L'istante, titolare dell'interesse a sfruttare la documentazione falsificata, aveva consapevolmente concorso all'inganno dichiarando l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato in realtà inesistente.
La Corte d'Appello confermava la decisione di primo grado che condannava l'imputato per aver contraffatto dei documenti al fine di ottenere il rilascio del permesso di soggiorno e per il delitto di falso per induzione.
In sede di legittimità, il ricorrente contesta l'erronea applicazione...
Svolgimento del processo
1. Con sentenza dell’11 ottobre 2021, la Corte di appello di Palermo ha confermato quella con cui il Tribunale di Palermo, il 15 novembre 2019, ha dichiarato M. A. colpevole dei delitti di contraffazione di documenti al fine di determinare il rilascio del permesso di soggiorno e di falso per induzione e, riconosciuta la continuazione tra i reati, lo ha condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di un anno e due mesi di reclusione, oltre che al pagamento delle spese processuali.
2. M.A. propone, con l'assistenza dell'avv. G.L., ricorso per cassazione affidato a tre motivi con i quali lamenta, rispettivamente:
- violazione di legge e vizio di motivazione per avere i giudici di merito ritenuto, in carenza di congruo sostegno probatorio, che egli fosse consapevole della falsità delle circostanze esposte nella documentazione esibita al fine di ottenere il permesso di soggiorno;
- violazione di legge e vizio di motivazione per avere la Corte di appello illegittimamente disatteso il motivo di impugnazione con cui era stata chiesta la riqualificazione del fatto contestato in termini di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, anziché ai sensi dell'art. 5, comma 8-bis, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286;
- violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al diniego delle circostanze attenuanti generiche, che avrebbero dovuto essere concesse in ragione delle sue disagiate condizioni economiche.
3. Disposta la trattazione scritta ai sensi dell'art. 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, il Procuratore generale ha chiesto, il 3 maggio 2023, dichiararsi l'inammissibilità del ricorso, mentre il ricorrente, con atto del 6 giugno 2023, ha insistito per il suo accoglimento.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è infondato e, pertanto, non merita accoglimento: la sentenza impugnata è, invero, esente dai vizi denunziati, in quanto affronta tutte le questioni salienti in termini che si sottraggono alle censure del ricorrente perché frutto di una corretta applicazione delle norme rilevanti e di parimenti ineccepibile apprezzamento delle emergenze istruttorie.
2. La doglianza, genericamente illustrata, con cui, al primo motivo di ricorso, il ricorrente contesta l'erronea applicazione dell'art. 48 cod. pen. è priva di pregio. È stato, invero, accertato, in dibattimento, che M. A., recatosi presso l'Ufficio immigrazione della Questura di Palermo, esibì, a corredo della richiesta di rilascio di permesso di soggiorno, documentazione attestante la sua assunzione, quale collaboratore domestico, alle dipendenze di P.M., la cui falsità è stata accertata in ragione dell'indisponibilità, in capo alla donna, di sufficienti redditi e dell'indicazione, quale luogo di svolgimento dell'attività lavorativa, di un sito ove insiste un capannone fatiscente ed in stato di abbandono.
Al riguardo, i giudici di merito hanno ritenuto, sulla base di elementari considerazioni di ordine razionale, che l'odierno ricorrente, titolare dell'interesse a sfruttare la documentazione falsificata, relativa all'instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato in realtà inesistente, abbia consapevolmente concorso all'inganno, così rendendosi autore dei reati oggetto di addebito; conclusione,
questa, che non è' n alcun modo inficiata dalle obiezioni articolate da A., vertenti sulla sua condizione di buona fede, la cui allegazione non trova riscontro alcuno in termini fattuali né logici.
3. Passibile di rigetto è, del pari, il secondo motivo di ricorso, con cui A. lamenta l'erronea applicazione della norma incriminatrice in relazione alla materiale falsità della documentazione.
Contrariamente a quanto assunto dal ricorrente - a cui dire gli atti de quibus agitur, di cui si contesta la genuinità, sarebbero autentici, quantunque contenenti dichiarazioni mendaci - va rilevato che i documenti da lui prodotti a sostegno della domanda di rilascio del permesso di soggiorno devono considerarsi materialmente falsi.
In fatto, deve essere ribadito che la persona che dalla certificazione risultava essere la datrice di lavoro non disponeva di alcun reddito e che nei luoghi indicati quale sede dell'attività di collaborazione domestica, asseritamente demandata all'imputato, non si trovava l'abitazione della M., bensì un capannone fatiscente e in stato di abbandono.
Ne deriva che i documenti prodotti sono radicalmente e materialmente falsi, in quanto attestano una realtà insussistente, artificiosamente creata al fine di ottenere il rilascio del permesso di soggiorno, onde è corretto inferire che, nel caso in esame, non viene in rilievo la non rispondenza al vero degli enunciati in essi contenuti, ma, piuttosto, la loro totale assenza di genuinità.
Va, quindi, ribadito l'orientamento interpretativo (espresso, tra le altre, da Sez. 5, n. 15786 del 19/03/2019, Balestra, Rv. 276245, e Sez. 5, n. 38083 del 27/09/2005, Strada, Rv. 233076), correttamente richiamato dalla sentenza impugnata, secondo cui «si ha falsità materiale (e non falsità ideologica) quando, pur non essendovi divergenza fra autore apparente e autore reale, la falsità investe l'intero atto nella sua realtà fenomenica, nel senso che si fa apparire come venuto ad esistenza un atto che, in realtà, non è mai stato formato (fattispecie in cui si è ravvisato il reato previsto dall'art. 5, comma 8-bis, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, nell'integrale formazione ex novo della dichiarazione dei redditi per l'ottenimento di un permesso di soggiorno per un cittadino straniero)».
La contraffazione che dà corpo alla falsità materiale si ha, dunque, non solo quando si confeziona un documento che si caratterizza per la discordanza tra autore reale e autore apparente, con conseguente inganno sull'identità di chi lo ha formato, ma anche nel caso in cui un atto, come accaduto nella fattispecie in esame, viene posto in essere in totale assenza dei presupposti per la sua formazione.
Sulla base di quanto precede, deve concludersi che i documenti prodotti dal ricorrente sono materialmente falsi, in quanto formati nell'ambito di una cornice storico-fattuale del tutto inesistente, artificiosamente delineata per dare fondamento all'emissione del provvedimento autorizzativo alla permanenza sul territorio nazionale.
Tanto, in perfetto ossequio all'orientamento interpretativo, di recente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui «Integrano il delitto previsto dall'art. 5, comma 8-bis, decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 le sole condotte di falsificazione materiale, consistenti in contraffazioni o alterazioni di documenti relativi alla richiesta di emersione del lavoro di cittadini extracomunitari, allo scopo di fare ottenere loro il rilascio del permesso di soggiorno» (Sez. 1, n. 42441 del 21/10/2021, Buzzetti, Rv. 282126 - 01).
4. Parimenti infondato è, infine, l'ultimo di ricorso, afferente alla misura della pena, che A. sostiene avrebbe dovuto essere ridotta in considerazione delle sue disagiate condizioni economiche, parametro rientrante nel fuoco dell'art. 62- bis cod. pen..
Il provvedimento impugnato si colloca, per questa parte, nel solco della costante giurisprudenza di questa Corte, che ha più volte chiarito come, ai fini dell'assolvimento dell'obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, non sia necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (così, tra le tante, Sez. 3, n. 23055 dei 23/04/2013, Banic, Rv. 256172, fattispecie in cui la Cort tenuto giustificato il diniego delle attenuanti generiche motivato con esclusivo riferimento agli specifici e reiterati precedenti dell'imputato).
Nel caso di specie, la Corte territoriale, con motivazione congrua e logica, ha rigettato il motivo di impugnazione relativo al diniego delle circostanze attenuanti generiche a cagione delle negative informazioni acquisite circa la capacità a delinquere dell'imputato, gravato da due precedenti condanne per ricettazione.
Trattasi di un iter argomentativo che si mantiene all'interno della fisiologica discrezionalità riconosciuta al giudice di merito e risulta essere alieno dalle incoerenze segnalate dal ricorrente, il quale pretende un intervento che il giudice di legittimità non può compiere al cospetto di una motivazione esente da vizi logici e che tiene debitamente conto delle conquiste processuali (Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Rv. 242419).
5. Dal rigetto del ricorso discende la condanna di M. A. al pagamento delle spese processuali ai sensi dell'art. 616, comma 1, primo periodo, cod. proc. pen..
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.