Svolgimento del processo
Con sentenza n. 821/2018 del 4 aprile 2018, in totale riforma della decisione di primo grado assunta dal Tribunale di (omissis), la Corte d’Appello di Venezia rigettava la domanda proposta dai coniugi G. M. ed E. P. nei confronti dei consorti G. C. e A. C., nonché del Condominio dell’edificio sito in (omissis) alla via D. M. n. 28, denominato <M.>, volta ad ottenere la revisione delle tabelle millesimali del predetto condominio, composto da due sole unità immobiliari, appartenenti l’una agli attori e l’altra ai convenuti.
Contro tale sentenza, notificata ai sensi dell’art. 285 c.p.c. il 9 aprile 2018, il M. e la P. hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, resistiti con controricorso dai C.C..
Il Condominio <M.> è invece rimasto intimato.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio. Le parti costituite hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso, prospettante la violazione dell’art. 132, comma 2, n. 2) c.p.c., si assume che la sentenza impugnata risulterebbe affetta da nullità per non essere stato indicato fra le parti in causa il Condominio <M.>, rimasto contumace nel giudizio d’appello, benché regolarmente citato.
Con il secondo motivo vengono dedotte la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1123, 1321 e ss., 1372 (rectius: 1362 - n.d.r.) e ss. c.c. e degli artt. 68 e 69 disp. att. c.c.
Si rimprovera alla Corte d’Appello di Venezia di aver erroneamente escluso la possibilità di revisione delle tabelle millesimali del Condominio <M.> in ragione della loro ritenuta natura contrattuale.
La soluzione accolta dal collegio veneto si porrebbe, infatti, in contrasto con il tenore letterale dell’art. 69 disp. att. c.c., che non opera alcuna distinzione fra le tabelle millesimali a seconda delle modalità della loro predisposizione.
Avrebbe, inoltre, errato il giudice distrettuale nel qualificare come <diversa convenzione>, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1123, comma 1, ultima parte, c.c., l’accordo concluso nel 1979 fra gli originari proprietari delle due unità immobiliari da cui è composto il Condominio, ovvero i coniugi C.-C. e B.-S. - questi ultimi danti causa degli odierni ricorrenti M. e P.-, prevedente la ripartizione in misura paritaria di tutte le spese condominiali, atteso che l’applicazione del predetto criterio era stata espressamente condizionata dai paciscenti all’osservanza del divieto di sopraelevazione, in sèguito violato ad opera dei convenuti.
Peraltro, dal contenuto dell’accordo non era desumibile la chiara volontà delle parti di derogare alle regole generali di riparto delle spese condominiali stabilite dagli artt. 1118 c.c. e 68 disp. att. c.c., avendo esse <semplicemente previsto una paritaria ripartizione dei millesimi, in perfetta adesione a criteri legali in presenza di condominio minimo>.
Nulla, quindi, impediva a uno dei condòmini di chiedere la revisione delle tabelle a fronte della novità costituita dall’accertata <obiettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unità immobiliari dell’edificio ed il valore proporzionale ad esse attribuito nella tabella>, dovuta al fatto che <alcuni locali, da inesistenti a livello urbanistico-edilizio (soffitte)>, erano divenuti <agibili e liberamente fruibili da parte dei soli appellanti (C.-C. - n.d.r.), ampliando quindi l’àmbito della proprietà degli stessi>.
Per di più, l’operata determinazione convenzionale dei criteri di riparto delle spese risulterebbe comunque affetta <da un errore rappresentato dalla consistenza edilizia effettiva, e quindi taciuta o dissimulata con il riferimento alle soffitte […], falsamente indicate> come inagibili o non praticabili, <ma in realtà, stando alle ammissioni degli stessi appellanti, rivelanti unità immobiliari diverse e di diverso valore proporzionale sin dal 1979 (o dal 1977…)>.
In particolare, l’originario progetto di costruzione dell’edificio prevedeva la realizzazione di un <piano sottotetto non agibile e fruibile a livello abitativo>, il quale, per effetto del sopravvenuto cambio d’uso, è stato trasformato in un <nuovo grande vano, soggiorno-relax-hobby, dotato di caminetto con attiguo angolo studio, una stanza da letto e un bagno completo>.
Con il terzo motivo si denunciano la violazione e la falsa applicazione degli artt. 68 e 69 disp. att. c.c., nonché l’omesso esame di <un elemento decisivo della controversia>.
La Corte di merito non avrebbe tenuto in debito conto la circostanza che, per effetto dell’intervenuta sanatoria dell’abuso edilizio commesso dai coniugi C.-C. -i quali avevano trasformato il piano sottotetto, destinato a <locali accessori> inagibili in <vani abitabili veri e propri>, collegati direttamente con il loro appartamento-, si era venuta a determinare un’<alterazione sostanziale dell’equilibrio superficiario e volumetrico> delle unità immobiliari facenti parte del Condominio.
Il primo motivo è infondato.
Per consolidata giurisprudenza di legittimità, l’omessa indicazione, nell’epigrafe della sentenza, di una parte non costituita in giudizio e la mancata dichiarazione di contumacia della stessa non incidono sulla regolarità del contraddittorio e non comportano, quindi, alcuna nullità, ove risulti che detta parte sia stata regolarmente citata, in tal caso configurandosi un mero errore materiale emendabile con il procedimento di cui all’art. 287 c.p.c. (cfr. Cass. n. 22918/2013, Cass. n. 18513/2006, Cass. n. 10212/2004, Cass. n. 8545/2003).
È stato, inoltre, ripetutamente affermato da questa Corte che ricorre l’ipotesi dell’errore materiale se dal contesto della decisione, nonché dagli atti e dai provvedimenti da essa richiamati o comunque compiuti o intervenuti nel corso del processo, sia inequivocabilmente individuabile la parte pretermessa o inesattamente indicata, sì da potersi stabilire che la pronuncia è stata emessa anche nei suoi confronti (cfr. Cass. n. 16195/2019, Cass. n. 12577/2002, Cass. n. 9077/2001, Cass. n. 2869/1999).
Tale, per l’appunto, è la situazione ricorrente nel caso di specie, emergendo dalle stesse deduzioni dei ricorrenti che la sentenza di primo grado era stata resa anche nei confronti del Condominio
<M.> e che quest’ultimo era volontariamente rimasto contumace nel giudizio di secondo grado, pur avendo ricevuto regolare notificazione dell’atto di citazione in appello.
Il secondo e il terzo motivo -che possono essere esaminati insieme perché intimamente connessi- sono infondati e in parte inammissibili.
Sulla scorta di una valutazione di merito sorretta da ampia e logica motivazione, la Corte d’Appello di Venezia ha affermato la natura contrattuale delle tabelle millesimali del Condominio <M.>, qualificabile come <minimo> perché composto da due soli partecipanti.
Segnatamente, dall’esame della documentazione acquisita al processo il collegio lagunare ha appurato che, «prima ancora di edificare, gli originari proprietari, i consorti C. e B., pattuirono una divisione paritaria delle parti comuni e delle spese condominiali, indipendentemente da quella che sarebbe poi risultata la concreta consistenza dell’edificio e delle loro due abitazioni», sùbito dopo soggiungendo che «nel 1979, quando l’edificio fu completato, le parti attuarono l’originario accordo e, stipulando l’atto di identificazione catastale (che specificava le singole proprietà esclusive dei due nuclei familiari), confermarono la ripartizione millesimale paritaria».
Da questi elementi la Corte territoriale ha tratto la conclusione che l’accordo di cui trattasi integra la <diversa convenzione> espressamente fatta salva dall’inciso finale dell’art. 1123, comma 1, c.c., non suscettibile di revisione ai sensi dell’art. 69 disp. att. c.c.
A sostegno della soluzione accolta ha richiamato i princìpi di diritto enunciati da questa Corte con sentenza n. 7300/2010, rammentando che in subiecta materia si suole distinguere tre tipologie di tabelle millesimali:
1) le tabelle convenzionali c.d. <pure>, caratterizzate dall’accordo con il quale «i condòmini, nell’esercizio della loro autonomia», dichiarano espressamente «di accettare che le loro quote nel condominio vengano determinate in modo difforme da quanto previsto dagli artt. 1118 c.c. e 68 disp. att. c.c., dando vita alla ”diversa convenzione“ di cui all’art. 1123, comma 1, ultima parte, c.c.»: in questo caso, «la dichiarazione di accettazione ha valore negoziale e, risolvendosi in un impegno irrevocabile di determinare le quote in un certo modo, impedisce di ottenerne la revisione ai sensi dell’art. 69 disp. att. c.c.»;
2) le tabelle convenzionali c.d. <dichiarative>, che si differenziano dalle prime perché, «tramite l’approvazione della tabella, anche in forma contrattuale (mediante la sua predisposizione da parte dell’unico originario proprietario e l’accettazione degli iniziali acquirenti delle singole unità immobiliari, ovvero mediante l’accordo unanime di tutti i condòmini), i condòmini stessi intendono… non già modificare la portata dei loro rispettivi diritti ed obblighi di partecipazione alla vita del condominio, bensì determinare quantitativamente siffatta portata (addivenendo, così, alla approvazione delle operazioni di calcolo documentate dalla tabella medesima)»: in detta ipotesi, «la semplice dichiarazione di approvazione non riveste natura negoziale, con la conseguenza che l’errore, il quale, in forza dell’art. 69 disp. att. c.c., giustifica la revisione delle tabelle millesimali, non coincide con l’errore vizio del consenso, di cui agli artt. 1428 ss. c.c., ma consiste, per l’appunto, nella obiettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unità immobiliari ed il valore proporzionale ad esse attribuito»;
3) le tabelle c.d. <assembleari>, cioè adottate dall’organo collegiale del condominio con la maggioranza qualificata all’uopo richiesta, le quali risultano «pacificamente soggette al procedimento di revisione di cui al più volte menzionato art. 69».
A fronte del giudizio di fatto espresso dalla Corte d’Appello, la quale ha riconosciuto la natura contrattuale (o, per usare il suo lessico, <convenzionale pura>) delle tabelle millesimali predisposte dagli originari proprietari del Condominio <M.>, le deduzioni svolte dai ricorrenti in ordine alla <obiettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unità immobiliari dell’edificio ed il valore proporzionale ad esse attribuito nella tabella> non colgono nel segno, in quanto l’impegno irrevocabile assunto con la stipula dell’accordo del 1979, integrante una <diversa convenzione> ex art. 1123, comma 1, ultima parte, c.c., impedisce ai suddetti proprietari e ai loro aventi causa di chiederne la revisione ai sensi dell’art. 69 disp. att. c.c., potendo essi esclusivamente esperire l’ordinaria azione di annullamento per errore (cfr. Cass. n. 7908/2001, Cass. n. 2253/2000).
In tal senso è ormai costantemente orientata la giurisprudenza di questo Supremo Collegio, il quale ha più volte ribadito, anche in recenti pronunce, le regulae juris sancite con la sentenza n. 7300/2010, innanzi citata (si vedano, fra le altre, Cass. n. 12259/2023, Cass. n. 1896/2023, Cass. n. 11846/2020, Cass. n. 1848/2018).
Deve, pertanto, escludersi, alla stregua delle esposte considerazioni, la sussistenza della denunciata violazione di legge.
Riguardo, poi, alla censura attinente all’interpretazione data dal collegio territoriale alla convenzione in discorso, va tenuto presente che per poter efficacemente criticare, in sede di legittimità, l’esito dell’attività ermeneutica del giudice di merito non basta limitarsi a prospettare la generica violazione degli artt. 1362 e ss. c.c., ma occorre indicare specificamente i canoni in concreto violati e il punto e il modo in cui l’impugnata sentenza si sarebbe dagli stessi discostata, non essendo ammissibile una doglianza risolventesi nella mera contrapposizione dell’opzione esegetica propugnata dal ricorrente a quella recepita dal giudice, giacché quest’ultima non deve essere l’unica possibile, o la migliore in astratto, ma soltanto una delle possibili e plausibili soluzioni interpretative (cfr. Cass. n. 18467/2023, Cass. n. 22538/2022, Cass. Sez. Un. n. 9774/2020, Cass. n. 28319/2017).
I ricorrenti non hanno assolto adeguatamente l’onere deduttivo suaccennato, onde il profilo di doglianza in disamina non può trovare ingresso.
Per il resto, si osserva che il fatto di cui essi lamentano l’omesso esame è stato in realtà valutato dal collegio distrettuale, che nel paragrafo 4 della sentenza (pagg. 9-11) ha così argomentato:
- «costituisce fatto pacifico, perché non contestato -anzi praticamente ammesso- che le opere condonate nel 1987 esistevano fin dal 1979, all’atto del completamento della costruzione»; oltretutto, «lo stesso CTU… aveva rilevato che la materiale consistenza dell’edificio è rimasta sempre immutata fin dalla sua costruzione»;
- «le tabelle millesimali… devono tener conto della effettiva consistenza e non della regolarità urbanistica delle unità immobiliari», la quale «è ininfluente nel determinare la misura del… concorso alle spese comuni, non fosse altro perché gli altri condòmini non hanno il potere di impedire al condòmino abusivo di fruire delle parti comuni, né quello di rimuovere autonomamente gli abusi».
Fermo quanto precede, trattasi, in ogni caso, di fatto privo di decisività, dovendo ribadirsi che l’accertata natura contrattuale delle tabelle impedisce ai condòmini di chiederne la revisione ai sensi dell’art. 69 disp. att. c.c.
Per le ragioni illustrate, il ricorso deve essere respinto.
Nei rapporti fra le parti costituite le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
Nulla va statuito in ordine alle dette spese nei riguardi della parte rimasta intimata.
Sussistendone i relativi presupposti processuali, viene resa nei confronti dei ricorrenti l’attestazione di cui all’art. 13, comma 1- quater, D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), inserito dall’art. 1, comma 17, L. n. 228 del 2012.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido fra loro, a rifondere ai controricorrenti le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi 5.200 euro (di cui 200 per esborsi), oltre al rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1- bis dello stesso articolo, se dovuto.