Spetta dunque al legittimario la scelta o di eseguire la disposizione o di abbandonare la disponibile per conseguire la legittima.
La causa in esame riguarda una successione testamentaria ove il testatore, dopo aver lasciato al coniuge l'usufrutto generale, aveva disposto della nuda proprietà di alcuni immobili con i relativi arredi a favore della sorella e delle nipoti, oltre a disporre in favore di una di queste ultime dell'eventuale residuo sul conto corrente di famiglia.
La causa viene...
Svolgimento del processo
La presente causa riguarda la successione testamentaria di M. A., il quale è deceduto il (omissis), lasciando il coniuge L. G., la sorella M. A. M. e i figli del fratello premorto M. G.: M., S. e A. M..
Il testatore, dopo avere lasciato al coniuge l’usufrutto generale, dispose della nuda proprietà di alcuni immobili, con i relativi arredi, in favore della sorella e delle nipoti (in particolare ha lasciato alla nipote S. M. l’immobile in M., C.E. XX), disponendo inoltre in favore di una delle nipoti dell’eventuale residuo del conto corrente di famiglia.
La causa è stata iniziata dal coniuge L.G. dinanzi al Tribunale di Cuneo. Il coniuge ha fatto valere la propria qualità di legittimaria che sarebbe stata pregiudicata dalle disposizioni testamentarie.
Il Tribunale ha così deciso: a) ha qualificato la domanda quale esercizio dell’azione di riduzione e l’ha ritenuta inammissibile per non avere il coniuge rinunziato al lascito dell’usufrutto, qualificato come legato in sostituzione di legittima; b) ha aggiunto che la domanda non avrebbe potuto trovare comunque accoglimento per la sua estrema genericità, non avendo l’attrice determinato la misura della lesione.
La Corte d’appello di Torino, adita da G. A. e G. G. B., eredi di G. L. deceduta nel corso del giudizio di primo grado, ha rigettato l’appello, prendendo posizione in primo luogo sulla questione dell’appartenenza, negata dall’appellante, all’asse dell’immobile in M., C. E. XX, oggetto di uno dei lasciti testamentari. Essa ha ritenuto che: a) in considerazione dell’epoca dell’acquisto e in applicazione della disciplina transitoria della riforma del diritto di famiglia del 1975, l’immobile in M., C. E. XX, già adibito a casa coniugale, costituiva oggetto di comunione fra i coniugi; b) i documenti, prodotti dall’appellante nel grado per dimostrare che l’immobile costituiva oggetto di donazione indiretta, elargita dei genitori della G. a favore di questa, erano inammissibili ex art. 345 c.p.c., nel testo attuale applicabile ratione temporis. In ordine alle altre questioni dibattute nel giudizio, la Corte territoriale ha confermato la decisione di primo grado in forza dei seguenti rilievi: c) l’attrice, con la domanda iniziale, aveva esercitato l’azione di riduzione; d) tuttavia, la G., destinataria di un legato in sostituzione di legittima, non aveva assolto al proprio onere di rinunziare al legato sostitutivo con la forma scritta richiesta in considerazione dell’oggetto immobiliare del lascito; e) invero, solo nelle conclusioni del giudizio di primo grado l’attrice aveva chiesto accertarsi la mancata accettazione del legato, invocando peraltro in questo modo l’accertamento di un fatto irrilevante, in quanto il legato si acquista senza necessità di accettazione, essendo rilevante al limite la rinunzia; f) inoltre, la legittimaria, prima della lite, aveva attuato una pluralità di comportamenti sintomatici della propria volontà di ritenere il legato (permanenza negli immobili oggetto dell’usufrutto, prelievo di mobili dalla casa di C., prelievo di una somma ingente di denaro effettuata dal conto cointestato due giorni prima della morte) e quindi preclusivi della successiva rinunzia; g) quanto all’ulteriore deduzione del coniuge appellante, in ordine all’applicabilità nella specie dell’art. 550 c.c., la stessa era tardiva, in quanto effettuata solo nella comparsa conclusionale del giudizio di primo grado e poi in appello; h) in ogni caso, doveva considerarsi che, nella specie, la legittimaria aveva inizialmente esercitato l’azione di riduzione, attuando in questo modo un comportamento incompatibile con l’invocazione della tutela apprestata dall’art. 550 c.c.; i) inoltre, erano infondate le censure degli appellanti in ordine al difetto dei presupposti di applicabilità dell’art. 564 c.c., che invece ricorrevano, non essendo il coniuge legittimario preterito ed essendo al possesso dei beni ereditari; l) erano ancora condivisibili le considerazioni del Tribunale nella parte cui fu posta in luce l’inammissibilità dell’azione di riduzione, per non avere la legittimaria assolto all’onere di indicare l’entità dell’asse e la misura della lesione.
Avverso questa decisione propone ricorso per cassazione G. A., anche nella qualità di erede di G. G. B., sulla base di sei motivi.
M. M., M. S. e M. A. hanno resistito con controricorso. Ha resistito con distinto controricorso anche M. A. M..
Le parti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 179, e degli artt. 1418, comma 2, 1346 e 1419 c.c.
L’immobile, costituente la casa familiare (in M. C. E. XX), non era di proprietà del defunto, ma apparteneva in via esclusiva al coniuge del testatore, non essendo applicabile il regime della comunione legale, trattandosi di matrimonio avvenuto prima dell’entrata in vigore della legge del 1975 sulla riforma del diritto di famiglia. In ogni caso, ammessa e non concessa l’operatività della nuova disciplina per gli acquisti operati durante il regime transitorio, il bene doveva considerarsi ugualmente personale, in quanto oggetto di donazione indiretta fatta alla G. dai suoi genitori, che avevano acquistato per loro l’usufrutto e per la figlia la nuda proprietà.
Il testatore, pertanto, avrebbe disposto di cosa non sua, il che comportava la nullità della disposizione. Il vizio, seppure circoscritto alla quota di metà dell’immobile, persisteva anche a volere ritenere che il bene fosse comune.
Il secondo motivo denunzia omissione di pronunzia sulla domanda di nullità della disposizione testamentaria riguardante il bene altrui.
Il terzo motivo denunzia analoga omissione riferita alla domanda di nullità parziale della stessa disposizione, la cui fondatezza derivava de plano dal riconoscimento, operato nella sentenza impugnata, della ricaduta dell’immobile in comunione. Il quarto motivo denunzia violazione dell’art. 550 c.c. e falsa applicazione dell’art. 551 c.c. L’azione esperita dal coniuge legittimario, destinatario dell’usufrutto generale, doveva essere qualificata quale esercizio del rimedio di cui all’art. 550 c.c., i cui presupposti furono univocamente dedotti dalla G. già con la citazione inziale. La Corte d’appello, invece, ha erroneamente sussunto la fattispecie nella previsione dell’art. 551 c.c., che disciplina il legato in sostituzione di legittima. La disposizione in favore del coniuge, tuttavia, non integrava tale ipotesi innanzitutto perché il lascito dell’usufrutto generale non costituisce legato, ma istituzione di erede; in secondo luogo, perché, seppure la disposizione avesse potuto qualificarsi quale legato, non c’erano i requisiti richiesti per poterlo ritenere in sostituzione dl legittima, Si sottolinea che dalla lettura del testamento «non emerge alcuna volontà in tal senso, avendo il de cuius disposto nei confronti del coniuge come segue “Lascio usufruttuaria generale [...] mia moglie”. Nel caso di specie in cui il testamento non menziona alcuni seppure esigui beni, una manifestazione espressa in tal senso sarebbe stata d’obbligo ove il de cuius avesse davvero voluto escludere la successione legittima del coniuge con riguardo a detti beni». Occorreva poi considerare che il legato era stato rinunziato.
Il quinto motivo denunzia violazione degli artt. 550, 456, 620 e 649 c.c. e nullità della sentenza per difetto di motivazione. La tutela apprestata dall’art. 550 c.c. implica l’esercizio di una facoltà di scelta del legittimario, che può essere fatta anche tacitamente. Tale scelta, nel senso del conseguimento della legittima in piena proprietà, nella specie già fatta dal coniuge prima del giudizio, fu poi univocamente reiterata con la iniziale domanda giudiziale, che conteneva la richiesta di conseguimento della legittima in piena proprietà e la consequenziale divisione. La corte territoriale, inoltre, era incorsa in errore nella parte in cui aveva ritenuto che la volontà espressa nel giudizio della legittimaria fosse in contradizione con i comportamenti tenuti dalla medesima prima della lite. Infatti, l’avere prelevato i mobili degli immobili ereditari manifestava l’intenzione della G. di comportarsi come proprietaria e non come usufruttuaria. In quanto al prelievo dal conto cointestato, questo era avvenuto prima dell’apertura della successione, nell’esercizio di un diritto derivante dalla cointestazione, non dal lascito testamentario.
Il sesto motivo denunzia violazione degli artt. 551, 554 e 564 c.c. e nullità della sentenza per difetto di motivazione. Anche a volere ammettere che l’attrice avesse agito in riduzione, la sentenza sarebbe ugualmente erronea, essendo l’azione ammissibile sotto tutti i profili.
2. Il primo motivo è in parte inammissibile e in parte fondato. Invero, la tesi, sostenuta con il motivo in esame, che, in mancanza di dichiarazione di dissenso, sarebbero soggetti al regime della comunione solo i beni acquistati dopo il biennio dalla data di entrata in vigore della legge, è in contrasto con la giurisprudenza della Corte, che ha stabilito in materia il seguente principio: «In tema di regime patrimoniale della famiglia, la norma transitoria di cui all'art. 228 della legge 19 maggio 1975, n. 175 assoggetta alla disciplina della comunione legale anche le famiglie già costituite alla data di entrata in vigore della stessa legge, potendo ciascuno dei coniugi opporsi al regime di comunione legale con una dichiarazione di volontà, da manifestarsi entro due anni da detta data, in relazione ai soli beni acquistati dopo la data medesima e, dunque, anche in relazione a quelli acquistati nel periodo durante il quale gli stessi coniugi avrebbero potuto manifestare la volontà contraria all'anzidetto assoggettamento» (Cass. n. 225/2010).
2.1. Il coniuge ha poi sostenuto che, seppure fosse applicabile il regime della comunione, il bene non era entrato a farne parte, in quanto oggetto di donazione indiretta fatta in suo favore dei genitori, che avevano pagato l’intero prezzo. La Corte d’appello ha esaminato tale eccezione e l’ha rigettata, avendo ritenuto tardiva, ex art. 345 c.p.c., la produzione operata dall’appellante nel grado al fine di dimostrare la provenienza del bene da donazione indiretta. Tale statuizione non è in nessun modo censurata in questa sede, onde resta idonea a sorreggere la decisione e la censura, proposta su questo aspetto, si palesa inammissibile.
2.2. Altra questione è quella dei rifessi della appartenenza solo parziale del bene al testatore, accertata dalla Corte d’appello, che non ha poi tratto le debite implicazioni che discendevano da tale accertamento.
La censura proposta con il motivo in esame a questo riguardo è fondata.
Invero, la corte territoriale, una volta riconosciuta la proprietà solo pro quota dell’immobile in M., C. E. XX, in capo al testatore, il quale aveva tuttavia disposto dell’intero, avrebbe dovuto porsi il problema della validità della stessa disposizione sotto il profilo della disciplina del testamento. Al contrario, la corte di merito non si è data neanche la cura di qualificare la disposizione. In linea di principio l’oggetto particolare del lascito poneva l’alternativa fra il legato di cosa parzialmente altrui, ex art. 652 c.c., e un’istituzione ex re fatta con un bene solo in parte del testatore: nell’uno nell’altro caso occorreva una presa di posizione specifica sulla validità della disposizione.
Il fatto, evidenziato dalle controricorrenti sorelle M. e ripreso nella memoria, che, in appello, gli eredi della G. insistettero solo nella pretesa volta a escludere totalmente il bene dall’asse è, a questi effetti, irrilevante, Invero, la corte di merito, nel riconoscere la proprietà comune, ha comunque negato la proprietà esclusiva del testatore, accogliendo quindi in parte la domanda. In conseguenza di tale riconoscimento, la corte territoriale avrebbe dovuto considerare i riflessi del parziale difetto di titolarità in capo al testatore, previa qualificazione della natura della disposizione.
3. L’accoglimento, nei limiti di cui sopra, del primo motivo comporta l’assorbimento del secondo e del terzo motivo.
4. Il quarto e il quinto motivo, da esaminare congiuntamente, sono fondati. La sentenza impugnata ha qualificato la disposizione in favore del coniuge quale legato di usufrutto generale. Tale qualificazione è corretta. Deve infatti ribadirsi che il lascito dell’usufrutto generale non è istituzione di erede, ma legato: il che non vuol dire che il legato dell’usufrutto generale, qualora sia disposto in favore di un legittimario, sia necessariamente un legato in sostituzione di legittima.
È principio acquisito che la volontà del testatore, di tacitare il legittimario con un legato, non deve esprimersi attraverso formule tipiche o con l’uso dell’espressione “legato in sostituzione”, né è richiesto che si preveda espressamente l’alternativa, per l’onorato, tra il legato e il titolo di erede. Questa alternativa si produce in forza della legge. È sufficiente che risulti, in modo chiaro e non equivoco, che il testatore intendeva attribuire a titolo particolare un bene o un diritto sull’eredità. Il legittimario, conseguendo il legato, rimane escluso dall’eredità e non potrebbe beneficiare di beni ereditari scoperti successivamente alla sua scelta, che sono acquistati dall’erede istituito (Cass. n. 1573/2000; n. 5919/2000).
La nozione di legato sostitutivo, quale emerge dalla giurisprudenza della Corte di legittimità, sembra supporre, quale caratteristica essenziale della figura, l’intenzione del testatore di soddisfare interamente mediante l’attribuzione patrimoniale i diritti del legittimario: l’attribuzione, se accettata, esaurisce le ragioni ereditarie del medesimo (Cass. n. 5232/1998). In questo senso la giurisprudenza sembra aderire alla tesi secondo la quale il legato sostitutivo è essenzialmente qualificato dalla volontà negativa di escludere il legittimario dall’eredità, manifestata mediante l’istituzione ex asse di altre persone. Il legittimario destinatario del legato sostitutivo, non essendo chiamato all’eredità, si trova nella condizione del legittimario preterito. Egli diviene erede solo con il felice esperimento dell’azione di riduzione, che è subordinata al rifiuto del legato.
5. I giudici di merito, nonostante la (pur non decisiva assenza) di qualsiasi espressione nel testamento evocativa del legato sostitutivo, hanno riconosciuto l’esistenza di tale fattispecie sic et simpliciter. Contrariamente a quanto sostengono nella memoria le sorelle M., la corte territoriale non ha compiuto alcuna “valutazione del tenore complessivo della scheda testamentaria”. Invero, i giudici di merito non si sono neanche curati di qualificare le altre disposizioni testamentarie. Se fosse vero, come sostengono le stesse controricorrenti, che le altre disposizioni costituivano legati, sarebbe giocoforza concludere che, con riferimento all’eredità del testatore, i soli eredi erano quelli legittimi, coniuge compreso. Risulta inoltre che fu rappresentata in causa l’esistenza di beni non compresi nel testamento, in linea di principio destinati a devolversi secondo le norme sulla successione intestata in favore dei successibili ex lege, coniuge compreso: il che, certamente, introduceva un ulteriore elemento rilevante ai fini dell’indagine volta a verificare la natura della disposizione in favore del coniuge, che non è stato minimamente considerato.
In conclusione, è vero che stabilire se una disposizione testamentaria a favore di un legittimario integri un legato in sostituzione costituisce accertamento di fatto insindacabile in sede di legittimità (Cass n. 18583/2011); ma è altrettanto vero che tale doverosa attività interpretativa, nella specie, è del tutto mancata, risolvendosi la decisione su questo punto in una pura petizione di principio, che neanche tiene conto delle caratteristiche essenziale del legato sostitutivo, incorrendo così nella falsa applicazione dell’art. 551 c.c. e, come si vedrà, anche dell’art. 550 c.c.
6. In mancanza di una chiara volontà del testatore di tacitare l’onorato, il legato in favore del legittimario si presume in conto di legittima, e quindi si considera un lascito da imputarsi alla quota, analogamente alle donazioni senza dispensa dall’imputazione. È tuttavia vero che, quando il legato abbia ad oggetto l’usufrutto generale, la fattispecie di riferimento, più che quella del legato in conto, è quella prevista dall’art. 550 c.c. La corte di merito ha ritenuta tardiva la deduzione fondata sull’art. 550 c.c. proposta nel grado dalla parte appellante. Tale valutazione è impropria, perché la deduzione non introduceva fatti nuovi, ma poneva un problema di qualificazione giuridica della iniziale domanda, con la quale la legittimaria aveva manifestato l’intenzione di entrare in possesso «della quota di ½ della piena e intera proprietà del patrimonio morendo dismesso dal defunto».
La Corte territoriale, nonostante abbia considerato erroneamente tardiva la deduzione, l’ha ritenuta comunque infondata. La sentenza impugnata, dopo avere delineato in termini scolastici la nozione dell’istituto, pone in luce la differenza fra la cautela sociniana e l’azione di riduzione, per poi concludere che «la diversità di presupposti, struttura e finalità delle disposizioni di cui all’art. 550 c.c. e 554 c.c. comporta l’incompatibilità delle scelte, nel senso che qualora il legittimario opti per la prima, non potrà agire utilizzando lo strumento della riduzione apprestato dalla seconda delle disposizioni citate». Queste riflessioni sembrano configurare un rapporto di alternatività fra i due strumenti, nel senso che il legittimario, nella situazione considerata dall’art. 550 c.c., potrebbe scegliere fra il conseguimento della legittima in piena proprietà o l’esercizio dell’azione di riduzione. Naturalmente non è così: quando il testatore abbia disposto nei modi stabiliti dall’art. 550 c.c., la scelta che si pone al legittimario non è fra l’abbandono della disponibile e l’esercizio dell’azione di riduzione, ma fra l’esecuzione delle disposizioni testamentarie e l’abbandono della disponibile, che gli consente di avere la legittima in proprietà, non essendoci più spazio a quel punto per l’applicabilità del rimedio della riduzione (Cass. n. 511/1995).
7. In dottrina si ritiene che la scelta di cui all’art. 550 c.c. possa essere esercitata soltanto dal legittimario chiamato all’eredità, se e in quanto l’abbia accettata; infatti, poiché l’esecuzione del testamento spetta all’erede, soltanto al legittimario che rivesta tale qualifica può prospettarsi la scelta se eseguire le disposizioni testamentarie o abbandonare la disponibile per conseguire la legittima. Secondo tale opinione, il presupposto della vocazione ereditaria del legittimario deve rimanere fermo anche nell’ipotesi del secondo comma dell’art. 550 c.c. In altre parole, l’ipotesi presuppone che il testatore abbia disposto a titolo particolare di tutti i suoi beni o di una parte eccedente la disponibile, legando l’usufrutto al legittimario e la nuda proprietà a un estraneo: il legittimario è erede ab intestato e, come tale, ha l’opzione prevista dalla norma in esame in luogo della riduzione. Se invece il testatore ha assegnato al legittimario l’usufrutto universale dei beni e istituito erede l’estraneo nella nuda proprietà, l’alternativa che si pone al primo non è se eseguire o no il legato, perché il legato è eseguito dall’erede non dallo stesso legatario, bensì se accettarlo, domandandone l’esecuzione all’erede, o rifiutarlo per chiedere la quota legittima mediante riduzione dell’istituzione a titolo universale dell’estraneo, che è appunto l’opzione prevista dall’art. 551 c.c. Secondo una diversa opinione, quando il testatore dispone della nuda proprietà di tutto l’asse, lasciando ai legittimari soltanto l’usufrutto dell’asse, si ha, o almeno si può avere, una figura di legato tacitativo, cui l’art. 550 c.c. riconnette effetti speciali. In alternativa alla rinunzia al legato e alla richiesta della legittima, non sarebbe preclusa al legittimario la possibilità di valersi della cautela.
8. Le considerazioni che precedono rendono evidente che l’aspetto centrale della fattispecie, al fine della qualificazione della disposizione in favore della G., è costituito dalla definizione della posizione del coniuge nell’eredità, avuto riguardo alla natura delle altre disposizioni testamentarie e, comunque, in presenza di beni non contemplati nella scheda, da devolversi in ipotesi secondo le norme della successione intestata. I giudici di merito, invece, fuorviati dall’idea che il legato dell’usufrutto generale in favore di un legittimario sia per definizione un legato sostitutivo, hanno omesso tale preliminare ed essenziale verifica. Inoltre, nel determinare il discrimine fra l’ipotesi dell’art. 551 c.c. e la cautela sociniana, la corte territoriale avrebbe dovuto avere ben chiaro che le considerazioni proposte dal primo giudice, condivise dalla corte di merito, sull’inammissibilità della riduzione a causa della mancata formale rinunzia al legato sostitutivo, non potevano valere, in via automatica, nella diversa prospettiva della scelta attribuita al legittimario dall’art. 550 c.c., trattandosi di istituti diversi, soggetti a una disciplina differente. Le differenza sono di solito così delineate: a) a differenza della rinunzia la dichiarazione di abbandono della disponibile ha carattere recettizio (art. 1334 c.c.); b) non è vincolata all’onere della forma scritta di cui all’art. 1350 c.c., qualora la disponibile abbandonata comprenda beni immobili; c) non occorre che sia formulata in termini di dichiarazione di abbandono della disponibile o in termini equivalenti, essendo sufficiente la manifestazione della volontà di non eseguire la disposizione, che può assumere la forma della domanda giudiziale. È stato anche chiarito che la scelta (per la legittima in piena proprietà, con abbandono della nuda proprietà o dell'usufrutto della disponibile, ovvero per il conseguimento dell'oggetto della disposizione testamentaria) può essere provata anche per testimoni o per presunzioni, anche se è in questione l'usufrutto o la nuda proprietà di beni immobili (Cass. n. 511/1995). È vero, tuttavia, che la differenza fra i due istituti si coglie allorché sia messa in discussione la volontà testamentaria, non nel caso contrario in cui il legittimario vi presti acquiescenza, fermo restando che l’acquiescenza si manifesta in forma diversa. Nella logica del legato sostitutivo, il legatario, se preferisce conseguire il legato, può chiederne l’esecuzione all’erede, mentre nella logica dell’art. 550 c.c. manifesta analogo intento, eseguendo la disposizione.
Secondo le controricorrenti M., la Corte d’appello avrebbe accertato, con le considerazioni proposte a pag. 15 della sentenza, che la G. aveva dato spontanea esecuzione al testamento, essendo quindi preclusa anche la scelta a cui allude l’art. 550 c.c. L’osservazione non si può condividere. Sul piano formale, le considerazioni sono proposte dalla decisione impugnata nella logica dell’accettazione confermativa del legato, non della cautela sociniana. Scendendo nel dettaglio, la corte di merito menziona innanzitutto la permanenza della G. nel possesso esclusivo degli immobili oggetto di usufrutto, anche se poi dimostra di non attribuire a tale permanenza un particolare significato. Ma proprio sul piano del possesso di quanto oggetto della disposizione è chiaro che ciò che vale per il mero legatario dell’usufrutto generale, non è automaticamente valido per il legatario dell’usufrutto generale che sia contemporaneamente chiamato ex lege all’eredità. Il primo deve chiedere il possesso all’erede, il secondo, nel concorso con altri eredi, deve chiedere il possesso solo per parte loro spettante. Nello stesso tempo, in ipotesi di un’autonoma immissione nel possesso, la valutazione del comportamento, al fine di stabilirne l’univocità, non potrebbe non tenere conto dei poteri connessi alla qualità ereditaria, che implica di per sé il possesso e il potere di amministrare nell’interesse di tutti. Si comprende quindi come ogni valutazione in materia non possa prescindere da una chiara a preventiva definizione della fattispecie normativa di riferimento, che nella specie è mancata. Quanto agli altri comportamenti menzionati dalla Corte territoriale, si allude al prelievo di oggetti contenuti negli immobili di C., rispetto ai quali, tuttavia, non emerge neanche il collegamento con il testamento e la sua esecuzione. Infine, quanto al comportamento al quale la corte di merito ha attribuito la maggiore importanza, identificato nel prelievo di gran parte del saldo del conto cointestato con il de cuius, si allude a un fatto avvenuto persino prima dell’apertura della successione!
Non esiste in ultima analisi nella decisione una ratio decidendi autonoma e aggiuntiva rispetto a quella che ha ravvisato nel lascito dell’usufrutto generale un legato sostitutivo, ratio efficacemente censurata con i motivi in esame.
9. È assorbito il sesto motivo.
Si impone, pertanto, in relazione al primo, al quarto e al quinto motivo, la cassazione della sentenza, con rinvio alla Corte d’appello di Torino in diversa composizione, la quale provvederà a valutare l’incidenza sulla validità del testamento della parziale appartenenza al testatore dell’immobile in M., C. E. XX, e provvederà a rinnovato esame della fattispecie successoria e della stessa domanda giudiziale attenendosi al seguente principio di diritto:
«qualora il testatore abbia disposto a titolo particolare di tutti i suoi beni o di una parte eccedente la disponibile, legando al legittimario l’usufrutto universale e la nuda proprietà a un estraneo, il legittimario, privato in tutto o in parte della nuda proprietà della quota riservata, è chiamato ab intestato all’eredità; conseguentemente non si ha una figura di legato tacitativo ai sensi dell’art. 551 c.c., che suppone l’istituzione ex asse di altra o di altre persone, ma ricorre di regola l’ipotesi prevista dall’art. 550, comma 2, c.c., prospettandosi pertanto al legittimario la scelta o di eseguire la disposizione o di abbandonare la disponibile per conseguire la legittima».
La corte di rinvio liquiderà anche le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie, nei limiti di cui in motivazione, il primo motivo; accoglie il quarto e il quinto motivo; dichiara assorbiti i restanti motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa innanzi alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di legittimità.