
Bensì va spalmata proporzionalmente sulle varie aziende per le quali il lavoratore ha prestato servizio durante il periodo in questione.
La Corte d'Appello respingeva il gravame proposto dalla società attuale ricorrente contro la sentenza di primo grado con la quale era stata condannata, in solido con la committente, al pagamento in favore del dipendente di una somma a titolo di una tantum a copertura della vacanza contrattuale di 44 mesi, somma che era stata solo parzialmente corrisposta dalla datrice in relazione alla previsione del CCNL mobilità nonostante l'impegno assunto attraverso un precedente accordo.
Contro tale decisione, la società propone ricorso in Cassazione lamentando l'erronea interpretazione della normativa contrattuale collettiva nazionale. La Corte territoriale aveva infatti posto a suo carico, anziché solo il periodo di prestazione del lavoratore alle proprie dipendenze, l'intero periodo di vacanza contrattuale pari a 44 mesi, ove aveva lavorato anche alle dipendenze di altre società appaltatrici.
Con l'ordinanza n. 28186 del 6 ottobre 2023, la Corte di Cassazione accoglie il suddetto motivo di ricorso, ricordando che l'indennità una tantum ha la funzione di
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«assicurare un parziale recupero del potere di acquisto del dipendente rispetto all'aumento del costo della vita con riferimento al periodo di mancato rinnovo del contratto collettivo e il suo addossamento a carico del datore si giustifica con i possibili vantaggi economici che questi ne trae, onde non appare giustificato porre a carico del soggetto, con il quale il rapporto intercorreva al momento del rinnovo, l'intero importo anche per i periodi di attività prestata presso precedenti datori di lavoro, verso i quali alcun obbligo era stabilito dalla previsione collettiva». |
La Cassazione ritiene dunque che tale indennità, siccome strutturalmente connessa all'effettuazione della prestazione lavorativa, può essere oggetto di pretesa solo nei termini descritti, in assenza di diversa previsione negoziale delle parti che ponga l'obbligazione interamente a carico di chi risulta datore di lavoro al momento della stipulazione del contratto collettivo
Preso atto di ciò, gli Ermellini cassano il provvedimento impugnato in relazione al motivo accolto e rigettano la domanda.
Svolgimento del processo
Con sentenza del 3 luglio 2019, la Corte d'appello di Reggio Calabria ha respinto l'appello proposto da G. Srl avverso la sentenza di primo grado mediante la quale la società era stata condannata, in solido con T. Spa quale committente ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, al pagamento, in favore di A.A. (suo dipendente da (Omissis), per effetto di cessione del contratto di appalto avente ad oggetto la pulizia dei convogli ferroviari), della somma di Euro 305,39, pari alla differenza tra quanto percepito e quanto a lui spettante, a titolo di importo una tantum a copertura della vacanza contrattuale di 44 mesi fra l'(Omissis): tale somma era stata solo parzialmente corrisposta dalla datrice, in relazione alla previsione del CCNL mobilità in vigore dall'1 settembre 2012, nonostante l'impegno assunto nel documento "verbale di accordo" del (Omissis).
La Corte, affermata la competenza territoriale dell'adito Tribunale di Reggio Calabria, nel merito, ha ritenuto spettante al lavoratore l'importo una tantum rivendicato, da porsi interamente a carico di G., in quanto da erogare con la retribuzione da parte del solo datore attuale al momento di introduzione della previsione contrattuale collettiva, alla luce del proprio iter motivazionale, in considerazione del "verbale di accordo" di assunzione dell'impegno, avuto anche riguardo al tenore dell'art. 4 A.-A.- in quanto non già innovativo, ma, piuttosto, attuativo del precedente CCNL mobilità del 20 luglio 2012.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso assistito da memoria G. Srl ; T. Spa e il lavoratore sono rimasti intimati.
Motivi della decisione
Il Collegio intende dare continuità alle numerose pronunce di legittimità intervenute sulla medesima vicenda, tra le quali Cass. nn. 36648/2022, 36652/2022, 36654/2022, 36775/2022, 36777/2022, 36778/2022, 483/2023, 484/2023, 485/2023, 486/2023, 1301/2023, 1304/2023, 6173/2023, 8490/2023, 17595/2023, 17790/2023, 17837/23, 17833/23, 22410/2023, le cui motivazioni qui si richiamano.
Con il primo motivo di ricorso si denunzia la violazione e falsa applicazione dell'art. 413 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 2, e violazione e falsa applicazione dell'art. 414 c.p.c., comma 1, n. 4, art. 416 c.p.c., comma 3, art. 2697 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere il giudice del gravame ritenuto la competenza territoriale del Tribunale adito, benchè il lavoratore non avesse indicato gli elementi di collegamento tra detto Tribunale ed i fori sanciti dall'art. 413 c.p.c., essendosi limitato ad affermare in maniera generica, e solo nelle richieste istruttorie, di lavorare presso una struttura sita in Reggio Calabria, senza dedurre alcunchè circa l'esistenza di una dipendenza aziendale; si lamenta, quindi, che il predetto giudice, a fronte dell'eccezione di incompetenza territoriale formulata dalla società, abbia ritenuto che quest'ultima avrebbe dovuto puntualmente contestare l'allegazione del ricorrente e, pertanto, negare l'esistenza della predetta struttura, o confutarne consistenza e destinazione, omettendo di considerare che l'onere della prova della competenza grava in capo all'attore.
Con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 1362 c.c., dell'allegato A CCNL Mobilità del 2012, dell'art. 4 del verbale di accordo A.-A. del 5 giugno 2014, per erronea interpretazione della normativa contrattuale collettiva nazionale, in quanto non osservati dalla Corte territoriale i criteri ermeneutici soggettivi, secondo la comune volontà delle parti, nè oggettivi, per avere essa interamente posto a carico della ricorrente, anzichè il solo periodo di prestazione del lavoratore alle proprie dipendenze (dall'(Omissis)), l'intero periodo di vacanza contrattuale di 44 mesi (dall'(Omissis)) nel quale il predetto aveva lavorato alle dipendenze di altre società appaltatrici di T. Spa nonostante la chiara espressione letterale dell'allegato A di corresponsione, "ai lavoratori in forza nelle aziende che applicano il CCNL delle Attività Ferroviarie del 16.4.2003", dell'indennità una tantum con le retribuzioni dei mesi di agosto 2012 e ottobre 2012, "in proporzione ai mesi di servizio prestati nel periodo di riferimento", tenuto conto della natura di mancato adeguamento economico della retribuzione, per vacanza contrattuale, dell'indennità una tantum, in relazione sinallagmatica con la prestazione lavorativa e in assenza di alcun vincolo di solidarietà con le precedenti appaltatrici.
Il primo motivo è infondato.
Con riguardo alla generale previsione di alternatività dei fori, di cui all'art. 413 c.p.c., comma 2 - secondo cui competente per territorio è il giudice nella cui circoscrizione è sorto il rapporto ovvero si trova l'azienda o una sua dipendenza alla quale è addetto il lavoratore o presso la quale egli prestava la sua opera al momento della fine del rapporto - va preliminarmente ribadito che per dipendenza aziendale va inteso il luogo in cui il datore ha dislocato un nucleo, seppur modesto, di beni organizzati per l'esercizio dell'impresa (cfr., in tal senso, tra le altre, Cass. 27/05/2019, n. 14449).
Nel caso di specie, la Corte territoriale ha rilevato che non era stata contestata dalla società datrice di lavoro l'allegazione del lavoratore di prestare servizio presso dipendenza situata in Reggio Calabria, secondo un concetto di "dipendenza" da reputarsi elastico, con la funzione di favorire, per quanto possibile, la coincidenza del luogo di trattazione della causa con quello di effettivo svolgimento della prestazione.
Ha, poi, evidenziato che G. Srl aveva a Reggio Calabria una sede dotata di strumentazione informatica funzionalmente collegata con la sede legale ed alla quale era addetto un responsabile che comunicava con la casa madre quanto alla gestione del personale, ed ha perciò reputato non sussistenti gli elementi per radicare la competenza territoriale invece in Napoli, ove si trova la sede operativa e legale della società, ovvero nella secondaria sede di (Omissis).
Il secondo motivo è da accogliere, poichè, su vicenda analoga a quella in esame, questa Corte è pervenuta alla conclusione che l'indennità "una tantum" "ha (...) la funzione di assicurare un parziale recupero del potere di acquisto del dipendente rispetto all'aumento del costo della vita con riferimento al periodo di mancato rinnovo del contratto collettivo e il suo addossamento a carico del datore si giustifica con i possibili vantaggi economici che questi ne trae, onde non appare giustificato porre a carico del soggetto, con il quale il rapporto intercorreva al momento del rinnovo, l'intero importo anche per i periodi di attività prestata presso precedenti datori di lavoro, verso i quali alcun obbligo era stabilito dalla previsione collettiva" (cfr., sul punto, Cass. 14/01/2021, nn. 554 e 555); ed ha, in particolare, precisato che "conferma indiretta della correttezza della soluzione qui condivisa è costituita dalla esigenza di riproporzionamento, espressamente avvertita dalle parti collettive laddove le stesse hanno stabilito che gli importi in questione dovessero essere corrisposti "in proporzione ai mesi di servizio prestati nel periodo di riferimento"".
Deve, quindi, ritenersi che l'indennità in oggetto, in quanto strutturalmente correlata all'effettuazione della prestazione lavorativa, può essere oggetto di pretesa soltanto nei termini descritti, in assenza di diversa previsione negoziale ad hoc che ponga l'obbligazione integralmente in capo a chi risulti datore di lavoro al momento della stipula del contratto collettivo.
Alla luce delle suesposte argomentazioni, va respinto il primo motivo di ricorso e accolto il secondo.
La sentenza deve essere cassata in relazione al motivo accolto e, non occorrendo ulteriori accertamenti in fatto, ai sensi dell'art. 384 c.p.c., n. 2, la causa va decisa nel merito con conseguente rigetto della originaria domanda proposta dal lavoratore.
L'assoluta novità della questione al momento della proposizione del ricorso introduttivo suggerisce di procedere all'integrale compensazione delle spese relative all'intero processo.
P.Q.M.
La Corte respinge il primo motivo di ricorso; accoglie il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta la domanda.
Spese di lite integralmente compensate.