Questo il principio di diritto espresso dalla Cassazione con la sentenza in esame. Nulla è infatti previsto al riguardo nell'ambito dell'art. 48, comma 6, c.p.p..
Il difensore dell'imputato chiede la rimessione del processo penale fondata sulla grave situazione locale che sarebbe derivata dall'istaurazione del processo penale ove l'assistito era stato chiamato a rispondere di condotte commesse nelle vesti di ufficiale giudiziario dell'UNEP del Tribunale in concorso con altri 11 avvocati dello stesso foro. A fondamento dell'istanza...
Svolgimento del processo
1. Con l'istanza in esame il difensore e procuratore speciale di C. T. ha chiesto la rimessione del processo penale a carico del ricorrente e di altri, attualmente pendente dinanzi al Tribunale di Vallo della Lucania, ad altra autorità giudiziaria. L'istanza si fonda sulla grave situazione locale che sarebbe derivata da detto procedimento penale nell'ambito del quale il ricorrente è chiamato a rispondere di condotte commesse quale ufficiale giudiziario dell'U.N.E.P. del Tribunale di Vallo della Lucania in concorso con circa undici avvocati del medesimo Foro.
A sostegno della configurabilità del motivo di rimessione del processo, deduce i seguenti elementi: a) nel corso delle indagini, è stato disposto il sequestro dell'intero ufficio con conseguente paralisi di circa 2000 fascicoli civili; b) inizialmente era stato indagato anche un Giudice onorario del Tribunale di Vallo della Lucania, R. R., la cui posizione, concernente un addebito di concussione in concorso con T., sarebbe improvvisamente scomparsa dagli atti del fascicolo processuale; c) solo a seguito di un esposto del ricorrente è emerso che la posizione del R. era stata trasmessa alla Procura di Napoli ed era stata oggetto di un provvedimento di archiviazione; d) nonostante ciò, il R. è stato componente del Collegio giudicante nel processo a carico del ricorrente all'udienza del 22/4/2021; e) sono state rigettate le richieste di astensione e le successive istanze di ricusazione presentate dal ricorrente nei confronti di due Presidenti del Collegio giudicante, G.D. L. (in quanto Presidente dell'U.N.E.P.) e M. T. (che aveva già svolto funzioni di Giudice per le indagini preliminari); f) le "anomalie" correlate alla escussione sia degli agenti di polizia giudiziaria che hanno svolto le indagini (alcuni già sentiti, altri ancora da escutere) i quali hanno proceduto con modalità di verbalizzazione illegittime, già eccepite dal ricorrente in udienza, sia dei cento avvocati indicati nella lista testimoniale, i quali esercitano quotidianamente la loro attività dinanzi al Tribunale di Vallo della Lucania.
Motivi della decisione
1. L'istanza è inammissibile in quanto, al di là della rilevanza "locale" del procedimento in corso, in parte, si limita a prospettare singoli episodi endoprocedimentali (le incompatibilità di alcuni componenti del Collegio giudicante) risolvibili attraverso il ricorso agli istituti della astensione e della ricusazione, e, in altra parte, prospetta una situazione di generico rischio per la genuinità delle deposizioni dei testi che saranno escussi in dibattimento.
1.1 Secondo un principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, in considerazione del carattere eccezionale dell'istituto della rimessione, in quanto costituisce una deroga al principio costituzionale del giudice naturale precostituito per legge, la nozione di "grave situazione locale" che legittima la "translatio iudicii" deve essere interpretata in termine restrittivi e si configura solo in presenza di un fenomeno esterno alla dialettica processuale, riguardante l'ambiente territoriale nel quale il processo si svolge e connotato da tale abnormità e consistenza da non poter essere interpretato se non nel senso di un pericolo concreto per la non imparzialità del giudice (inteso come l'ufficio giudiziario della sede in cui si svolge il processo di merito) o di un pregiudizio alla libertà di determinazione delle persone che partecipano al processo medesimo (Sez. U, n. 13687 del 28/01/2003, Berlusconi, Rv. 223638).
Alla luce di tali chiare coordinate ermeneutiche, deve, dunque, ribadirsi, con riferimento alle situazioni di incompatibilità dei componenti del Collegio giudicante dedotte dall'istante, che i motivi di legittimo sospetto si possono configurare solo in presenza di una grave situazione locale tale da turbare il processo, che investa l'ufficio giudiziario nel suo complesso e non i singoli giudici o magistrati del pubblico ministero, giacché, in quest'ultima eventualità, l'osservanza delle regole del giusto processo può essere assicurata mediante l'astensione e la ricusazione, senza necessità del trasferimento del processo ad altro ufficio giudiziario. (Sez. 6, n. 13419 del 05/03/2019, Baldassarre Bonura, Rv. 275366; Sez. 6, n. 15741 del 28/03/2013, Conte, Rv. 255844; Sez. 6, n. 44570 del 06/02/2004, Cito, Rv. 230521).
1.2 Deve, inoltre, escludersi che il ruolo rivestito dall'istante e la correlazione della fattispecie criminosa contestatagli alla sua funzione di ufficiale giudiziario, anche in concorso con avvocati del Foro di Vallo della Lucania, possa, di per sé, integrare il presupposto della "grave situazione locale", nella accezione sopra esposta, idonea a pregiudicare la serenità dell'ufficio giudiziario (in termini analoghi, con riferimento ad una fattispecie in cui le persone offese erano funzionari di cancelleria dell'ufficio giudiziario chiamato a celebrare il processo, si veda Sez. 5, n. 14707 del 06/03/2019 Di Lorenzo Rv. 275097; analogamente, Sez. 5, n. 16553 del 18/01/2023, Tornotti, Rv. 284451 - 02 ha escluso che la circostanza che alcuni testimoni intrattengano rapporti professionali con l'ufficio giudiziario presso il quale si celebra il processo integri il presupposto della "grave situazione locale", non essendo di per sé idonea a far sorgere un pericolo concreto di non imparzialità del giudice o di pregiudizio per la libera determinazione delle parti).
1.3 Con riferimento, infine, al "sospetto" correlato alle escussioni dei testimoni, va ribadito che non ricorrono gli estremi per la rimessione del processo quando l'istante si limiti a prospettare, come nel caso in esame, soltanto il probabile rischio di turbamento della libertà valutativa e decisoria del giudice, fondato su illazioni o sull'adduzione di timori o sospetti, non espressi da fatti oggettivi né muniti di intrinseca capacità dimostrativa, senza indicare alcuna situazione locale di una tale gravità e dotata di una oggettiva rilevanza da coinvolgere l'ordine processuale dell'ufficio giudiziario di cui sia espressione il giudice procedente (Sez. 6, n. 22113 del 06/05/2013 Berlusconi, Rv. 255375).
2. Alla dichiarazione di inammissibilità dell'istanza segue, ai sensi dell'art. 48, comma 6, cod. proc. pen. la condanna dell'istante al pagamento della somma di 1000 euro in favore della Cassa delle ammende, non potendosi ritenere che lo stesso abbia proposto l'istanza senza versare in colpa. nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cast. n. 186 del 2000).
Ritiene il Collegio che a tale dichiarazione di inammissibilità non debba, invece, conseguire la condanna al pagamento delle spese processuali.
Va, innanzitutto, considerato che su tale questione sono emersi due orientamenti nella giurisprudenza di legittimità.
Secondo un primo orientamento, ad oggi maggioritario, in tema di rimessione del processo, se la Corte di Cassazione rigetta o dichiara inammissibile l'istanza deve condannare l'imputato che l'ha proposta al pagamento delle spese processuali, in applicazione del principio generale espresso nella disposizione di cui all'art. 616, comma 1, cod. proc. pen., che si applica a tutti i giudizi, principali o incidentali, dinanzi al giudice di legittimità (Sez. 5, n. 33226 del 16/04/2019, Urgo, Rv. 276929; Sez. 5, n. 49692 del 04/10/2017, Rv. 271438; Sez. 1, n. 944 del 09/02/2000, Tiani, Rv. 216006; Sez. 1, n. 4633 del 15/07/1996, Argenti, Rv. 205587).
A sostegno di tale conclusione Sez. 5, n. 49692 del 2017, ha anche richiamato il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 26 del 05/07/1995, Galletto, Rv. 202014, in relazione al procedimento di riesame. Ad avviso del Supremo Consesso, infatti, poiché il riesame ha natura di mezzo di impugnazione, deve trovare applicazione, anche con riguardo ad esso, il principio generale fissato in materia di spese dall'art. 592, primo comma, cod. proc. pen.; pertanto, atteso che l'ordinanza di rigetto o di inammissibilità del gravame, pronunziata dal tribunale, esaurisce in via definitiva il procedimento incidentale e determina la soccombenza dell'istante, legittimamente viene disposta, in tale provvedimento, la condanna al pagamento delle spese processuali.
Secondo la richiamata decisione, anche nel caso di declaratoria di inammissibilità dell'istanza di rimessione sono ravvisabili entrambi i presupposti che, secondo le Sezioni Unite, fondano la condanna alle spese processuali: l'essere la statuizione contenuta in un provvedimento definitivo (nel senso che conclude il procedimento dinanzi al giudice che ne è stato investito), e la soccombenza (ovvero il mancato accoglimento dell'impugnazione proposta), sia che essa riguardi il giudizio principale sulla responsabilità, sia che si tratti di un procedimento incidentale (in tal senso anche Sez. 5, n. 33226 del 2019).
Secondo altro orientamento, invece, in tema di rimessione del processo, la declaratoria di inammissibilità della richiesta non comporta la condanna al pagamento delle spese del procedimento, non prevedendo nulla al riguardo l'art. 48, comma 6, cod. proc. pen. e non trovando applicazione l'art. 616 cod. proc. pen., posto che la richiesta di rimessione non ha natura di mezzo di impugnazione (Sez. 5, n. 16553 del 18/01/2023, Tornotti, Rv. 284451), essendo, invece, volta a scongiurare il pericolo di condizionamento dell'esercizio della funzione giudiziaria per effetto di gravi situazioni locali, finalità che trova espresso presidio costituzionale nel principio della terzietà e imparzialità del giudice fissato dall'art. 111 Cost. (Sez. 2, n. 15480 del 21/02/2017, Carrella, Rv. 269969).
Il Collegio intende dare continuità a tale secondo orientamento.
Occorre, infatti, considerare che la espressa previsione, contenuta nell'art. 48, comma 6, cod. proc. pen., della sola condanna, di carattere facoltativo, al pagamento di una somma da 1000 euro a 5000 euro a favore della Cassa delle ammende, non può essere integrata con la disposizione generale prevista per il rigetto o la dichiarazione di inammissibilità del ricorso per cassazione dall'art. 616 cod. proc. pen.
Vi osta, in primo luogo, la peculiare natura dell'istituto della rimessione del processo, non inquadrabile nell'ambito dei rimedi di carattere impugnatorio.
Ciò emerge chiaramente dal suo presupposto, che, come già affermato nel par. 1, prescinde dai fenomeni endoprocedimentali ed è, invece, correlato alla "grave situazione locale" esterna al processo.
Va, inoltre, considerata la modalità di proposizione della domanda. L'atto introduttivo di tale procedimento non è, infatti, un "ricorso", ma una "richiesta". Tale differenza non è meramente terminologica e lessicale, ma esprime la differente funzione dell'atto introduttivo che, nel caso del ricorso per cassazione, rappresenta lo strumento attraverso il quale l'interessato deduce dinanzi al giudice di legittimità uno o più dei vizi indicati dall'art. 606 cod. proc. pen. da cui assume essere affetto il provvedimento impugnato.
La "richiesta" di rimessione, invece, ha un contenuto rappresentativo degli elementi fattuali correlati ad una situazione esterna al processo.
Alla differente natura e funzione dell'atto introduttivo e, soprattutto, al diverso grado di "tecnicismo" che ne connota il contenuto, consegue che solo nel caso del "ricorso" per cassazione l'art. 613, comma 1, cod. proc. pen. prescrive che sia redatto, a pena di inammissibilità, da difensori iscritti nell'albo speciale della Corte di cassazione. Per la "richiesta" di rimessione, invece, l'art. 46, comma 2, cod. proc. pen. non prescrive la necessaria rappresentanza tecnica del difensore ma prevede che la stessa è sottoscritta dall'imputato personalmente o da un suo procuratore speciale.
Peraltro, tale differente modalità di introduzione del giudizio è stata ritenuta attuale dalla giurisprudenza di legittimità anche a seguito della riforma introdotta dalla legge n. 103 del 2017. Va, al riguardo, considerato che le Sezioni Unite, con la sentenza n. 8914 del 21/12/2017, dep. 2018, Aiello, Rv. 272010, hanno affermato che, a seguito della modifica apportata agli artt. 571 e 613 cod.proc. pen. dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, il ricorso per cassazione avverso qualsiasi tipo di provvedimento, compresi quelli in materia cautelare, non può più essere proposto dalla parte personalmente, ma deve essere sottoscritto, a pena di inammissibilità, da difensori iscritti nell'albo speciale della Corte di cassazione. Il Supremo Consesso ha, tuttavia, aggiunto in motivazione che anche dopo la riforma del 2017, deve considerarsi estraneo all'ambito di applicazione della nuova disciplina risultante dal combinato disposto degli artt. 571, comma 1 e 613, comma 1, cod. proc. pen. il procedimento incidentale originato da una richiesta di rimessione avanzata dall'imputato ai sensi dell'art. 45 cod. proc. pen. in relazione al quale deve, dunque, escludersi la necessaria rappresentanza tecnica del difensore.
Alla luce di quanto sopra esposto, va pertanto, affermato il seguente principio di diritto: la declaratoria di inammissibilità dell'istanza di rimessione non comporta la condanna al pagamento delle spese del procedimento, non prevedendo nulla al riguardo l'art. 48, comma 6, cod. proc. pen. e non potendosi integrare tale disposizione, in considerazione della peculiare naturale dell'istituto e dell'atto introduttivo relativo procedimento incidentale, con la previsione generale contenuta nell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile l'istanza e condanna l'istante al pagamento della somma di euro mille in favore della Cassa delle ammende.