritto di proprietà e manifestazione della volontà del suo titolare di evitarne la perenzione (Cass., n. 379/1995). È parimenti questo il caso della domanda nulla, affrontato e deciso da Cass. n. 21929/2021, la quale ha così statuito: “in materia di diritti reali, l'effetto interruttivo del termine per usucapire, ex artt. 1165 e 2943 c.c., va riconosciuto anche all'atto di citazione affetto da vizi afferenti alla "vocatio in ius" (nella specie per difettosa formulazione dell'avvertimento ex art. 163, n. 7, c.p.c.), ove lo stesso sia stato validamente notificato, e ciò ancorché il convenuto sia rimasto contumace ed il giudice non abbia disposto l'immediata rinnovazione dell'atto, ex art. 164, comma 2, c.p.c.; in tal caso, infatti, risultando l'atto comunque pervenuto nella sfera di conoscenza del destinatario, non è preclusa la produzione degli effetti sostanziali che l'art. 2943 c.c. ricollega all'iniziativa processuale del titolare del diritto”.
Dopo avere richiamato nel ricorso la documentazione utile al riguardo e indicato i relativi “luoghi” processuali di produzione della stessa, i ricorrenti hanno affermato che la sentenza impugnata avrebbe del tutto trascurato di considerare quanto deciso da Cass. SS.UU. n. 1516/2016.
È ben vero che tale pronunzia attiene all’interruzione della prescrizione in tema di diritti di credito, ma le argomentazioni da essa rese – riguardanti le domande giudiziali si attagliano appieno anche al caso in questione: secondo le Sezioni Unite, “considerando tamquam non esset la domanda proposta con l'atto d'appello, in quanto nuova, e perciò inammissibile”, il giudice a quo, nel caso sottoposto al suo esame ”ha confuso … l'aspetto processuale dell'inammissibilità con quello sostanziale dell'interruzione della prescrizione”. Ha poi aggiunto la decisione che “tanto più contraddittoria appare, poi, la negazione di alcun valore alla domanda nuova sia pur preclusa, in linea di principio, in grado d'appello significativa di una svalutazione della pronunzia del giudice che ne deve seguire, ove la si ponga a confronto con l'efficacia interruttiva dell'atto di citazione in un processo conclusosi con l'estinzione (e si deve intendere, con un'estinzione maturata in primo grado, giacché nei gradi successivi essa comporterebbe il passaggio in giudicato della sentenza impugnata)”.
La Corte territoriale avrebbe dunque dovuto esaminare se, per il suo contenuto, la domanda giudiziale di restituzione dell’immobile in contesa, pur inammissibile, era comunque idonea ad incidere sul possesso perchè diretta al concreto recupero del godimento del bene e, in quanto tale, capace di produrre un effetto interruttivo.
Spetterà al giudice del rinvio, che si individua nella stessa Corte di appello, in diversa composizione, operare tale verifica alla luce dei principi richiamati e delle affermazioni sopra svolte. 3. Il secondo motivo è così rubricato: “Violazione e falsa applicazione dell'art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c. in relazione al principio dell'onere della prova di cui all'art. 2697 c.c. nonché all'art 1158 c.c.”.
Con esso i ricorrenti denunciano la violazione dell'art. 2697 c.c. in riferimento all'art. 1158 c.c. per mancato assolvimento dell'onere della prova sull'esercizio dell'attività materiale del possesso ad usucapionem. Censurano in particolare la sentenza per avere confermato che il giudice unico di primo grado aveva esattamente ritenuta raggiunta la prova del possesso rilevante ai fini dell’acquisto per usucapione, perché non contestato, in contrasto con le contestazioni sull’asserito possesso uti dominus dell'attore documentalmente riscontrabili dal giudizio. Contrariamente a quanto ritiene la Corte di merito, i ricorrenti avrebbero censurato la parte della sentenza del Tribunale che riconosceva quale prova presuntiva del possesso uti dominus la dichiarazione rilasciata in sede di inventario fallimentare dal V. al pubblico ufficiale, mentre questa dichiarazione riconosceva il contrario.
3.1. Il motivo è privo di fondamento.
A parte che i ricorrenti stessi riconoscono che l’accoglimento del primo motivo di ricorso “esimerebbe l’esame di ogni altra questione giuridica sul punto”, lo stesso risulta formulato in maniera generica, non rendendo possibile a questo Collegio comprendere quale sia la parte della decisione oggetto di contestazione e quali le ragioni addotte a sostegno della sua censura.
Il mezzo di ricorso mescola infatti richiami dottrinali, giurisprudenza di legittimità in tema di requisiti dell’usucapione, contestazioni sulla mancata ammissione di mezzi di prova prive di indicazioni che possano soddisfare l’autosufficienza del ricorso, accuse di contraddittorietà alla motivazione non adeguatamente sviluppate nel corpo dell’atto.
4. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano, ex art. 360 comma 1, n. 3 e n. 5 c.p.c., come si legge nella sintesi a pag. 2 del ricorso, “la violazione degli artt. 214 e 215 c.p.c. rispetto all'art. 1350 n. 1 c.c. per l'avvenuto disconoscimento della fotocopia parziale di un documento e gli effetti dell'istanza di verificazione del medesimo spiegata dall'attore che l'ha depositato tardivamente, nonché per la dichiarazione di autenticità anche nei confronti di un contumace senza la sottoscrizione del documento del contumace”.
5. Con il quarto motivo, infine, lamentano la violazione degli artt. 2658 e 2643 c.c. rispetto all'art. 101 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 comma 1, nn. 3 e 5 c.p.c., contestando che la domanda di autenticità della sottoscrizione della scrittura privata del 6.11.1975 potesse trovare accoglimento in mancanza dell’originale del documento o di copia conforme dello stesso.
6. Il terzo e quarto motivo, da scrutinarsi congiuntamente per la loro connessione, sono privi di rilevanza perché la sentenza censurata – come rilevato anche dal controricorrente – non fonda l’acquisto (a titolo derivativo) sulla scrittura privata del 6.11.1975, ma sul possesso ventennale, per cui i motivi non colgono la ratio della decisione e vanno disattesi.
7. In conclusione, va accolto il primo motivo di ricorso mentre vanno rigettati i restanti. La sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto. La causa deve essere rinviata alla Corte di Appello di Palermo alla quale, in diversa composizione, è demandata anche la determinazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, rigetta i restanti; cassa, in relazione al motivo accolto, la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Palermo, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.