Ciò significherebbe infatti riconoscere un vantaggio eccessivo al danneggiato che avrebbe potuto e dovuto nel frattempo concentrare i propri sforzi verso ulteriori occasioni lavorative.
Il TAR Calabria accoglieva la richiesta risarcitoria per equivalente proveniente dall'attuale ricorrente che aveva partecipato ad una selezione per il conferimento di un incarico presso il Comune ma era arrivata seconda a causa dell'omessa valutazione di alcuni titoli di servizio che, se considerati, le avrebbero permesso di aggiudicarsi l'incarico.
Nello specifico, il risarcimento concessole consisteva nel 50% degli emolumenti che le sarebbero spettati se solo fosse stata dichiarata legittimamente la vincitrice della selezione.
Contro tale decisione, l'interessata propone appello lamentando il fatto che nella quantificazione del danno si sarebbe dovuto tener conto dell'”entità della imperizia” della P.A. nel porre in essere l'atto illegittimo, oltre al fatto che non le era stato riconosciuto a titolo di risarcimento anche il periodo successivo alla scadenza dell'incarico.
Con la sentenza n. 8633 del 3 ottobre 2023, il Consiglio di Stato dichiara l'appello infondato, rilevando innanzitutto che in caso di mancata assunzione non può essere accordata al danneggiato l'intera somma dei compensi spettanti nel periodo di mancata assunzione, poiché ciò significherebbe attribuire un vantaggio eccessivo. Da qui la misura del riconoscimento del 50% di tali compensi. Il Consiglio di Stato spiega infatti che il danneggiato avrebbe potuto nel frattempo dirottare il suo tempo e le sue energie lavorative in altri ambiti, per cui la liquidazione del danno in questione non può che avvenire ai sensi dell'
Da ciò consegue che la quantificazione del danno non deve essere rapportata all'eventuale gravità dell'illegittimità, bensì all'effettiva entità del pregiudizio subito che la parte appellante non ha comunque avuto cura di precisare ulteriormente.
Quanto all'ulteriore danno da mancata chance lavorativa, il Consiglio di Stato afferma che esso non può essere riconosciuto, in quanto si finirebbe per riconoscere all'appellata una chance sostanzialmente illimitata senza che abbia fornito alcuna dimostrazione circa l'eventuale impossibilità di poter far leva medio tempore su altre occasioni di guadagno professionale.
Segue il rigetto del ricorso.
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza (ud. 21 settembre 2023) 3 ottobre 2023, n. 8633
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
1. L’odierna appellante partecipava alla selezione per il conferimento di un incarico annuale da ragioniere capo presso il Comune di P. C. (per la precisione: collaborazione esterna ad alto contenuto di professionalità) ma arrivava seconda per omessa valutazione di alcuni titoli di servizio (contratti con istituti scolastici a tempo determinato) che invece, secondo il TAR Calabria (sentenza n. 780 del 2014), avrebbero dovuto più correttamente essere presi in considerazione.
Ciò le avrebbe consentito di arrivare prima e di aggiudicarsi dunque l’incarico ma, a causa del tempo trascorso e della validità annuale dell’incarico, quest’ultimo non poteva più ormai essere assegnato.
Di qui la richiesta risarcitoria per equivalente che veniva accolta dallo stesso TAR Calabria, con sentenza n. 862 del 13 aprile 2018, nella misura del 50% degli emolumenti che le sarebbero spettati ove legittimamente dichiarata vincitrice della selezione e dunque regolarmente contrattualizzata.
2. Quest’ultima sentenza formava oggetto di appello, da parte della ricorrente in primo grado, per i motivi di seguito sintetizzati:
2.1. Erroneità nella parte in cui non si sarebbe tenuto conto, nella quantificazione del danno, della “entità della imperizia” ad opera della PA nel porre in essere il rilevato atto illegittimo;
2.2. Erroneità nella parte in cui rivalutazione ed interessi, da riconoscere in aggiunta alla somma predetta, sarebbero stati calcolati in modo difforme rispetto ai criteri elaborati a tal fine dalla giurisprudenza;
2.3. Erroneità per non avere riconosciuto, sempre in funzione risarcitoria, anche il periodo successivo alla scadenza dell’incarico annuale predetto.
3. Si costituiva in giudizio l’appellata amministrazione comunale per chiedere il rigetto del gravame mediante articolate controdeduzioni che, più avanti, formeranno oggetto di specifica trattazione.
4. Alla pubblica udienza del 21 settembre 2023 la causa veniva infine trattenuta in decisione.
5. Tutto ciò premesso il ricorso in appello è infondato e deve essere rigettato per le ragioni di seguito indicate.
6. Quanto al primo motivo di appello la giurisprudenza è ampiamente pacifica nel ritenere che, in caso di mancata assunzione, non può essere accordata al danneggiato l’intera somma dei compensi spettanti nel periodo di mancata assunzione. Ciò si tradurrebbe infatti in un vantaggio eccessivo per il danneggiato che, nel frattempo, avrebbe potuto e dovuto concentrare i propri sforzi verso ulteriori occasioni lavorative. Di qui il generale riconoscimento del 50% di tali compensi. Tale orientamento è stato ulteriormente confermato dalla sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, n. 8042 del 2 dicembre 2021, nella quale è stato in particolare affermato che: “In generale, deve ricordarsi che il danno per mancata o tardiva assunzione, derivante da una fattispecie di responsabilità extracontrattuale, non può necessariamente ed automaticamente comportare una vera e propria "restitutio in integrum" (che può rilevare soltanto sotto il profilo della responsabilità contrattuale), occorrendo invece, caso per caso, individuare l'entità dei pregiudizi di tipo patrimoniale e non patrimoniale che trovino causa nella condotta illecita del datore (mancato) di lavoro alla stregua dell'art. 1223, cod. civ. (cfr.Cons. St., sez. V, 30 giugno 2011, n. 3934)”. In questa direzione, pertanto: “il lucro cessante da mancata assunzione non può corrispondere all'intero importo degli stipendi non percepiti, in quanto ciò si tradurrebbe in un vantaggio eccessivo per l'interessato, il quale nel periodo di mancata assunzione non ha dovuto impegnare le proprie energie lavorative in quell'impiego, potendo rivolgerle alla cura d'ogni altro proprio interesse, sia sul piano lavorativo che del perfezionamento culturale e professionale per potere accedere ad altro impiego”. Ed infatti: “Sussiste certamente un pregiudizio a danno dell'appellante, ma questo non può essere riconosciuto nei termini da questi richiesto, risolvendosi diversamente in un vantaggio non dovuto. Invero, nel periodo in questione, l'appellante ha goduto del tempo o dirottato le proprie energie lavorative in altri ambiti, sicché non può pretendere anche il riconoscimento di un periodo di servizio lavorativo che non ha svolto”. Nel consegue che: “La liquidazione del danno in questione non può che avvenire ai sensi dell'art. 1226 c.c. e, alla luce delle circostanze che caratterizzano il caso di specie, la somma riconosciuta dal giudice di primo grado, in via equitativa, appare adeguata al pregiudizio effettivamente subito dal ricorrente”. Analogamente al caso di specie l’appellante “non può infatti pretendere di ricavare un'utilità maggiore rispetto al danno subito, né tantomeno rispetto a danni non ancora subiti, ma proiettati nel tempo futuro, tenuto conto che, lo si ribadisce, nei periodi considerati l'appellante non ha comunque prestato servizio”.
Dalle statuizioni sopra riportate emerge dunque come la quantificazione del danno non debba essere rapportata all’eventuale gravità della perpetrata illegittimità ma, piuttosto, alla effettiva entità del pregiudizio subito che la parte appellante, nel caso di specie, non ha comunque avuto cura di precisare ulteriormente (si veda sul punto anche Cons. Stato, sez. V, 30 giugno 2011, n. 39334).
Per tutte le ragioni sopra considerate, il primo motivo di appello deve essere rigettato.
7. Quanto al secondo motivo di appello, il ritenuto erroneo computo di rivalutazione ed interessi è agevolmente superabile dalla circostanza che il TAR, nella sentenza, ha espressamente richiamato la sentenza della Corte di cassazione, sez. III, n. 19987 del 6 ottobre 2016 dove analiticamente vengono descritti i singoli passaggi che si debbono in questi casi osservare ai fini della liquidazione del danno (prima la rivalutazione della somma, poi quella anno per anno, poi gli interessi legali sino al soddisfo). Più in particolare la Corte di cassazione ha stabilito nella predetta sentenza il seguente principio di diritto: “Nel caso di ritardato adempimento d'una obbligazione di valore, quale è quella che ha ad oggetto il risarcimento del danno aquiliano, la liquidazione deve avvenire dapprima rivalutando il credito all'epoca della liquidazione (oppure liquidandolo direttamente in moneta attuale), operazione che serve a ricostituire il patrimonio del danneggiato; quindi stimando gli effetti della mora debendi, operazione che può essere compiuta calcolando il rendimento, per ogni anno di mora e ad un saggio di interessi scelto equitativamente dal giudice, di un capitale pari all'importo del credito rivalutato anno per anno”. Ed ancora che: “Su tale importo nominale, che per effetto della liquidazione compiuta nella presente sede si trasforma in un’obbligazione di valuta, saranno altresì dovuti gli interessi legali dalla data della pubblicazione della presente decisione”.
Nei sensi e nei limiti di cui sopra anche tale motivo di appello deve dunque essere rigettato.
8. Quanto al terzo motivo di appello, l’ulteriore danno da mancata chance lavorativa non può essere in effetti riconosciuto atteso che, se è vero da un lato che la persona che era stata illegittimamente incaricata aveva ottenuto alcune proroghe annuali (sino a vincere una ulteriore selezione nel 1998 e poi essere assunta a tempo indeterminato), è anche vero dall’altro lato che tali proroghe si basavano sui buoni esiti dell’attività affidata a quella stessa persona, ossia su un intuitu personae che non potrebbe essere parimenti garantito, in astratto, per un soggetto come la appellante che non ha mai operato in concreto “sul campo”. Questo per quanto riguarda il periodo che va dalla scadenza del primo contratto sino alla indizione di una seconda selezione nel 1998.
Dal 1998 in poi, invece, come correttamente evidenziato dal giudice di primo grado, la stessa appellante non ha neppure preso parte alla seconda selezione indetta nel 1998 per il medesimo posto di ragioniere capo. Né ha mai contestato gli esiti di questa seconda tornata selettiva. Di qui la totale assenza di prova circa la possibile spettanza del bene della vita.
A ciò si aggiunga che, per tale via, si riconoscerebbe una chance sostanzialmente illimitata alla appellante la quale, giova ripetere, non ha fornito adeguata dimostrazione circa la eventuale impossibilità di poter fare leva, medio tempore, su altre occasioni di guadagno professionale.
Difetta nella sostanza, come pure ben evidenziato dal giudice di primo grado, la dimostrazione circa la ulteriore spettanza (ossia dallo scadere del primo incarico annuale) dell’anelato bene della vita.
Anche tale motivo di appello deve pertanto essere rigettato.
9. In conclusione il ricorso in appello deve essere rigettato, con conseguente conferma della sentenza di primo grado.
10. Le spese di lite possono essere integralmente compensate tra le parti costituite, attesa la peculiarità della esaminata fattispecie.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.