Svolgimento del processo
1. La Corte di appello di Venezia ha confermato la condanna a pena ritenuta di giustizia di R.S. per il reato di maltrattamenti (art. 572 cod. pen., in esso assorbito quello di percosse contestato al capo b), commesso in data anteriore e prossima al 20 febbraio 2015. Ha confermato, altresì, la condanna al risarcimento del danno, liquidato in euro cinquemila, in favore della parte civile, T.S..
2. Con i motivi di ricorso, di seguito sintetizzati ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen. nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione, il ricorrente chiede l'annullamento della sentenza impugnata in quanto frutto dell'erronea applicazione della legge penale e, precisamente, denuncia:
2.1. violazione della legge processuale perché, contestato il reato di cui all'art. 572 cod. pen. sotto la specie di violazione di obblighi di natura assistenziale facenti capo all'amministratore di sostegno, la Corte di appello ha ricondotto la violazione dell'obbligo di solidarietà e assistenza a un rapporto di fatto tra imputato e persona offesa in quanto fratelli;
2.2. erronea applicazione della legge penale nella individuazione del ricorrente come persona sulla quale gravavano obblighi di cura e vigilanza, che non fanno capo all'amministratore di sostegno, tanto è vero che la giurisprudenza ha anche escluso la configurabilità nei confronti dell'amministratore di sostegno del reato di cui all'art. 571 cod. pen.;
2.3. carenza dell'elemento oggettivo del reato in presenza di episodi sporadici di aggressione fisica ricostruiti sulla base del travisamento delle dichiarazioni rese da T.S., comunque non attendibili e prive di riscontri anche per la lacunosità delle dichiarazioni rese dalla badante sia in merito alla ricostruzione dell'episodio del 20 febbraio 2015 che di quello del 16 marzo 2015, risultato fortemente ridimensionato (un tentativo di colpirlo con uno schiaffo) alla stregua della ricostruzione della persona offesa compiuta in dibattimento;
2.4. violazione di legge e erronea applicazione della legge penale in relazione alla condanna al risarcimento del danno, che avrebbe dovuto essere esclusa o ridotta nell'importo.
3.11 ricorso è stato trattato con procedura scritta, ai sensi dell'art. 23, comma 8, d.l. 137 del 28 ottobre 2020, in relazione all'art. 17 del d.l. 22 giugno 2023 n. 75 che ha previsto la trattazione cd. cartolare del giudizio di impugnazione per le impugnazioni proposte sino al quindicesimo giorno successivo al 31 dicembre 2023.
Motivi della decisione
1.11 ricorso deve essere rigettato perché proposto per motivi infondati. Il motivo sub 2.3 è anche generico e manifestamente infondato.
Il tema da affrontare, in relazione ai primi due motivi di ricorso, è relativo alle nozioni di persona di famiglia e persona comunque convivente e alla loro interrelazione ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 572 cod. pen. con riferimento alla qualità di amministratore di sostegno dell'imputato che il ricorrente individua quale requisito soggettivo posto a fondamento della contestazione deducendo, da un lato, che l'amministratore di sostegno non è persona che svolge attività di cura e assistenza della persona affidatagli, limitandosi a compiti inerenti alla gestione patrimoniale, e, dall'altro lato, sotto il profilo di violazione della legge processuale, evidenziando che, ascrittagli la condotta di maltrattamenti perché tenuta in violazione dei doveri di cura e assistenza, quale amministratore di sostegno, è stato condannato imputandogli le condotte come maltrattamenti agiti quale fratello della persona offesa.
Si tratta di motivi, come anticipato, infondati, che, tuttavia, presuppongono l'esame del terzo motivo devoluto con il ricorso, relativo alla valutazione del compendio indiziario che il ricorrente riconduce al travisamento delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, acquisite su contestazione e approfondimento svolto dal giudice e non spontaneamente riferite nel corso della lacunosa deposizione della persona offesa, dichiarazioni comunque inattendibili e prive di riscontri.
Come noto, il vizio di travisamento della prova dichiarativa deducibile dinanzi al giudice di legittimità deve avere un oggetto definito e non opinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco della singola dichiarazione assunta e quello che il giudice ne abbia inopinatamente tratto ed è pertanto da escludere che integri il suddetto vizio un presunto errore nella valutazione del significato probatorio della dichiarazione medesima (Sez. 5, n. 9338 del 12/12/2012, dep. 2013, Maggio, Rv. 255087).
La Corte di appello ha ritenuto l'imputato, amministratore di sostegno del fratello T. - soggetto portatore di un grave handicap motorio - responsabile del reato sulla scorta delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, valorizzando, con riferimento a specifici episodi di aggressione fisica, le dichiarazioni rese dalla badante della persona offesa, M.B., riscontrate dal referto del pronto soccorso, in merito all'episodio del 20 febbraio 2015 e quelle rese dal maresciallo M. P. che aveva riferito di un episodio, verificatosi il 16 marzo 2015, quando, presso la caserma dove aveva convocato le parti, l'imputato aveva dato uno schiaffo al fratello. Anche il carabiniere N. aveva riferito che, nel gennaio del 2015, aveva effettuato un intervento a casa della persona offesa che aveva chiamato i carabinieri perché malmenato dal fratello.
La Corte di appello, inoltre, al fine di ricostruire la complessa dinamica del rapporto tra i due fratelli, ha valorizzato le dichiarazioni rese dall' assistente sociale del Comune di (omissis), che ha ben descritto, da un lato, la condizione di vulnerabilità della persona offesa, in ragione delle sue patologie, che lo costringevano su una sedia a rotelle e lo obbligavano a forme di assistenza di terzi per le funzioni più elementari, e del costante timore di essere condotto in una casa di riposo, volendo invece permanere, forte anche del reddito di assistenza percepito di ca. 1. 700 euro al mese, nella propria casa di abitazione. L'assistente sociale, pur descrivendo le condizioni psichiche particolarmente difficili della persona offesa e il suo carattere fortemente emotivo, ha sottolineato che questi non era persona incapace, ma solo impedita nei movimenti e aveva descritto i contrasti emersi fra i due fratelli in merito alla gestione del reddito, poiché, secondo l'imputato, il fratello faceva spese eccessive, tanto che ella stessa ne aveva proposto la revoca dell'amministrazione di sostegno, revoca intervenuta il 16 febbraio 2015. L'imputato aveva, in particolare, requisito il bancomat e i libretti di risparmio del fratello, cosa che aveva determinato ritardi nel pagamento della badante, con un comportamento che, evidentemente, non rientrava nelle prerogative dell'amministratore di sostegno, limitato all'assistenza negli atti di straordinaria amministrazione e a quelli che comportavano una spesa superiore a duemila euro. L'assistente sociale aveva anche confermato di avere ricevuto segnalazioni della badante in merito ai maltrattamenti subiti dalla persona offesa.
La sentenza di appello ha, infine, rinviato alla sentenza di primo grado, che aveva illustrato le dichiarazioni rese dalla persona offesa in merito ai rapporti interpersonali con l'imputato che aveva il compito di assistere il congiunto per circa due ore il sabato e la domenica, in assenza della badante, cosa che faceva, ma frettolosamente, e restando con il fratello per pochissimo tempo, senza accudirlo, con visite inframmezzate da litigi poiché l'imputato tendeva a controllare le spese del congiunto, giungendo a privarlo del bancomat e dei libretti di risparmio e durante i quali lo offendeva con appellativi ingiuriosi, riferiti alla sua disabilità, o violenti, tirandogli i capelli o colpendolo con schiaffi alla nuca.
Lo stesso imputato, e la moglie, avevano confermato che questi si era assunto il compito di assistere il congiunto in assenza della badante o, addirittura, quando questa era in casa per aiutarla nel disbrigo delle attività elementari ma indispensabili (come metterlo a letto), attività materiali rispetto alle quali, si precisa in sentenza, non erano emersi aspetti di trascuratezza.
2. La denuncia del vizio di travisamento della prova non coglie nel segno e propone, a fronte della puntuale ricostruzione del risultato di prova analizzato e illustrato dai giudici di merito, una rilettura degli elementi di prova concentrando l'attenzione sul tenore di specifici passaggi o contestazioni delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, che i giudici di merito hanno, invece, descritto come precise, puntuali e non animose, al cospetto del giudizio di attendibilità del dichiarante e dei riscontri per gli episodi del 20 febbraio 2015, costituiti dalle dichiarazioni della badante e dalle risultanze del referto, e per quello del 16 marzo 2015 dalle dichiarazioni rese dal maresciallo comandante della Stazione.
La Corte di merito ha diffusamente esaminato anche le dichiarazioni rese dai testi della difesa (relative all'episodio del 20 febbraio in relazione al quale l'imputato aveva dedotto di non essersi recato a casa del congiunto, se non dopo l'accesso al pronto soccorso) ma, con insindacabile apprezzamento in fatto, ha escluso la·fondatezza della tesi difensiva, anche evidenziando che l'essersi l'imputato recato al mercato con la moglie e un'amica non era incompatibile con la sua presenza a casa della persona offesa. Anche in merito ad altro episodio aggressivo, quando l'imputato aveva preso per il collo il fratello, le modalità di acquisizione della dichiarazione (non riferita ma sollecitata dal giudice nel corso della deposizione) non inficiano di inattendibilità il racconto della persona offesa e della badante, presente al fatto; analogamente, con riferimento all'episodio riferito dal carabiniere N., correttamente la Corte ha valorizzato le ragioni della chiamata piuttosto che ciò che la persona offesa aveva poi riferito al carabiniere, rifiutando il ricovero in ospedale.
Soprattutto, la sentenza impugnata ha esaminato gli aspetti "caratteriali" della persona offesa, escludendo, sulla base delle sue caratteristiche fisiche, che nei momenti di alterazione potesse andare oltre ad atteggiamenti di opposizione meramente verbale.
Conclusivamente, sulla base di specifici e convergenti elementi, i giudici di merito hanno ricostruito un'abituale condotta vessatoria tenuta dall'imputato nei confronti del fratello, descrivendo episodi di ingiurie e aggressioni a bassa intensità e minacce di ricovero in una residenza socio-assistenziale, particolarmente temute dalla persona offesa perché accompagnate da atti che trasmodavano dai poteri dell'amministratore di sostegno, quali il mancato pagamento delle competenze della badante e la requisizione della tessera bancomat e dei libretti di risparmio, episodi che hanno avuto il loro culmine negli episodi di aggressione fisica del 20 febbraio e del 15 marzo.
3. Il ricorrente contesta la idoneità delle condotte a creare una situazione di forte subordinazione e soggezione che la sentenza impugnata ha, invece, puntualmente descritto (cfr. pagg. 5 e 6), valorizzando, ai fini del clima di sopraffazione che l'imputato era in condizione di realizzare, anche le condizioni di particolare vulnerabilità della vittima e la situazione di dipendenza in cui versava e, dunque, l'asimmetria di posizioni tra imputato e persona offesa, che non consente di sussumere i fatti accertati in un contesto di mere liti familiari.
Va, peraltro, rilevato che, ai fini della sussistenza del reato di maltrattamenti, non è elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice la riduzione della vittima a succube da parte dell'agente, ma è sufficiente la sussistenza di condotte abitualmente vessatorie, che siano concretamente idonee a cagionare sofferenze, privazioni ed umiliazioni (Sez. 6, n. 809 del 17/10/2022, dep. 2023, P., Rv. 284107).
4. Così chiarita la condotta materiale ascritta all'imputato, non vi è spazio per escluderne la riconducibilità al reato di maltrattamenti, reato configurabile anche in assenza di un rapporto di stabile convivenza tra le parti, tenuto conto non solo del rapporto di consanguineità tra imputato e persona offesa, oggetto di contestazione fin dall'imputazione, ma anche del rapporto di cura che di fatto l'imputato svolgeva e che va ben al di là dell'assistenza prestata quale amministratore di sostegno.
Il tema non è di agevole ricostruzione poiché, in presenza di rapporti che originano nell'ambito dei rapporti di famiglia e tra consanguinei, si è ritenuto necessario, in dottrina, conferire centralità al requisito della convivenza, considerando non esaustivo, ai fini dei requisiti di soggettività attiva e passiva del reato, il mero rapporto parentale.
Più articolata la posizione della giurisprudenza di legittimità.
Si ritiene, infatti, che il sintagma "persona comunque convivente", che figura nella disposizione di cui all'art. 572 cod. pen., funge da elemento di specificazione del concetto "persona di famiglia" sicché, ove tra i soggetti non sussista un rapporto di convivenza, la permanenza di un vincolo di tipo esclusivamente formale non è sufficiente, di per sé, ad assurgere a criterio valutativo dirimente, dovendosi, viceversa, indagare la sussistenza o meno di un rapporto che nel suo sviluppo sostanziale mantenga le caratteristiche della familiarità e riveli la permanenza di vincolo di solidarietà che della "famiglia" costituisce il tratto fondante, non potendo, questa, ridursi ad un mero dato anagrafico.
Si richiede, pertanto, ai fini della configurabilità del reato, la permanenza di rapporti di reciproca assistenza morale e affettiva, e si ritiene il reato non configurabile ove risulti la definitiva disgregazione dell'originario nucleo familiare (Sez. 6, n. 8145 del 15/01/2020, 5., Rv.278358): con un accertamento che va ancorato a dati oggettivi (la permanenza di rapporti di reciproca assistenza morale e affettiva o la cessazione definitiva di qualunque rapporto tra i membri di una famiglia), piuttosto che ai dati della convivenza o coabitazione, che potrebbero risultare solo formali.
Si è, così, conclusivamente affermato il principio, condiviso dal Collegio, secondo cui il delitto di maltrattamenti ex art. 572 cod. pen. è configurabile nelle relazioni tra consanguinei, in quanto "persone della famiglia", anche in mancanza di convivenza o dopo la sua cessazione, salvo che i vincoli di solidarietà, che costituiscono il presupposto della fattispecie incriminatrice, siano in fatto venuti meno per la definitiva interruzione di ogni rapporto tra le parti (Sez. 6, n. 19839 del 07/04/2022, G, Rv. 283465).
Nel caso in esame, non rileva, dunque, la mancanza di un rapporto di convivenza tra l'imputato e la persona offesa, ma, in presenza di un vincolo familiare forte quale quello tra fratelli, deve rilevarsi come la sentenza impugnata abbia correttamente ritenuto perduranti gli intensi vincoli di solidarietà tra la persona offesa e l'imputato che si faceva carico, stabilmente e non episodicamente, della sua assistenza, nell'ambito di un rapporto rinsaldato dall'assunzione dell'incarico di amministratore di sostegno.
Tale complesso rapporto è descritto fin dal capo di imputazione, la cui corretta formulazione non è oggettivamente suscettibile della riduttiva interpretazione svolta con il ricorso, con la conseguenza che alcuna violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza può rinvenirsi nella decisione impugnata.
5. Manifestamente infondato è il quarto motivo di ricorso relativo alla quantificazione del danno ed alla sua sussistenza.
Contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, la sentenza di appello ha individuato compiutamente i dati fattuali posti a fondamento della liquidazione equitativa, sottolineando il fatto che erano stati valutati, già in primo grado, la durata e natura degli episodi di violenza; le gravi offese ricevute dalla persona offesa e la loro oggettiva portata umiliante perché incentrate proprio sulla sua disabilità.
In definitiva, dunque, i giudici di merito hanno descritto, con motivazione logica e coerente, i parametri di giudizio utilizzati per la valutazione equitativa del danno determinato in un importo commisurato, non eccessivo e non manifestamente sproporzionato rispetto alla dimostrata sussistenza di un importante pregiudizio non patrimoniale univocamente emerso dalle deposizioni della vittima, della badante, dell'assistente sociale, aspetti con i quali il ricorso omette di confrontarsi.
6. Segue, al rigetto del ricorso, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.