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13 ottobre 2023
Il danno da mancata assunzione non può tradursi nella liquidazione dell’intera somma dei compensi spettanti nel periodo di riferimento

Ciò significherebbe infatti riconoscere un vantaggio eccessivo al danneggiato che avrebbe potuto e dovuto nel frattempo concentrare i propri sforzi verso ulteriori occasioni lavorative.

La Redazione

Il TAR Calabria accoglieva la richiesta risarcitoria per equivalente proveniente dall'attuale ricorrente che aveva partecipato ad una selezione per il conferimento di un incarico presso il Comune ma era arrivata seconda a causa dell'omessa valutazione di alcuni titoli di servizio che, se considerati, le avrebbero permesso di aggiudicarsi l'incarico.
Nello specifico, il risarcimento concessole consisteva nel 50% degli emolumenti che le sarebbero spettati se solo fosse stata dichiarata legittimamente la vincitrice della selezione.
Contro tale decisione, l'interessata propone appello lamentando il fatto che nella quantificazione del danno si sarebbe dovuto tener conto dell'”entità della imperizia” della P.A. nel porre in essere l'atto illegittimo, oltre al fatto che non le era stato riconosciuto a titolo di risarcimento anche il periodo successivo alla scadenza dell'incarico.

Con la sentenza n. 8633 del 3 ottobre 2023, il Consiglio di Stato dichiara l'appello infondato, rilevando innanzitutto che in caso di mancata assunzione non può essere accordata al danneggiato l'intera somma dei compensi spettanti nel periodo di mancata assunzione, poiché ciò significherebbe attribuire un vantaggio eccessivo. Da qui la misura del riconoscimento del 50% di tali compensi. Il Consiglio di Stato spiega infatti che il danneggiato avrebbe potuto nel frattempo dirottare il suo tempo e le sue energie lavorative in altri ambiti, per cui la liquidazione del danno in questione non può che avvenire ai sensi dell'art. 1226 c.c., non potendo l'appellante ricavare un'utilità maggiore rispetto al danno subito, né ai danni non ancora subiti ma proiettati nel futuro, considerando che nei periodi considerati ella non aveva comunque prestato servizio.
Da ciò consegue che la quantificazione del danno non deve essere rapportata all'eventuale gravità dell'illegittimità, bensì all'effettiva entità del pregiudizio subito che la parte appellante non ha comunque avuto cura di precisare ulteriormente.
Quanto all'ulteriore danno da mancata chance lavorativa, il Consiglio di Stato afferma che esso non può essere riconosciuto, in quanto si finirebbe per riconoscere all'appellata una chance sostanzialmente illimitata senza che abbia fornito alcuna dimostrazione circa l'eventuale impossibilità di poter far leva medio tempore su altre occasioni di guadagno professionale.
Segue il rigetto del ricorso.