Nel caso di specie, l'imputato ometteva di svolgere l'attività lavorativa per effettuare ricerche in "internet”, addossando all'azienda le spese e i costi .
Svolgimento del processo
1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Firenze, decidendo sull'appello proposto ai soli effetti civili dalla parte civile F.F. s.p.a., confermava la pronuncia di primo grado del 26 settembre 2019 con la quale il Tribunale di Firenze aveva assolto B.M. dal reato ascrittogli ai sensi dell'art. 314, secondo comma, cod. pen., per avere, nei primi mesi del 2013, quale responsabile dell'ufficio acquisti della anzidetta società, utilizzato sistematicamente, per circa quattro o cinque ora al giorno durante l'orario di servizio, la strumentazione informatica affidatagli, per svolgere ricerche, connettendosi a siti web per ricercare materiale utile per le ;ue pubblicazioni su tematiche storico militari: così omettendo di fatto di svolgere alcuna prestazione lavorativa, addossando all'ente di appartenenza le spese e i costi per effettuare tali ricerche in "internet", avendo egli memorizzato sulla sua postazione informatica 19 file su argomenti storico militari, 5.848 video e 1.329 file fotografici dal contenuto pornografico.
2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso la parte civile F.F. s.p.a., con atto sottoscritto dal suo difensore, la quale ha dedotto i seguenti motivi.
2.1. Vizio di motivazione, per manifesta illogicità e travisamento di una prova decisiva, per avere la Corte territoriale escluso che la condotta del M. avesse causato un danno economico alla sfera dell'ente ovvero una lesione alla funzionalità complessiva dell'ufficio, sostenendo che l'azione dell'imputato potrebbe non essere consistita nello scaricare file sul computer dell'ufficio collegandosi a "internet", ma nel trasferire su quel computer materiale da un dispositivo portatile "già pieno": circostanza, questa, non solo non dimostrata dalle prove acquisite, ma anzi smentita dagli accertamenti compiuti dal consulente tecnico della parte civile, che aveva rilevato come dall'esame del sistema dell'apparecchio informatico dell'imputato era emersa la presenza di dati comprovanti l'uso di c.d. "meccanismi di anonimizzazione", che vengono di norma impiegati per accedere a sito pornografici superando i "filtri" introdotti dalla amministrazione nei computer aziendalii.
2.2. Violazione di legge, in relazione all'art. 314 cod. pen., per avere la Corte distrettuale ingiustificatamente negato che la condotta del M., caratterizzata un non modesto, né episodico ed occasionale uso del computer assegnatogli, avesse provocato, al di là di un pregiudizio economico, una lesione dell'interesse al buon andamento, alla efficacia, alla imparzialità e alla trasparenza della pubblica amministrazione, come dimostrato dalla presenza nella memoria di quell'apparecchio informatico di materiale privato, più che aziendale. Comportamento, quello tenuto dall'imputato, che, proprio per la gravità delle sue conseguenze, ne ha determinato il licenziamento.
2.3. Violazione di legge, in relazione all'art. 314 cod. pen., per avere la Corte di merito escluso la sussistenza dell'elemento psicologico del reato contestato, che, invece, è comprovato dall'accertata volontà di appropriarsi di un bene aziendale per farne un uso privato, distogliendolo dalla sua finalità pubblicistica.
3. Il procedimento è stato trattato nell'odierna udienza in camera di consiglio con le forme e con le modalità di cui all'art. 23, commi 8 e 9, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito dalla leqge 18 dicembre 2020, n. 176, i cui effetti sono stati prorogati da numerose successive disposizioni, da ultimo dall'art. 94, comma 2, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, come introdotto dall'art. 5-duodecies del decreto legge 31 ottobre 2022, n. 162, convertito dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199.
Motivi della decisione
1. Ritiene la Corte che il ricorso vada accolto, per le ragioni e con gli effetti di seguito precisati.
2. Il primo motivo del ricorso è fondato.
Le doglianze formulate dalla parte civile in termini di vizi di motivazione colgono nel segno, perché la denunciata criticità presente nella sentenza impugnata appare idonea a condurre all'annullamento della pronuncia gravata, perché avente ad oggetto una questione qualificata sotto il profilo della decisività.
Ed infatti, a fronte della specifica censura che era stata formulata con l'atto di impugnazione proposto ai sensi dell'art. 576 cod. proc. peri., con la quale la difesa della parte civile appellante aveva lamentato la mancata considerazione degli elementi di prova - desumibili essenzialmente dai risultati di una consulenza tecnica informatica di parte e della perizia informatica disposta dall'ufficio - idonei a dimostrare come l'imputato avesse utilizzato, in forma tutt'altro che modesta, episodica, occasionale o temporanea, ma in maniera sistematica, continuativa e prolungata il computer dell'ufficio per fini personali e privatistici (anche mediante la "navigazione" su siti pornografici presenti nel web - v. pagg. 5-8 di quella impugnazione), la Corte di appello ha replicato in maniera manifestamente illogica: in particolare, trascurando del tutto di considerare i richiamati esiti di quegli accertamenti e, invece, sostenendo apoditticamente di non poter escludere che l'imputato, lungi dall'aver "navigato su internet", si fosse limitato a trasferire nella memoria del computer dell'ufficio materiale informatico già presente su un supporto mobile ovvero su dispositivo portatile esterno (v. pag. 7 sent. impugn.).
Le doglianze formulate con il ricorso risultano, dunque, idonee ad incidere su nuclei di fatto essenziali che sorreggono l'impianto motivazionale delle decisioni di primo e di secondo grado, tanto da risultare capaci di disarticolare la tenuta logica di pronunce entrambe caratterizzate da valutazioni caratterizzate da profili di una certa genericità.
Al riguardo, va ricordato come questa Corte di cassazione abbia avuto modo reiteratamente di puntualizzare che, in terna di ricorso in cassazione ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la denunzia di incongruenze argomentative o l'omessa esposizione di elementi di valutazione, che il ricorrente ritenga tali da determinare una diversa decisione, e che siano inequivocabilmente munite di un chiaro carattere di decisività, possono dar luogo all'annullamento della sentenza (in questo senso, tra le molte, Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017, M., Rv. 271227; Sez. 6, n. 3724 del 25/11/2015, dep. 2016, Rv. 267723; Sez. 2, n. 9242 del 08/02/2013,. Reggio, Rv. 254988).
3. Anche il secondo e il terzo motivo del ricorso - strettamente connessi tra loro e, perciò, esaminabili congiuntamente - sono fondati.
Costituisce espressione di un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità il principio in base al quale nel peculato d'uso non è configurabile il reato solo laddove l'uso episodico ed occasionale di un bene di servizio non abbia leso la funzionalità della pubblica amministrazione e non abbia causato un danno patrimoniale apprezzabile (in questo senso, tra le altre, Sez. 5, n. 37186 del 01/07/2019, Ciancarella, Rv. 277004; Sez. 6, n. 23824 del 26/04/2019, Bifolco, Rv. 276070; e, con specifico riferimento all'uso per fini personali di un computer dell'ufficio, Sez. 6, n. 34524 del 02/07/2013, Amato, Rv. 255810).
Di tale criterio interpretativo la Corte di appello di Firenze non ha fatto buon governo: e ciò non solamente perché - come si è avuto modo di sottolineare nel punto che precede - ha risposto in maniera logicamente censurabile alla doglianza relativa alla circostanza che l'impiego del computer per finalità personali e private da parte del M. fosse stato episodico ovvero occasionale. Ma soprattutto perché - pur ammettendo di non poter escludere che la navigazione in "internet" da parte dell'imputato fosse avvenuta sulla base di un abbonamento con tariffa "flat", dunque senza alcun reale aggravio di spesa per l'amministrazione - i Giudici di secondo grado hanno negato in maniera ancora una volta apodittica che la condotta dell'imputato avesse arrecato un danno alla funzionalità dell'ufficio, dato che il predetto non aveva rnai ricevuto alcuna lettera di richiamo. Così omettendo, però, cli considerare che, proprio in ragione dell'accertate violazioni dei suoi doveri, il M. era stato licenziato dall'ente di appartenenza, e, dunque, mancando di valutare se quello smodato, perché sistematico e prolungato, uso per ragioni personali del computer dell'ufficio, non avesse in concreto distolto l'interessato dalle proprie mansioni, determinando una effettiva lesione dell'operatività della pubblica amministrazione (così Sez. 6, n. 33991 del 16/06/2015, di Castri, non mass.).
4. La sentenza impugnata va, dunque, annullata ai soli effetti civili ai sensi dell'art. 622 cod. proc. pen., con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello, che provvederà eventualmente anche alla condanna alla rifusione delle spese di costituzione e difesa sostenute in questo giudizio dalla costituita parte civile.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata agli effetti civili e rinvi21 al giudice civile competente per valore in grado di appello.