La legittimazione passiva della mandataria è infatti eventuale, cioè dipende dalla mancata evocazione in giudizio dell'assicuratore straniero.
Il giudizio ha origine dalla morte di un uomo a seguito di un incidente stradale avvenuto in Austria. La vedova del medesimo, anche in nome e per conto della figlia che portava in grembo al momento dell'incidente, chiedeva il risarcimento dei danni patrimoniali e non nei confronti del responsabile del sinistro, della sua compagnia assicurativa e della mandataria italiana.
Il...
Svolgimento del processo
In relazione al decesso di N.B., avvenuto in territorio austriaco a seguito di incidente stradale, agì in giudizio la vedova A. T., anche in nome e per conto della figlia minore B. B. (concepita ma non ancora nata al momento della morte del padre), per chiedere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali nei confronti del responsabile del sinistro, P. P., della sua compagnia assicuratrice U. S. AG e della mandataria I. A. s.p.a..
Il Tribunale di Pordenone pronunciò sentenza n. 664/2015 con cui accolse la domanda e condannò le due società assicuratrici, in solido, al risarcimento dei danni; più precisamente, affermò la giurisdizione del giudice italiano e la legittimazione processuale passiva dell'assicuratrice mandataria, escludendo invece la giurisdizione nei confronti del P.; quanto all’individuazione della legge applicabile, ritenne che i danni (patrimoniali e non) subiti dalle attrici in conseguenza del sinistro si fossero verificati nel luogo in cui le stesse vivevano, ossia in Italia, risultando pertanto applicabile la normativa italiana ai fini della relativa quantificazione; liquidò, quindi, alla T. 323.295,00 euro a titolo di danno parentale e di danno biologico e 219.450,00 euro a titolo di danno patrimoniale; riconobbe, invece, alla B. la somma di 230.000,00 euro per danno non patrimoniale conseguente alla perdita del padre e quella di 184.970,00 euro per danno patrimoniale; liquidò, dunque, il complessivo importo di 964.712,00 euro (di cui 549.742,00 euro per la T. e 414.970,00 euro per la figlia).
Pronunciando sul gravame principale della U. S. AG e su quello incidentale della I. A., la Corte di Appello di Trieste ha parzialmente riformato la sentenza, riducendo il risarcimento complessivo a 196.087,72 euro (di cui 50.653,00 euro in favore della T. e 145.434,72 euro in favore della B.) e condannando la T. (in proprio e nella qualità di legale rappresentante della figlia) alla restituzione dei maggiori importi riscossi e risultati non dovuti.
Più precisamente, confermata l’affermazione della legittimazione passiva della I. A. e della sua responsabilità solidale, la Corte ha ritenuto che debba applicarsi la legge austriaca (in quanto il luogo in cui il danno “diretto” si è verificato va individuato nel territorio austriaco) e ha escluso che sia contraria all'ordine pubblico interno l'applicazione di una normativa straniera comportante una liquidazione del danno non patrimoniale in misura anche sensibilmente inferiore a quella che risulterebbe dall'applicazione del diritto nazionale; tanto premesso, ha riconosciuto alla T. un danno non patrimoniale di 40.00,00 euro (di cui 20.000,00 per danno da lutto e 20.000,00 per danno alla sfera psichica) oltre ad un danno patrimoniale di complessivi 10.653,00 euro, con esclusione di qualunque importo per la perdita del mantenimento, atteso che la rendita mensile liquidabile risulta inferiore alla pensione di reversibilità ad essa erogata dall’I. d’A. P. di Vienna; quanto alla B., ha determinato il danno da lutto in 20.000,00 euro e il danno patrimoniale per la perdita del mantenimento in 125.434,72 euro (pari alla differenza fra l’importo di 196.492,00 euro spettante per mantenimento fino al 28° anno di età e la complessiva somma di 71.057,28 euro riconosciuta a titolo di rendita dall’I. d’A. P. di Vienna).
Ha proposto ricorso per cassazione A. T., in proprio e in rappresentanza della figlia B. B., affidandosi a tre motivi.
Hanno resistito la U. O. V. AG e la I.A. s.p.a., quest’ultima proponendo anche ricorso incidentale in punto di legittimazione passiva sostanziale e processuale della mandataria italiana di società assicuratrice straniera (con richiesta alternativa di rimessione alle Sezioni Unite o di rinvio pregiudiziale alla CGUE); a quest’ultimo ha resistito, con controricorso, la T., anche in rappresentanza della figlia.
Fissata l’odierna udienza pubblica, tutte le parti hanno depositato memoria; con le memorie è stata trattata anche la questione della nullità radicale della sentenza di appello (per essere stato il gravame proposto da società estinta per incorporazione) introdotta dalla T. a mezzo di deposito di documenti ex art. 372 c.p.c. effettuato in data 25.7.2022.
A seguito di tempestiva istanza del difensore della T., si è proceduto alla trattazione con discussione orale.
Il P.M. ha concluso per l’accoglimento del ricorso principale e il rigetto di quello incidentale.
Motivi della decisione
1. In relazione alla posizione della compagnia assicuratrice straniera, il giudizio deve essere definito sulla base delle questioni pregiudiziali di rito sollevate dalle ricorrenti principali.
2. Va premesso che risulta ammissibile la produzione ex art. 372 c.p.c. effettuata dalla T. con nota di deposito del 25.7.2022, in quanto concernente documenti volti a supportare il rilievo di una nullità radicale della sentenza impugnata per essere stata pronunciata a seguito di gravame interposto da soggetto non più esistente (per incorporazione e cancellazione dal registro delle imprese) al momento della proposizione dell’appello (avvenuta nell’anno 2016).
Deve escludersi che tale nullità potesse (e dovesse) essere denunciata mediante specifico motivo di ricorso per cassazione, atteso che la stessa non era desumibile dal contenuto della sentenza impugnata né era evincibile da altri elementi emersi nel giudizio di appello, ma si è palesata soltanto a seguito della costituzione nel giudizio di cassazione, in luogo dell’intimata U. S. (già appellante principale), della U. O. V. AG, quale società incorporante della prima (per atto risalente all’anno 2012)
Al riguardo, deve infatti darsi continuità al principio espresso da Cass. n. 9334/2016, secondo cui «la parte che, avendo omesso di proporre, in sede di gravame, l'eccezione relativa alla legittimazione ad appellare di una società già estinta per pregressa cancellazione dal registro delle imprese, formuli tale eccezione, per la prima volta, davanti al giudice di legittimità, è ammessa a produrre ivi, ai sensi dell'art. 372 c.p.c., la documentazione volta a comprovare l'estinzione della società appellante, potendo essa astrattamente costituire una causa determinativa diretta della potenziale nullità della sentenza impugnata»; principio richiamato, da ultimo, da Cass. n. 6397/2023, che ha anche correttamente rilevato che «quando l’appello è proposto da una società cancellata con un nuovo difensore, la parte appellata […] non è tenuta a verificare se tale società esista o meno, per cui non si può imputare alla parte appellata [successivamente parte ricorrente] di non aver effettuato tale verifica e di addurre poi un novum basato su emergenze fattuali introdotte nel giudizio di cassazione con la relativa documentazione».
In proposito, appare utile richiamare anche Cass. n. 7739/2014 (non massimata), a mente della quale «le nullità della sentenza, prese in considerazione dall'art. 372 c.p.c., al fine di consentire la produzione di nuovi documenti in cassazione, non sono solo quelle derivanti da vizi propri della sentenza, cioè dalla mancanza dei requisiti essenziali di forma e di sostanza della sentenza, ma anche quelle originate, in via riflessa, da vizi radicali del procedimento che, attenendo alla identificazione dei soggetti del rapporto processuale e dunque alla legittimità del contraddittorio, determin[an]o la nullità degli atti processuali compiuti, che può essere dedotta e provata per la prima volta in sede di legittimità con idonea produzione documentale (Cass. n. 653/1989; n.9733/1998; n. 9374/2006)».
3. Tanto premesso, si rileva che:
la sentenza impugnata è stata emessa a seguito di appello proposto dalla U. S., con atto notificato in data 23.2.2016, avverso la sentenza di primo grado pubblicata il 7.8.2015;
l’atto di appello è stato proposto dalla U. S. sulla base di un nuovo mandato ad hoc conferito da A. D. e E. A. qualificatisi come legali rappresentanti, agli avvocati M. W. e F. V.;
è documentato e risulta incontestato che la predetta U. S. è stata incorporata, con delibera del 17.9.2012, dalla U. O. V. e che di lì a poco, in data 12.10.2012, è stata cancellata dal registro delle imprese.
4. Tanto rilevato, deve ritenersi che l’incorporazione (con successiva cancellazione della U. S. dal registro delle imprese) abbia comportato l’estinzione della società incorporata e che l’impugnazione proposta, sulla base di nuovo mandato difensivo, da soggetto non più esistente risultasse inammissibile, con conseguente passaggio in giudicato della sentenza di primo grado in relazione alla posizione T. B./U.S..
4.1. Deve infatti considerarsi che:
dirimendo il contrasto esistente sulla natura meramente evolutivo-modificativa ovvero estintiva del fenomeno della fusione societaria, le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato, che «la fusione per incorporazione estingue la società incorporata, che non può dunque iniziare un giudizio in persona del suo ex amministratore, ferma restando la facoltà per la società incorporante di spiegare intervento volontario in corso di causa, ai sensi e per gli effetti dell'art. 105 c.p.c.; nondimeno, ove la fusione intervenga in corso di causa, non si determina l'interruzione del processo, esclusa "ex lege" dall'art. 2504 bis c.c.» (Cass, S.U. n. 21970/2021);
le Sezioni Unite hanno chiarito che «non si prospetta una mera vicenda modificativa, ricorrendo invece una vera e propria dissoluzione o estinzione giuridica, contestuale ad un fenomeno successorio. La fusione realizza una successione a titolo universale corrispondente alla successione mortis causa e produce gli effetti, tra loro interdipendenti, dell'estinzione della società incorporata e della contestuale sostituzione a questa, nella titolarità dei rapporti giuridici attivi e passivi, anche processuali, della società incorporante, che rappresenta il nuovo centro di imputazione e di legittimazione dei rapporti giuridici già riguardanti soggetti incorporati»; di talché la società incorporata, «non mantenendo […] la propria soggettività dopo l’avvenuta fusione e la cancellazione dal registro delle imprese, neppure vanta una propria autonoma legittimazione processuale attiva o passiva»;
da ciò consegue che «l’appello proposto da una società estinta è inammissibile e tale vizio è rilevabile d’ufficio in sede di giudizio di legittimità, qualora sul punto non si sia formato il giudicato» (Cass. n. 6397/2023; nel senso dell’inammissibilità dell’impugnazione proposta da soggetto estinto, cfr., tra le altre, Cass. n. 25275/2014, Cass. n. 2444/2017, Cass. n. 12603/2018, Cass. n. 1392/2020, Cass. n. 5605/2021 e Cass. n. 14859/2022);
peraltro, non appare configurabile, al fine di elidere l’effetto di inammissibilità e ritenere l’appello utilmente proposto, un’ipotesi di prospective overruling, ossia di un radicale ed imprevedibile mutamento, ad opera di Cass., S.U. n. 21970/2021, di precedenti “stabili approdi interpretativi della S.C.” (come richiesto da Cass., S.U. n. 4135/2019); invero, sulla questione dell’effetto (estintivo oppure modificativo-evolutivo) della incorporazione non sussisteva - all’epoca in cui venne proposto l’appello di cui di cui si tratta- un orientamento consolidato della Corte di legittimità nel senso della legittimazione attiva della società incorporata all’impugnazione e, comunque, era largamente maggioritario l’orientamento che faceva discendere dalla cancellazione della società dal registro delle imprese l’estinzione immediata dell’ente, che «non può più mantenere la propria individualità, né può far valere la persistenza di una propria autonoma legittimazione attiva» (Cass. n. 3820/2013, in linea con Cass., S.U. n. 4060/2010 e Cass., S.U. n. 6070/2013; cfr., ex multis, anche Cass. n. 22863/2011 e Cass. n. 25275/2014); circostanza, quella della cancellazione, che rileva anche nel caso di specie, perché intervenuta -come detto- nello stesso anno 2012 in cui si verificò la fusione per incorporazione;
né risulterebbe utilmente invocabile il principio dell’ultrattività del mandato conferito in primo grado, per la dirimente ragione che la procura alle liti per la proposizione dell’atto di appello risulta conferita ex novo e da parte di soggetti che, benché qualificatisi come legali rappresentanti della U. S., non potevano effettivamente esserlo in considerazione dell’avvenuta estinzione di detta società e della sua cancellazione dal registro delle imprese;
va esclusa, inoltre, la rilevanza di una ratifica, ora per allora e da parte degli attuali legali rappresentanti della incorporante U. O., dell’operato del procuratore che ebbe a proporre l’appello; una siffatta ratifica potrebbe, invero, valere a sanare un difetto di legittimazione processuale della persona fisica che abbia agito in giudizio in rappresentanza del medesimo ente da cui proviene la ratifica, ma è evidentemente del tutto inidonea ad elidere il dato che l’appello non fu proposto dalla U.O., bensì da un soggetto diverso (la U. S.) ormai estinto e quindi non più esistente; in altri termini: non si tratta di sanare la mancanza dello ius postulandi o un difetto di procura, anche a prescindere da formatesi preclusioni, ma -più radicalmente- di porre nel nulla il fatto che l’appello non sia stato proposto dalla società incorporante, ma dalla (ormai estinta) società incorporata; e un siffatto risultato non è evidentemente conseguibile tramite la ratifica, da parte della U. O., dell’operato del difensore che aveva all’epoca agito quale procuratore del diverso soggetto U. S.; appare, in ogni caso, assorbente il rilievo che la ratifica non risulterebbe comunque idonea ad elidere il fatto che, a seguito dell’inammissibilità dell’appello proposto per una società estinta, si è determinato l’effetto del passaggio in giudicato della sentenza di primo grado nei confronti della U. S..
5. In relazione al rapporto T.-B./U. O. V., va dunque dichiarata l’inammissibilità dell’appello, con cassazione della sentenza impugnata; ai sensi dell’art. 382, 3° co. c.p.c., non deve disporsi alcun rinvio in quanto il processo non poteva essere proseguito (cfr. Cass. n. 1505/2007 e Cass. n. 17026/2004).
6. In relazione alla posizione della I. A. -che aveva tempestivamente impugnato, in via incidentale, la sentenza di primo grado (con atto depositato il 27.2.2016, entro il termine semestrale dalla pubblicazione), ritiene il Collegio che l’odierno ricorso incidentale meriti accoglimento.
7. Con l’unico motivo, la ricorrente incidentale pone la questione della carenza di capacità di I.A. s.p.a., quale mandataria di società assicuratrice estera, a stare in giudizio e denuncia la violazione dell'art. 152 D.Lgs. n. 209/2005, richiedendo, in alternativa, la rimessione alle Sezioni Unite o il rinvio pregiudiziale alla CGUE per contrasto tra la giurisprudenza interna e quella della medesima CGUE (decisione 15 dicembre 2016 in causa numero C- 558).
7.1. Sulla questione della legittimazione passiva della mandataria italiana di una impresa assicuratrice straniera, questa Corte ha affermato che:
«il "mandatario per la liquidazione del sinistri" di cui all'art. 152 del d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209, è un mandatario con rappresentanza "ex lege" dell'assicuratore del responsabile, sicché - nel rispetto delle regole sulla giurisdizione e sulla competenza – può agire o essere convenuto in giudizio in nome e per conto del mandante, al fine di ottenere una sentenza eseguibile da o nei confronti di costui» (Cass. 10124/ 2015);
«[…] il riconoscimento della legittimazione del mandatario è compatibile col diritto dell'Unione Europea, perché l'art. 4, comma 4, della direttiva n. 2000/26/CE del 16 maggio 2000 - pur non imponendo agli Stati membri di prevedere che il mandatario designato possa essere convenuto dinanzi al giudice nazionale in luogo dell'impresa di assicurazione che rappresenta (CGUE, sentenza del 15 dicembre 2016, causa n. C-558/15) - deve essere interpretato conformemente agli obiettivi perseguiti dal legislatore comunitario e, cioè, al rafforzamento della tutela della vittima di sinistri stradali avvenuti al di fuori dello Stato di residenza» (Cass. n. 29352/2019).
Ritiene il Collegio che tali precedenti siano pienamente condivisibili, ma che richiedano di essere precisati in relazione alla specifica questione qui dedotta, ossia alla possibilità di convenire in giudizio anche il mandatario quando si agisca contro l’impresa assicuratrice straniera.
La disciplina concernente il “risarcimento del danno derivato da sinistri avvenuti all’estero” (contenuta negli artt. 151-155 Cod. Ass.), prevede la figura del “mandatario per la liquidazione dei sinistri” (art. 152) come soggetto che, operando nel territorio di residenza dei danneggiati e rivolgendosi ad essi nella loro lingua, “acquisisce tutte le informazioni necessarie ai fini della liquidazione dei sinistri e adotta tutte le misure necessarie per gestire la liquidazione stessa”; la norma mira evidentemente ad agevolare il danneggiato, consentendogli di rapportarsi (con maggiore facilità) ad un soggetto avente sede in Italia.
L’intervento del mandatario non è tuttavia indefettibile, in quanto la norma dell’art. 153 Cod. ass., nel prevedere che i danneggiati residenti nel territorio della Repubblica “hanno diritto di richiedere il risarcimento del danno oltre che al responsabile del sinistro anche all'impresa di assicurazione con la quale è assicurato il veicolo che ha causato il sinistro ovvero anche al suo mandatario designato nel territorio della Repubblica”, configura la possibilità di rivolgere la pretesa risarcitoria (e, quindi, anche di agire in via giudiziaria) al soggetto operante in territorio italiano come modalità alternativa, in tal senso deponendo sia la lettera che la finalità della norma.
Invero, laddove il legislatore utilizza la congiunzione disgiuntiva “ovvero”, lo fa nel significato proprio di “oppure”, nel senso che la richiesta o l’azione possano essere rivolte all’uno o all’altro, ma non ad entrambi congiuntamente (non dovendo trarre in errore il fatto che la norma aggiunga la congiunzione “anche”, dato che questa si riferisce alla possibilità di agire cumulativamente nei confronti del responsabile del sinistro); ne consegue che la norma deve essere letta nel senso che il danneggiato può agire, oltre che contro il responsabile, anche nei confronti della sua impresa di assicurazione del veicolo danneggiante oppure -in via alternativa- anche nei confronti del mandatario italiano della compagnia straniera.
Una tale lettura è consentanea alla finalità “agevolatrice” insita nella previsione della figura del mandatario che, mentre giustifica l’azione diretta nei confronti di detto mandatario, non potrebbe comportare anche la possibilità di convenire congiuntamente in giudizio il rappresentante (mandatario) e la rappresentata (ossia la compagnia assicuratrice del responsabile), che costituirebbe un eccesso di tutela una volta che, con l’evocazione in giudizio dell’impresa assicuratrice straniera, il danneggiato ha manifestato la scelta di non fruire della possibilità alternativa riconosciutagli dal legislatore.
Deve pertanto ritenersi che la legittimazione processuale passiva della mandataria sia eventuale, ossia condizionata alla mancata evocazione in giudizio dell’assicuratore straniero, e che, nel caso di specie, avendo agito nei confronti della impresa assicuratrice del responsabile del sinistro (oltre che nei confronti di quest’ultimo), la T. non potesse convenire in giudizio -cumulativamente- anche la sua mandataria con rappresentanza, trattandosi di facoltà non consentita (ed anzi preclusa) dalla previsione dell’art. 153 Cod. Ass..
7.2. Il ricorso incidentale va pertanto accolto, con cassazione della sentenza impugnata nella parte in cui, rigettando l’appello incidentale, ha affermato la legittimazione passiva della I. A. s.p.a.; non occorrendo ulteriori accertamenti di fatto, può provvedersi nel merito (ex art. 384, 2° co. c.p.c.) escludendosi la legittimazione passiva (“aggiuntiva”) della mandataria italiana.
8. La complessità della controversia e la novità della questione concernente la legittimazione passiva “cumulativa” della mandataria giustificano l’integrale compensazione delle spese di tutti i giudizi fra la T. e la I. A..
Nei rapporti fra la T. e la U. O., ricorrono egualmente gravi ragioni -in relazione alla complessità delle questioni processuali e all’evoluzione del quadro giurisprudenziale di riferimento- per l’integrale compensazione delle spese del giudizio di legittimità, mentre vanno confermate le statuizioni compiute nei gradi di merito.
P.Q.M.
La Corte dichiara l’inammissibilità dell’appello proposto dalla U. S. AG avverso la sentenza n. 664/2015 del Tribunale di Pordenone e cassa senza rinvio la decisione impugnata nella parte concernente le pretese risarcitorie avanzate dalla T., anche in nome e per conto della figlia minorenne, nei confronti della U. S.; accoglie il ricorso incidentale della I. A. s.p.a., cassa in relazione la sentenza impugnata e dichiara il difetto di legittimazione passiva dell’anzidetta compagnia; compensa, in relazione a tutti i giudizi, le spese di lite fra la T. e la I. A.; confermata, per il resto, la liquidazione delle spese compiuta nei giudizi di merito, compensa integralmente le spese del giudizio di legittimità fra la T. e la U. O..