Il termine lungo va comunque rispettato, sia stata o meno notificata la sentenza, e dunque tale notifica può avere l'effetto di far scattare anche il termine breve e determinare, quando l'impugnazione non lo rispetti, la formazione del giudicato formale se venuto a scadere prima del termine lungo.
La Corte d'Appello di Firenze dichiarava inammissibile perché tardivo l'appello proposto dagli attuali ricorrenti contro la sentenza con cui il Tribunale aveva dichiarato inammissibile l'opposizione tardiva avverso il decreto ingiuntivo che era stato emesso nei loro confronti.
Nello specifico, era accaduto che gli appellanti avevano notificato un primo atto di impugnazione a maggio...
Svolgimento del processo
la Corte d’appello di Firenze ha dichiarato inammissibile, poiché tardivo, l’appello proposto da D. (alias D.) e P. D., nei confronti di J.M. e J. M. B. avverso la sentenza del Tribunale di Lucca che aveva dichiarato inammissibile l’opposizione tardiva avverso il decreto ingiuntivo nei loro confronti emesso per il pagamento, in favore di questi ultimi, della somma di € 350.000,00 oltre accessori;
ha infatti rilevato, per quanto ancora interessa, che:
- gli appellanti avevano notificato un primo atto di impugnazione in data 25 maggio 2016, iscritto a ruolo al n. 1407/2016 solo in data 9 giugno 2016;
- un secondo atto di appello, con le medesime conclusioni, era stato dagli stessi notificato il 24 giugno 2016 e poi tempestivamente iscritto a ruolo in data 30 giugno 2016, al n. 1599/2016;
- l’iscrizione a ruolo nel proc. n. 1407/2016 R.G. è da ritenersi irrimediabilmente tardiva (non potendo di contro valere che la parte appellante non avesse ricevuto il messaggio di conferma della consegna della notifica e fosse dunque rimasta nell’incertezza circa il perfezionamento o meno della stessa);
- non essendo seguita la declaratoria di improcedibilità ex art. 348 c.p.c., gli appellanti potevano bensì proporre una nuova impugnazione, ma quella di fatto proposta è da considerarsi tardiva essendo stato il nuovo atto di appello notificato in data 24 giugno 2016, quando il termine lungo per impugnare, ovvero quello semestrale di cui all’art. 327 c.p.c., era già decorso, essendo stata pubblicata la sentenza in data 25 novembre 2015;
- non può di contro rilevare che la notifica del secondo appello sia intervenuta entro il termine di trenta giorni dal primo tentativo di notifica, evento equipollente alla notifica della sentenza ai fini del decorso del termine breve ex art. 325 cod. proc. civ.;
avverso tale decisione D. e P. D. propongono ricorso per cassazione con unico mezzo, cui resistono gli intimati depositando controricorso;
la trattazione è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ.;
non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero; i ricorrenti hanno depositato memoria;
Motivi della decisione
con l’unico motivo i ricorrenti denunciano «violazione o falsa applicazione dell’artt. 327, primo comma cod. proc. civ., anche in relazione agli artt. 3 e 24 Cost.»;
sostengono che la seconda impugnazione avrebbe dovuto considerarsi tempestiva alla luce del principio, affermato da Cass. Sez. U. 09/06/2016, n. 12084, secondo cui «la notifica di un primo atto di appello (o ricorso per cassazione) avvia una dinamica impugnatoria al fine di pervenire alla definizione della lite e dimostra conoscenza legale della sentenza da parte dell'impugnante. Ne consegue che qualora questi, prima che sia giunta declaratoria di inammissibilità od improcedibilità, notifichi una seconda impugnazione, quest'ultima deve risultare tempestiva in relazione al termine breve decorrente dalla data di proposizione della prima impugnazione»;
secondo i ricorrenti, in virtù di tale principio, una volta che debba aversi riguardo al termine breve, il cui decorso viene fatto scattare dal primo atto di impugnazione, se -come nella specie- non ancora dichiarato improcedibile o inammissibile, rimane del tutto irrilevante, in quanto non più comunque applicabile, il decorso del termine lungo ove nel frattempo venuto a scadere anteriormente alla scadenza del termine breve;
la censura è manifestamente infondata;
il principio evocato ha chiaramente una ratio ispiratrice (tutt’altro che distonica ma anzi pienamente conforme ai principi della Costituzione e della CEDU in tema di giusto processo e ragionevole durata) di rafforzata tutela del giudicato, attraverso una interpretazione estensiva delle previsioni che ne prevedono una formazione in termini abbreviati, e non certo quella opposta - sottesa evidentemente alla tesi censoria e cui comunque si perverrebbe ove si volesse per absurdum ad essa aderire - di tendere a favorire un loro prolungamento, peraltro sostanzialmente affidato all’arbitrio della parte;
non a caso, giova rimarcare, la pronuncia delle Sezioni Unite, riguardava un caso in cui si dibatteva intorno alla tempestività di impugnazioni che, proposte nel rispetto del termine lungo di cui all’art. 327 cod. proc. civ., non rispettavano invece quello breve decorrente da una prima impugnazione cui non si era dato corso (per motivi che in questa sede non rilevano) e che non aveva però ancora consumato il potere di impugnazione per non essere stata ancora dichiarata improcedibile o inammissibile: l’inapplicabilità del termine lungo è stata, in quel caso, dunque, affermata non certo a favore della parte impugnante ma per dire che su quello prevale, in quanto venuto a scadere anteriormente, il termine breve la cui decorrenza deve ritenersi scattare per effetto del primo atto di gravame;
nessuna affermazione in tale pronuncia giustifica dunque la tesi sostenuta dai ricorrenti, riassumibile nell’assunto - evidentemente paradossale prima ancora che privo di alcun fondamento normativo o sistematico - secondo cui la notifica, ancorché nulla, di un qualsiasi atto di impugnazione, varrebbe di per sé sempre e comunque ad escludere l’applicabilità del termine lungo per impugnare e quindi, di fatto, a consentire, ove l’evento in grado di far decorrere il termine breve si verifichi in prossimità della scadenza del termine lungo, una corrispondente proroga di quest’ultimo;
al contrario quel principio va letto nel senso che, in tutti i casi in cui si verifichi un evento in grado di far scattare la decorrenza del termine breve per impugnare, l’impugnazione rimane soggetta al termine (breve o lungo) che per primo viene a scadenza;
ed è certamente in tal senso che va letta (come del tutto condivisibilmente già affermato da Cass. n. 6187 del 30/03/2016, richiamata dalla Corte d’appello; ma v. già, nello stesso senso, Cass. n. 8191 del 16/06/2000; n. 4508 del 11/07/1981; n. 1321 del 25/02/1980) la norma di cui all’art. 327 cod. proc. civ. là dove avverte, proprio in apertura, che dalla pubblicazione della sentenza decorre il termine (ora) di sei mesi per le impugnazioni ivi previste, «indipendentemente dalla notificazione»;
l’uso del detto avverbio non può avere, infatti, altro significato, nel contesto normativo, se non quello di rimarcare che il termine lungo va comunque rispettato, sia stata o meno notificata la sentenza, e che dunque tale notifica può bensì aver l’effetto di far scattare anche il termine breve e determinare, ove l’impugnazione non lo rispetti, la formazione del giudicato formale se venuto a scadere prima del termine lungo (rendendo così irrilevante la sua non ancora maturata scadenza) ma non certo quello opposto di precludere la formazione del giudicato per effetto della scadenza del termine lungo se, nelle ipotesi predette, maturata anteriormente a quella del termine breve;
il ricorso deve essere dunque rigettato, con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo;
va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 13, comma 1- quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13;
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
condanna i ricorrenti al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 10.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13.