
Svolgimento del processo
1. Con sentenza emessa in data 7/9/2022, il Tribunale di Padova ha assolto S.A. dal reato di cui all'art. 186, comma 2 lett. c), 2-bis e 2 sexies cod, strada.
Avverso tale sentenza ha presentato ricorso immediato ai sensi dell'art. 469 cod. proc. pen. il Procuratore generale presso la Corte di appello di Venezia, adducendo inosservanza o erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione.
Il Tribunale, premette il ricorrente, ha mandato assolto l'imputato per assenza di prova dello stato di ebbrezza, avendo ritenuto inattendibili le misurazioni etilometriche effettuate. L'inaffidabilità dell'apparecchiatura impiegata sarebbe stata desunta dalla mancanza immotivata dei due scontrini intermedi tra la prima e la seconda misurazione con esito positivo.
A tale argomentazione, lamenta l'esponente, si aggiungono in sentenza altre considerazioni di natura tecnica sulla funzionalità dell'apparecchiatura, le quali, tuttavia, non tengono conto del dato incontestato della presenza in atti del libretto metrologico e della regolarità delle revisioni periodiche cui era stato sottoposto l'etilometro.
2. Il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione, con requisitoria scritta, ha concluso per l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
Il difensore dell'imputato ha depositato memoria di replica nella quale conclude per l'inammissibilità del ricorso. Sottolinea come il Procuratore generale presso la Corte di appello di Venezia non si sia confrontato pienamente con le argomentazioni a sostegno della pronuncia assolutoria, soffermandosi esclusivamente su profili di merito non scrutinabili in sede di legittimità. Ha altresì depositato conclusioni scritte nelle quali insiste nel richiedere la declaratoria d'inammissibilità del ricorso o, in subordine, il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione
1. Il ricorso proposto impone la verifica preliminare della legittimazione del Procuratore generale alla impugnazione della sentenza emessa dal Tribunale alla luce della formulazione dell'art. 593-bis cod. proc. pen., introdotto nel codice di rito dall'art. 3, comma 1, d.lgs 6 febbraio 2018, n. 11.
La norma, titolata «appello del pubblico ministero», testualmente recita: «Nei casi consentiti, contro le sentenze del giudice per le indagini preliminari, della corte d'assise e del tribunale può appellare il procuratore della Repubblica presso il tribunale.
Il procuratore generale presso la corte d'appello può appellare soltanto nei casi di avocazione o qualora il procuratore della Repubblica abbia prestato acquiescenza al provvedimento».
La questione riguardante la portata applicativa della disposizione ha formato oggetto di approfondita disamina da parte delle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 21716 del 23/02/2023, P.), che hanno affrontato la complessa problematica della interpretazione esegetica della norma di nuova introduzione, onde fornire risposta ai plurimi quesiti sollevati dalla Sezione remittente.
Ciò che più di ogni altro profilo ha richiesto particolare sforzo interpretativo è l'attribuzione del significato di «acquiescenza al provvedimento» da parte del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale, non avendo la novella del 2008 chiarito in cosa debba consistere la nozione di «acquiescenza».
Per quanto di interesse in questa sede, il Supremo consesso ha evidenziato come la norma necessiti di essere interpretata alla luce dell'art. 166-bis disp. att. cod. proc. pen. - introdotto dall'art. 8 del medesimo d.lgs. n. 11/2018 - secondo cui «Al fine di acquisire tempestiva notizia in ordine alle determinazioni relative all'impugnazione delle sentenze di primo grado, il procuratore generale presso la corte d'appello promuove intese o altre forme di coordinamento con i procuratori della Repubblica del distretto».
Premesse le finalità deflattive perseguite dal legislatore con l'introduzione dell'art. 593-bis cod. proc. pen., ha affermato che, in assenza della definizione di acquiescenza nel codice di rito, per comprendere la valenza del nuovo sintagma sia necessario fare ricorso alla norma "di servizio" contenuta nelle disposizioni di attuazione, la quale rappresenta l'unico riferimento per risolvere i problemi riguardanti il rapporto tra Procuratore della Repubblica e Procuratore generale in materia di impugnazione delle sentenze.
Intervenendo per la prima volta sul contenuto e la portata delle intese organizzative ex art. 166-bis disp. att. cod. proc. pen., il Supremo consesso chiarisce come il legislatore abbia inteso affidare al Procuratore generale di ciascuna Corte di appello il potere-dovere di verificare, volta per volta, con riferimento ad ogni singola sentenza di primo grado emessa da un giudice del distretto, quali siano le intenzioni del Procuratore della Repubblica competente, titolare della legittimazione ad appellare, e conseguentemente se vi siano le condizioni per lo stesso Procuratore generale di esercitare la facoltà di proporre tale impugnazione, in alternativa, sulla base della sua legittimazione sussidiaria (§ 4.4 pag. 14).
Per le Sezioni Unite, il dato testuale induce a ritenere che la norma attuativa non richieda una formalizzazione processuale di una manifestazione di volontà, proveniente dal Procuratore della Repubblica, assimilabile ad una rinuncia ad impugnare; neppure è richiesto che l'impugnazione del Procuratore generale intervenga allorchè il termine previsto per proporre impugnazione da parte del Pubblico ministero presso il Tribunale sia già spirato.
Un'attenta esegesi dell'art. 166-bis disp. att. cod. proc. pen., si legge in motivazione, permette di rilevare «come la disposizione in argomento non richieda affatto che le relazioni tra il procuratore generale presso la corte di appello e i procuratori della Repubblica del distretto debbano essere necessariamente disciplinate, in linea generale, da un apposito protocollo o da altro documento organizzativo»; si precisa inoltre che «la norma de qua neppure prescrive che il procuratore generale presso la corte di appello debba allegare al proprio atto di impugnazione un qualche documento che attesti l'intervenuta acquiescenza da parte del procuratore della Repubblica» (§ 4.4 pag. 15).
Per le Sezioni Unite, dunque, una lettura logico-sistematica della disposizione contenuta nell'art. 593-bis, comma 2, cod. proc. pen., ed il fatto che il legislatore del 2018 abbia riservato ad una norma "di servizio" (art. 166-bis disp. att. del codice di rito) la disciplina delle intese giustificative dell'acquiescenza, sono elementi che portano a ritenere che la novella non abbia voluto introdurre in materia rigidi criteri formali, come avviene invece per la operatività di altri istituti, quale quello della acquiescenza espressa o tacita regolato dal codice di procedura civile. E' quindi demandato al Procuratore generale il "potere" di verificare quali siano le intenzioni del Procuratore della Repubblica, «al fine di acquisire tempestiva notizia in ordine alle determinazioni relative all'impugnazione delle sentenze di primo grado» (§ 4.5 pag. 16).
Resta affidata al Procuratore generale, che propone appello contro una sentenza di primo grado, la relativa responsabilità ordinamentale di avere previamente esercitato il potere-dovere di coordinamento e di preliminare verifica assegnatogli dall'art. 166-bis disp. att. cod. proc. pen.
Sulla base di tali premesse argomentative, le Sezioni Unite sono addivenute alla formulazione del principio di diritto così massimato: «La legittimazione del procuratore generale a proporre appello ex art. 593-bis cod. proc. pen. avverso le sentenze di primo grado, derivante dall'acquiescenza del procuratore della Repubblica, consegue alle intese o alle altre forme di coordinamento richieste dall'art. 166-bis disp. att. cod. proc. pen. che impongono al procuratore generale di acquisire tempestiva notizia in ordine alle determinazioni dello stesso Procuratore della Repubblica in merito all'impugnazione della sentenza» (Rv. 284490-01).
2. Ulteriore profilo da esaminare riguarda la possibilità per il Procuratore generale, in presenza dell'acquiescenza del Procuratore della Repubblica, di proporre ricorso "per saltum" avverso la sentenza di primo grado.
Anche tale aspetto ha formato oggetto di attenta disamina nella più volte citata pronuncia a Sezioni Unite, le quali sono approdate ad una soluzione diversa rispetto a quella propugnata negli indirizzi in contrasto, statuendo il principio di diritto secondo il quale «In assenza delle condizioni per presentare appello ai sensi dell'art. 593-bis, comma 2, cod. proc. pen., il Procuratore generale non è legittimato a proporre ricorso immediato per cassazione ex art. 569 cod. proc. pen. né ricorso ordinario ai sensi degli artt. 606, comma 2, e 608 cod. proc. pen.» (Rv. 284490-03).
Alla base della soluzione, il giudice nomofilattico pone il tenore dell'art. 569, comma 1, cod. proc. pen.: laddove fa riferimento alla «parte che ha diritto ad appellare la sentenza di primo grado...», esso disegna per le Sezioni Unite un concetto di appellabilità in senso soggettivo, «perché quel mezzo di impugnazione viene considerato come alternativo in relazione alla posizione della parte impugnante. Da tanto è possibile arguire che il Procuratore generale in tanto è legittimato a presentare ricorso immediato per cassazione in alternativa all'atto di appello, in quanto sia legittimato a proporre quest'ultimo ai sensi dell'art. 593-bis, comma 2, cod. proc. pen., dunque solo nei casi di avocazione o di acquiescenza del procuratore della Repubblica al provvedimento. Con l'ulteriore conseguenza che, in tale ipotesi, il ricorso immediato del Procuratore generale si converte in appello laddove la sentenza di primo grado sia stata appellata da una delle parti private ( o dal rappresentante del pubblico ministero che ha presentato le conclusioni), giusta la previsione degli artt. 569, comma 2, e 580 cod. proc. pen. Qualora, in accoglimento del ricorso immediato, la Corte di cassazione annulli con rinvio la sentenza di primo grado - salvi i casi in cui nel giudizio di appello si sarebbe dovuta annullare la sentenza impugnata - gli atti dovranno essere trasmessi al giudice competente per il secondo grado»
3. Venendo al caso in esame, Il Procuratore generale presso la Corte di appello di Venezia, pur potendo proporre appello, ha optato per il ricorso immediato per cassazione a norma dell'art. 569, comma 1, cod. proc. pen.
Alla luce dei criteri ermeneutici stabiliti dal Supremo consesso, non essendo richiesto che il P.M. presso la Procura Tribunale manifesti di avere prestato acquiescenza all'impugnazione o che siano esternate in certificazioni o attestazioni le intese raggiunte tra i diversi Uffici di Procura, deve ritenersi che è lo stesso "fatto processuale" della presentazione del ricorso che fa ritenere avverato il presupposto dell'acquiescenza sulla base del risultato dell'intesa raggiunta tra i due Uffici.
Pertanto, il Procuratore generale, in base al combinato disposto degli artt. 593-bis cod. proc. pen. e 166-bis disp. att. cod. proc. pen. è legittimato a proporre l'impugnazione prescelta.
4. Deve tuttavia rilevarsi, quanto al merito della regiudicanda, come il ricorso proposto dal Procuratore generale, riconducibile alla previsione del "ricorso immediato per cassazione", previsto dall'art. 569 cod. proc. pen., non sia esperibile nel caso in esame.
Il ricorso, infatti, involge profili di valutazione del fatto e delle emergenze probatorie riservati in via esclusiva al giudice del merito. Non è superfluo evidenziare in proposito come lo stesso ricorrente faccia menzione, nel titolo dell'atto, all'art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen.
Deve quindi ritenersi operante la clausola espressa di esclusione stabilita dal comma 3 dell'art. 569 codice di rito, in quanto si tratta di ricorso proposto (anche) ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) (per la quale non si applica la disposizione del ricorso immediato).
Il generale principio di diritto della osservanza dei gradi della giurisdizione non consentiva, pertanto, l'esperimento dell'impugnazione dinnanzi alla Corte di legittimità omisso medio ed imponeva al Procuratore impugnante di adire la Corte territoriale.
Il rilievo non comporta la inammissibilità della impugnazione.
Deriva, invero, ai sensi dell'art. 569, comma 3, ultimo inciso, cod. proc. pen., la conversione in appello del ricorso con conseguente trasmissione degli atti alla Corte di appello di Venezia per il giudizio di secondo grado.
P.Q.M.
Convertito il ricorso in appello, dispone trasmettersi gli atti alla Corte di appello di Venezia per il giudizio.