Svolgimento del processo
1. M. C. convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Verona, le società B. M. Limited e B. M. Service s.a.s. di B. G. e Z. M. e C., deducendo che:
- era proprietario di una autovettura B., acquistata il 15 maggio 2008;
- nel maggio 2014 si era rivolto a B. M. Service s.a.s. per ricevere assistenza in relazione ad un problema all’impianto frenante del veicolo; la vettura, trattenuta preso l’officina di detta società, gli era stata restituita il 14 maggio 2014;
- peraltro, soltanto tre giorni dopo, il 17 maggio 2014, mentre si trovava alla guida della B., in compagnia dei sig.ri U. M., D. G. e M. S., aveva subìto un incidente stradale, verificatosi proprio a causa del mancato funzionamento dei freni, in conseguenza del quale aveva riportato gravi lesioni personali;
- a seguito di questo incidente, i soci accomandatari della B. M. Service s.a.s. erano sati sottoposti a procedimento penale per il reato di cui agli artt.40 e 590 cod. pen.;
- nel corso di questo procedimento, era stata disposta dal pubblico ministero una consulenza tecnica, all’esito della quale era stato accertato che la causa dell’incidente stradale del 17 maggio 2014 era stato il malfunzionamento dell’impianto frenante, riconducibile all’imperfetta esecuzione dell’intervento tecnico da parte di B. M. Service s.a.s. ovvero, alternativamente o congiuntamente, ad un originario difetto costruttivo imputabile a B. M. Limited; ad aggravare le conseguenze dannose aveva poi contribuito anche il cedimento del roll bar dell’autovettura, dovuto ad un difetto di progettazione riferibile a B. M. Limited;
- la circostanza della cattiva esecuzione dei lavori all’impianto frenante da parte di B. M. Service s.a.s. era coperta da giudicato per essere stata definitivamente accertata nel giudizio di opposizione all’esecuzione intrapresa nei suoi confronti da quella società per il pagamento del proprio compenso.
Sulla base di queste deduzioni, M. C. domandò la condanna solidale delle convenute al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale da lui patito, in conseguenza dell’incidente occorsogli.
Le convenute, costituitesi in giudizio, resistettero alla domanda; B. M. Service s.a.s. chiamò in garanzia la sua società assicuratrice, G. Italia s.p.a., che, costituitasi, resistette a sua volta.
2. Il Tribunale, espletata una prova per testimoni e una CTU medico-legale, rigettò la domanda e la Corte di appello di Venezia ha rigettato l’impugnazione di M. C., sulla base dei seguenti rilievi:
I- premessa l’esatta qualificazione del rapporto contrattuale intercorso tra M. C. e la B. M. s.a.s. quale contratto d’opera ex art.2222 cod. civ., la sentenza emessa dalla stessa Corte territoriale che aveva definitivamente accolto l’opposizione proposta dal primo avverso il precetto intimatogli dalla seconda per l’ottenimento del compenso pattuito, aveva efficacia di giudicato in ordine all’inesatto adempimento della società, ma tale efficacia non si estendeva all’accertamento del nesso causale tra la condotta inadempiente e l’evento lesivo rappresentato dal sinistro del 17 maggio 2014;
II- i due testimoni escussi nel corso del giudizio di primo grado che avevano riferito sulla dinamica dell’incidente, erano stati dichiarati incapaci di testimoniare dal primo giudice, in quanto persone trasportate al momento del sinistro, e dunque portatrici di un interesse che avrebbe potuto legittimare la loro partecipazione al giudizio; al riguardo non era condivisibile la deduzione dell’appellante sulla asserita violazione del regime della “doppia eccezione”, atteso che, prima dell’ammissione e dell’assunzione della prova, le convenute avevano debitamente eccepito l’incapacità dei testimoni ex art.246 cod. proc. civ. e, a fronte di questa eccezione, il giudice aveva ammesso la testimonianza “con riserva”; riserva che era stata sciolta in senso negativo in sede di decisione, senza alcun onere per la parte interessata di eccepire anche la nullità della testimonianza;
III- in mancanza della prova della dinamica dell’incidente, gli accertamenti tecnici irripetibili svolti nel procedimento penale non potevano essere assunti come prova presuntiva a carico delle convenute; con specifico riguardo al presunto accertamento del malfunzionamento dell’impianto frenante a causa del pedale spugnoso e dell’insufficiente livello dell’olio dei freni (circostanze asseritamente imputabili alla condotta inadempiente della B. M. Service s.a.s.), la consulenza svolta in sede penale aveva raggiunto conclusioni contraddittorie, in quanto le predette circostanze erano state ipotizzate dall’ausiliare del consulente tecnico del pubblico ministero (la società P. C.) ma non anche dal consulente stesso (l’Ing. C.); invece, con specifico riguardo al presunto malfunzionamento dell’impianto frenante e del cedimento del roll bar quali vizi di costruzione (circostanze asseritamente fondanti la responsabilità extracontrattuale della B. M. Limited) era agevolmente rilevabile l’inattendibilità delle stesse conclusioni del predetto consulente, in quanto formulate senza chiarire se si versasse in ipotesi di vizi progettuali o meramente esecutivi e senza conoscere le modalità del sinistro, la velocità al momento dell’urto, le condizioni di manutenzione e lo stato d’uso di un’autovettura usata e comprata dieci anni addietro rispetto alla data del fatto, nonché, tra l’altro, basate sulla raccolta di informazioni rese dallo stesso danneggiato, ovverosia su dichiarazioni utilizzabili nel processo penale, ma non anche in quello civile;
IV- alle insufficienze probatorie riscontrate non era possibile sopperire con una nuova CTU – sebbene richiesta dall’appellante –, avuto riguardo all’incertezza dei pregressi accertamenti tecnici, al lungo tempo trascorso dal fatto e alla circostanza, riferita da P. C., che l’autovettura era ormai in condizioni di rottame che ne rendeva impossibile ogni utile esame tecnico;
V- avuto riguardo alla mancata prova del nesso causale tra l’inadempimento e l’evento lesivo (con riguardo alla domanda contrattuale proposta nei confronti di B. M. Service s.a.s.) e alla mancata prova dello stesso fatto illecito (con riguardo alle domande extracontrattuali), esse non potevano che essere rigettate.
3. Propone ricorso per cassazione M. C. sulla base di quattro motivi.
Rispondono con distinti controricorsi B. M. Service s.a.s. di B. G. e C. (già B. M. Service s.a.s. di B. G. e Z. M. e C.), B. M. Limited e G. Italia s.p.a..
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ..
Il Procuratore Generale non ha depositato conclusioni scritte.
Il ricorrente, nonché le controricorrenti B. M. Service s.a.s. e B. M. Limited, hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
1.1. Con il primo motivo viene denunciata la violazione degli artt. 111, primo e secondo comma, Cost., nonché degli artt. 157, 183, settimo comma, 245 e 246 cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 360 n. 4 cod. proc. civ., per avere la Corte di appello escluso, pur in mancanza di tempestiva eccezione di nullità della deposizione, la capacità a testimoniare dei testi escussi U. M. e M. S..
Il ricorrente deduce che, all’esito della sua richiesta di ammissione della prova testimoniale, proposta con la seconda memoria ex art. 183, sesto comma, cod. proc. civ., B. M. Service s.a.s. e B. M. Limited avevano eccepito l’incapacità dei testimoni U. M. e M. S. ex art.
246 cod. proc. civ. e tale eccezione avevano reiterato in sede di udienza istruttoria, prima dell’escussione dei testi. Il giudice aveva quindi ammesso le testimonianze “con riserva” ed aveva proceduto all’escussione. La “riserva” era stata sciolta in senso negativo con la sentenza, con cui era stata accolta l’eccezione di incapacità a testimoniare sollevata dalla convenuta ed era stata esclusa la possibilità di porre le testimonianze raccolte a fondamento della dimostrazione della dinamica del sinistro, come dedotta dall’attore.
Ciò posto, il ricorrente sostiene che la censura di violazione del regime della “doppia eccezione”, da lui formulata avverso tale statuizione della sentenza di primo grado, sarebbe stata indebitamente rigettata dalla Corte di appello, in quanto: a) in seguito all’emissione dell’ordinanza di ammissione (che non era stata revocata), la prova testimoniale era stata effettivamente assunta, sicché sarebbe stato onere delle convenute eccepirne la nullità, ai sensi dell’art.157, secondo comma, cod. proc. civ.; b) l’istituto dell’ammissione “con riserva” non sarebbe contemplato nell’ordinamento processuale positivo, sicché, avendo il giudice esercitato un potere non previsto dalla legge, essa avrebbe dovuto considerarsi tamquam non esset; c) atteso il carattere disponibile della materia relativa all’incapacità dei testimoni, l’ordinanza ammissiva della prova sarebbe sfuggita al regime di libera revocabilità e modificabilità di cui all’art.177, secondo comma, cod. proc. civ., operando, nella fattispecie, la deroga di cui all’art.177 terzo comma, n. 1, cod. proc. civ.; d) la funzione dell’eccezione di nullità (non sollevata dalla parte) sarebbe diversa da quella dell’eccezione di incapacità (l’unica effettivamente sollevata), in quanto quest’ultima tenderebbe a prevenire l’atto processuale, mentre la prima ne postulerebbe il compimento: pertanto l’eccezione di incapacità avrebbe dovuto ritenersi implicitamente disattesa dal giudice proprio con l’escussione del testimone, che avrebbe onerato la parte interessata di eccepirne la nullità.
1.2. Con il secondo motivo viene denunciata la falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ., ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., per avere la Corte di appello, pur correttamente interpretando il giudicato inter partes, disatteso il vincolo di accertamento che da esso derivava.
Il ricorrente deduce che la Corte territoriale, dopo avere osservato che l’efficacia di giudicato della sentenza emessa nel giudizio di opposizione a precetto concerneva l’inadempimento e non il nesso causale, avrebbe tuttavia, nella sostanza, indebitamente negato proprio la sussistenza dell’inadempimento, ossia la circostanza che il livello dell’olio non era adeguato e che il pedale del freno si presentava spugnoso; tali circostanze, sulle quali era sceso il giudicato alla stregua della stessa interpretazione del giudice del merito, sarebbero state infatti revocate in dubbio dallo stesso giudice di appello con il giudizio di contraddittorietà e di conseguente inattendibilità degli accertamenti tecnici irripetibili posti in essere in sede penale.
La sentenza di appello sarebbe quindi affetta da elusione del giudicato esterno, con violazione dell’art.2909 cod. civ..
All’illustrazione generale del secondo motivo, il ricorrente fa seguire l’enunciazione di tre sub-motivi: il primo diretto a censurare (per violazione degli artt.1176, secondo comma, 1227, 1218, 2226 e 2729 cod. civ.) la statuizione volta ad escludere la prova del nesso causale anche in ragione del rilevante numero dei chilometri percorsi dalla vettura incidentata dopo la riparazione; il secondo diretto a censurare (per violazione degli artt.2909 e 2729 cod. civ.) la specifica statuizione volta a valorizzare la congettura del consulente tecnico del pubblico ministero circa la guidabilità dell’auto, sia pure con prudenza, anche con un livello non adeguato dell’olio dei freni; il terzo diretto a censurare (per violazione degli artt. 40 e 41 cod. pen., 1223, 1225 e 2697 cod. civ.) la ritenuta disapplicazione della regola del “più probabile che non”, per avere la Corte di appello ritenuto che l’ausiliario del consulente tecnico del pubblico ministero non fosse giunto a conclusioni sicure in ordine all’esistenza del nesso di causa e per avere, inoltre, reputato che la prova del nesso fosse ancorata ad un solo, incerto e contrastato indice presuntivo.
1.3. Con il terzo motivo viene denunciata la violazione degli artt. 115 e 132 n. 4 cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 360 n. 4 cod. proc. civ., nonché dell’art. 2909 cod. civ., ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., per avere la Corte di appello negato l’ammissione della CTU in ordine al nesso causale tra l’inadempimento di B. M. Service s.a.s. e l’incidente stradale.
1.4. Con il quarto motivo viene denunciata la violazione degli artt. 115 e 132 n. 4 cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 360 n.4 cod. proc. civ., nonché dell’art. 2729 cod. civ., ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., per avere la Corte di appello ritenuto insussistente la prova relativa allo stato d’uso o manutenzione del veicolo ed essere comunque incorsa in una motivazione perplessa e/o incomprensibile, nonché per aver erroneamente sussunto come presunzioni semplici circostanze congetturali.
2. Il primo motivo è fondato.
2.a. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno enunciato i seguenti principi:
- l’incapacità a testimoniare disciplinata dall’articolo 246 cod. proc. civ. non è rilevabile d’ufficio, sicché la parte interessata ha l’onere di eccepirla, pena la definitiva preclusione, prima dell’ammissione del mezzo;
- in assenza della preventiva eccezione di incapacità, la testimonianza del teste incapace, che sia stata nondimeno ammessa ed assunta, deve ritenersi valida, poiché non sarebbe ormai ammissibile un’eccezione di nullità in assenza di quella di incapacità, avuto riguardo alla regola (art. 157, ultimo comma, cod. proc. civ.), secondo cui la nullità non può essere opposta dalla parte che vi ha dato causa, né da quella che vi ha rinunciato anche tacitamente;
- se, invece, l’eccezione di incapacità è stata ritualmente sollevata prima dell’ammissione del teste, la testimonianza che sia nondimeno ammessa e assunta costituisce un atto processuale affetto da nullità; ne deriva che l’interessato ha l’onere di eccepire questo vizio subito dopo l’escussione del teste ovvero, in caso di assenza del difensore della parte alla relativa udienza, nella prima udienza successiva, determinandosi altrimenti la sanatoria della nullità, ex art.157, secondo comma, cod. proc. civ.;
- l’eccezione di nullità della testimonianza resa dal teste incapace ai sensi dell’articolo 246 cod. proc. civ. va coltivata con la precisazione delle conclusioni di cui all’articolo 189 cod. proc. civ., dovendosi altrimenti ritenere l’eccezione rinunciata e non riproponibile in sede d’impugnazione (Cass., Sez. Un., 06/04/2023, n. 9456).
2.b. L’imposizione di un duplice onere di eccezione, prima dell’ammissione e dopo l’assunzione del mezzo cionondimeno ammesso, trova fondamento nella natura della testimonianza (quale atto – e non mero fatto – processuale) e nella natura del vizio che consegue alla indebita ammissione (quale nullità – e non inesistenza – dell’atto processuale).
Se la prova testimoniale è un atto processuale, ne discende che, quale atto processuale, anche la testimonianza deve misurarsi con la disciplina dei vizi degli atti processuali.
Se il vizio conseguente alla indebita ammissione è quello della nullità (ed in particolare della nullità a carattere relativo), troverà applicazione la regola della sanatoria per convalidazione soggettiva di cui all’art.157, secondo comma, cod. proc. civ..
Pertanto, da un lato, è logicamente impossibile configurare un’eccezione di nullità di un atto di là da venire, sicché l’eccezione d’incapacità a testimoniare non può includere quella di nullità; dall’altro lato, quest’ultima eccezione, mentre è inammissibile (per il precetto dell’ultimo comma dell’art.157 cod. proc. civ.) nell’ipotesi in cui non sia stata proposta la prima, nell’ipotesi contraria non solo è necessaria ma deve essere sollevata nella prima istanza o difesa successiva per evitare la sanatoria della nullità.
2.c. Occorre indagare se i presupposti che giustificano la duplice eccezione si integrino anche nella peculiare ipotesi (corrispondente alla fattispecie in esame), in cui la prova testimoniale del testimone ipoteticamente incapace sia stata assunta dopo che esso era stato ammesso con riserva di provvedere sull’eccezione di incapacità ritualmente formulata.
Non sembra che la circostanza che il teste sia stato ammesso “con riserva” possa incidere sulla natura della prova comunque assunta quale atto processuale.
Questa natura, dibattuta in dottrina, è stata data per scontata dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass., Sez. Un., 06/04/2023, n. 9456, cit., punto 17.2. della motivazione), sicché non è il caso di tornare sul problema.
Resta, però, da vedere se l’atto processuale così indebitamente formatosi sia affetto da nullità relativa (come nell’ipotesi di ammissione tout court senza riserva) o da nullità assoluta o persino da inesistenza.
Ove si acceda alla tesi che l’ammissione con riserva equivale alla ammissione tout court (tesi sostenuta dal ricorrente sul rilievo che l’istituto dell’ammissione con riserva non avrebbe cittadinanza nell’ordinamento processuale positivo), non vi sarebbe ragione di configurare il vizio dell’atto processuale in termini diversi dalla nullità relativa, poiché si sarebbero integrati entrambi i presupposti del suo compimento: ammissione (sia pure illegittima, per indebito rigetto dell’eccezione di incapacità) ed assunzione.
Ove invece si acceda alla tesi che lo scioglimento negativo della riserva opera “ora per allora” integrando il provvedimento di – non – ammissione della prova, dovrebbe ritenersi che non si sono integrati entrambi i presupposti del compimento dell’atto processuale, poiché il secondo presupposto (l’assunzione della prova) non sarebbe preceduto dal primo (l’ammissione della prova) e ciò potrebbe indurre il dubbio circa la giuridica esistenza dell’atto.
2.d. Il Collegio ritiene che l’ammissione con riserva, seguita dalla assunzione della prova, non può equivalere ad un provvedimento negativo di non ammissione.
Invero, la possibilità di attribuire, attraverso un’operazione concettuale evidentemente artificiosa, efficacia retroattiva allo scioglimento negativo della riserva, che verrebbe ad operare “ora per allora”, cancellando l’attività processuale medio tempore compiuta, è impedita proprio dal compimento di tale attività, in quanto l’assunzione della prova presuppone un evidente, ancorché implicito, giudizio di piena ammissibilità della stessa; pertanto, il provvedimento di ammissione con riserva è revocato (o, se si vuole, la riserva è implicitamente sciolta in senso positivo) proprio attraverso l’assunzione della testimonianza, non potendo procedersi all’assunzione di una prova ritenuta inammissibile.
2.e. In ogni caso, anche se si accedesse alla tesi opposta, ritenendo integrato un provvedimento di non ammissione della prova per effetto dell’efficacia retroattiva attribuibile allo scioglimento postumo in senso negativo della riserva apposta al provvedimento di ammissione, la prova testimoniale, non ammessa ma nondimeno assunta, sarebbe pur sempre un atto processuale viziato da nullità e non da inesistenza.
Infatti, soltanto la mancanza del presupposto dell’assunzione impedisce di configurare l’atto processuale testimonianza (in quanto la prova non viene raccolta e non sussiste quindi giuridicamente come tale), mentre la mancanza del presupposto dell’ammissione, ove quello dell’assunzione si sia integrato, vizia l’atto stesso di nullità, con conseguente persistenza dell’onere di eccepire immediatamente il vizio medesimo ad opera della parte interessata.
2.f. Nel caso di specie, non ostante l’avvenuta assunzione della prova indebitamente ammessa “con riserva” (e quindi non ostante la venuta ad esistenza materiale e giuridica di un atto processuale nullo), le società convenute non avevano tempestivamente sollevato l’eccezione di nullità.
Quale che sia il valore attribuito al provvedimento di ammissione con riserva seguito da scioglimento negativo della riserva, il giudice del merito non aveva il potere di accogliere l’eccezione di incapacità, per averla già implicitamente respinta in seguito all’assunzione del mezzo; egli, piuttosto, dinanzi ad un atto processuale purgato dalla nullità per mancata sollevazione della relativa eccezione nella prima istanza o difesa successiva al suo compimento o alla notizia di esso (atto processuale, cioè, la cui originaria invalidità si era sanata per convalidazione soggettiva e, pertanto, ormai valido), avrebbe dovuto procedere alla valutazione della prova secondo il proprio libero apprezzamento in funzione della dimostrazione dei fatti costitutivi della domanda proposta dall’attore.
Il primo motivo di ricorso va, pertanto, accolto.
3. Anche il secondo motivo è fondato, in termini G. e con specifico riguardo al terzo sub-motivo in cui esso si articola.
3.a. La Corte territoriale ha ritenuto che la sentenza di definitivo accoglimento dell’opposizione proposta dal C. al precetto intimatogli dalla B. M. Service s.a.s. per l’ottenimento del compenso pattuito, avesse efficacia di giudicato limitatamente all’accertamento dell’inesatto adempimento della società alle obbligazioni derivate dal contratto d’opera, non anche in ordine all’accertamento del nesso causale tra la condotta inadempiente e l’evento lesivo patito dal creditore, rappresentato dal sinistro del 17 maggio 2014.
Sulla base di tale interpretazione del giudicato esterno formatosi tra le parti, il giudice del merito avrebbe dovuto ritenere accertate le circostanze che, in seguito dell’intervento tecnico svolto sull’autovettura il 14 maggio 2014, il livello dell’olio dei freni era inadeguato e il pedale del freno presentava un carattere “spugnoso”, salva la prova, a carico del C., dell’incidenza causale di tali circostanze sul sinistro verificatosi tre giorni dopo.
Indebitamente, invece, la Corte territoriale, nel valutare le risultanze istruttorie, anziché limitare il proprio apprezzamento al nesso causale, si è spinta a porre in dubbio la stessa sussistenza delle circostanze fondanti l’(accertato) inadempimento di B. M. Service (la carenza dell’olio e il “pedale spugnoso”), da un lato, osservando che tali circostanze, pur “asserite”, dall’ausiliario del consulente del pubblico ministero, non erano state riscontrate da quest’ultimo che ne aveva, anzi, contrastato le conclusioni; dall’altro lato, sottolineando, con specifico riferimento al pedale spugnoso, che nel senso della insussistenza di tale difetto deponeva anche il contegno del C., il quale aveva rifiutato l’ulteriore verifica proposta dai tecnici della B., riconoscendo il funzionamento dell’impianto frenante.
3.b. L’indebita elusione del giudicato, operata dal giudice di appello, oltre che viziare – direttamente – il giudizio sulla sussistenza del primo elemento costitutivo della fattispecie di responsabilità contrattuale addebitata alla società convenuta (l’inesatto adempimento) ha viziato – indirettamente – anche il giudizio sul secondo elemento di tale fattispecie (il nesso causale materiale tra l’inadempimento e l’evento dannoso).
La Corte di merito, infatti, dopo aver ribadito l’impossibilità di attribuire rilevanza alle dichiarazioni dei testimoni, dichiarati incapaci, ha affermato che la responsabilità della convenuta non poteva desumersi dalla relazione dell’ausiliario del consulente tecnico del pubblico ministero (tra l’altro contrastata da quella del consulente medesimo), la quale, per un verso, non era giunta a conclusioni “sicure” in ordine alla sussistenza del nesso di causa e, per l’altro, integrava un mero indice presuntivo isolato, incerto e motivatamente contrastato.
Tale statuizione è doppiamente illegittima, non solo perché la prova del nesso causale materiale è stata subordinata ad un giudizio di “sicurezza”, in violazione della regola funzionale del “più probabile che non”; ma anche perché, nella fattispecie concreta, con l’affermazione che essa prova troverebbe un suo isolato, incerto e contrastato addentellato presuntivo nella sola relazione dell’ausiliario del consulente del pubblico ministero, il giudice del merito ha omesso di tenere conto sia delle risultanze delle prove testimoniali (che, invece, alla stregua quanto si è sopra evidenziato, lungi dal potersi reputare inutilizzabili, avrebbero dovuto, quali prove validamente assunte, essere sottoposte al suo libero apprezzamento), sia delle circostanze di fatto – da reputarsi accertate in ragione dell’efficacia del giudicato esterno formatosi tra le parti – che B. M. Service s.a.s., all’esito dell’intervento tecnico svolto sull’autovettura tre giorni prima del sinistro, aveva restituito al C. una macchina con il livello inadeguato dell’olio dei freni e con il pedale del freno “spugnoso”.
Va dunque accolto anche il secondo motivo, nei suoi termini G. e con specifico riguardo al terzo sub-motivo, mentre vanno ritenuti assorbiti in tale statuizione gli ulteriori sub-motivi in cui esso si articola.
4. Il terzo e il quarto motivo di ricorso – da esaminarsi congiuntamente stante la connessione – sono invece inammissibili.
Essi attingono, indebitamente, la valutazione delle risultanze istruttorie e la motivata decisione di non disporre la CTU invocata, entrambi riservate al potere discrezionale del giudice del merito e insindacabili in sede di legittimità se – come nella specie – debitamente motivate (cfr., in ordine al primo aspetto, ex multis, Cass. 19/07/2021, n. 20553; e, in ordine al secondo, ex multis, Cass.13/01/2020, n.326).
È appena il caso di aggiungere, con specifico riguardo al quarto motivo, che non sussiste il dedotto vizio di motivazione costituzionalmente rilevante, il quale, in seguito alla riformulazione dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, sussiste solo qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass., Sez. Un., 07/04/2014, nn. 8053 e 8054; Cass. 12/10/2017, n. 23940; Cass. 25/09/2018, n. 22598; Cass. 03/03/2022, n. 7090).
5. In definitiva, devono accogliersi il primo motivo di ricorso e, per quanto di ragione, il secondo motivo, mentre devono essere dichiarati inammissibili il terzo e il quarto.
La sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio della causa alla Corte di appello di Venezia in diversa composizione, che tornerà a delibare nel merito la domanda risarcitoria formulata da M. C. nei confronti delle società convenute, procedendo al libero apprezzamento delle risultanze della prova testimoniale, la cui valutazione è stata indebitamente omessa, e avuto riguardo alle circostanze di fatto coperte dal giudicato, indebitamente eluso.
Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità (art.385, terzo comma, cod. proc. civ.).
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e, per quanto di ragione, il secondo motivo di ricorso; dichiara inammissibili il terzo e il quarto.
Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.