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2 novembre 2023
I membri del CdA non rispondono per le violazioni delle norme antinfortunistiche

Il destinatario di tali norme è il legale rappresentante, la cui responsabilità penale deriva dalla sua qualità di preposto alla gestione societaria ed è indipendente dallo svolgimento, o meno, di mansioni tecniche.

La Redazione

La Corte d'Appello di Milano confermava la decisione di primo grado che aveva condannato le imputate, nella veste di consiglieri diamministrazione della società che gestiva l'impianto fiduciario, per una serie di violazioni al D. Lgs. n. 81/2008.

Le imputate ricorrono per cassazione sostenendo di non aver ricevuto dall'amministratore una specifica delega alla sicurezza e dunque di non aver svolto in concreto le funzioni di “datore di lavoro” non avendo alcun potere gestionale od organizzativo.

Per la Cassazione il motivo è fondato. I Giudici di merito hanno ravvisato la penale responsabilità delle imputate richiamando il principio, in forza del quale «nelle società di capitali, gli obblighi inerenti alla prevenzione degli infortuni posti dalla legge a carico del datore di lavoro gravano indistintamente su tutti i componenti del consiglio di amministrazione, salvo il caso di delega, validamente conferita, della posizione di garanzia».
Tuttavia, per la Suprema Corte, a fronte di una pronuncia rimasta isolata, è più convincente il diverso orientamento, propugnato da numerose decisioni, secondo cui «in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, destinatario della normativa antinfortunistica in una impresa strutturata come persona giuridica è il suo legalerappresentante, quale persona fisica attraverso cui l'ente collettivo agisce nel campo delle relazioni intersoggettive; ne consegue che la responsabilità penale del predetto, ad eccezione delle ipotesi di valida delega, deriva dalla sua qualità di preposto alla gestione societaria ed è indipendente dallo svolgimento, o meno, di mansioni tecniche».

Infatti, attribuire la qualifica di datore di lavoro a tutti i membri del CdA significherebbe operare un'indebita estensione della definizione di “datore di lavoro”.
Pertanto, nel caso di specie la Corte di merito ha errato nell'affermare la responsabilità penale sul presupposto che, in capo alle ricorrenti, sia attribuibile la qualifica di “datore di lavoro”, qualifica che spetta unicamente al legale rappresentante dell'ente.

In conclusione, la Cassazione annulla la decisione impugnata con sentenza n. 43819 del 31 ottobre 2023.