Svolgimento del processo
La Corte d’appello di Torino, con sentenza n. 8/2022, pubblicata il 24/3/22, ha parzialmente riformato la decisione di primo grado, determinando, ai sensi dell’art.9, comma 3, l.div. in € 300,00 mensili la quota di pensione di reversibilità di T.F., deceduto nel dicembre 2020, spettante a B.R.E., a far data dall’1/1/2021, mentre il residuo importo spettava al coniuge superstite O.S., condannando l’INPS alla restituzione alla B. degli arretrati alla stessa spettanti e versati erroneamente al coniuge superstite, sempre a far data dall’1/1/2021.
In particolare, i giudici di appello, rilevato che il rapporto coniugale tra la B. e il T. è durato 32 anni (dal 1977 al 2009), con una effettiva convivenza di venticinque anni (dal 1977 al 2002, anno della sentenza di separazione giudiziale), mentre quello tra il T. e la S. è durato dieci anni (dal 2010 al 2020), ma era stato preceduto da un periodo di sei anni (dal 2004 al 2010) di convivenza prematrimoniale, hanno riformato la statuizione di primo grado, che aveva determinato in una quota pari al 40% della pensione di reversibilità quanto spettante al coniuge divorziato B., così «triplicando la somma mensile di cui la B. disponeva a titolo di assegno divorzile», percepito a far data dalla pronuncia di cessazione degli effetti del matrimonio nella misura di € 300,00 mensili, ritenendo che appariva congruo determinare in € 300,00 mensili la quota di pensione di reversibilità del T. spettante alla B., tenuto conto anche della complessiva situazione economica di quest’ultima.
Avverso la suddetta pronuncia, R.E.B. propone ricorso per cassazione, notificato il 3/8/2022, affidato a quattro motivi, nei confronti di O.S. (che resiste con controricorso, notificato i 12/9/2022). Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
1. La ricorrente lamenta: a) con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art.360 n. 3 c.p.c., dell’art.9, comma 3, l.div., nella parte in cui si è ritenuto che la liquidazione in favore dell’ex coniuge di una quota della pensione di reversibilità in misura superiore all’assegno divorzile avrebbe comportato il riconoscimento di una condizione migliore di quella goduta dallo stesso ex coniuge allorché l’obbligato era in vita; b) con il secondo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art.360 n. 3 c.p.c., dell’art.9, comma 3, l.div., nella parte in cui si è attribuita una quota pari a solo 1/8 della pensione di reversibilità così sostanzialmente obliterando il criterio normativo della durata del matrimonio; c) con il terzo motivo, l’omesso esame, ex art.360 n.
5 c.p.c., di fatto decisivo, rappresentato dal contributo fornito dall’ex coniuge nella formazione del patrimonio del de cuius; d) con il quarto motivo, l’omesso esame, ex art.360 n. 5 c.p.c., di fatto rappresentato dalla situazione patrimoniale delle parti, essendo stata la resistente destinataria di un consistente lascito ereditario da parte del marito, che l’aveva nominato, in testamenti, sua erede universale.
2. Le censure da trattare unitariamente in quanto connesse sono fondate nei limiti di quanto espresso in motivazione.
L’art. 9, comma 3, l.898/1970, recita: «3. Qualora esista un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, una quota della pensione e degli altri assegni a questi spettanti e' attribuita dal tribunale, tenendo conto della durata del rapporto, al coniuge rispetto al quale è stata pronunciata la sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e che sia titolare dell'assegno di cui allo articolo 5. Se in tale condizione si trovano più persone, il tribunale provvede a ripartire fra tutti la pensione e gli altri assegni, nonché a ripartire tra i restanti le quote attribuite a chi sia successivamente morto o passato a nuove nozze».
In relazione alla ripartizione tra ex coniuge e coniuge superstite della pensione di reversibilità, ai sensi del terzo comma dell’art.9 l.div., questa Corte a Sezioni Unite (Cass. n. 22434/2018) muovendo dall'interpretazione che della normativa in esame ha dato la Corte cost. nella sentenza n. 419 del 1999 (con la quale, confutandosi la soluzione interpretativa offerta dalle Sezioni unite con la sentenza n. 159/1998, secondo cui occorreva dare rilievo al solo criterio della «durata legale» del matrimonio, senza che potesse essere adottato alcun altro elemento di valutazione, neppure in funzione meramente correttiva del risultato matematico conseguito, si è affermato che il giudice deve prendere in considerazione «la condizione economica degli aventi diritto» in funzione equilibratrice), ha rinvenuto il presupposto per l'attribuzione del trattamento di reversibilità, a favore del coniuge divorziato, nel venir meno del sostegno economico apportato in vita dall'ex coniuge scomparso e la sua finalità nel sopperire a tale perdita economica, cosi` identificando la «titolarita`» dell'assegno nella fruizione attuale, da parte del coniuge divorziato, di una somma periodicamente versata dall'ex coniuge come contributo al suo mantenimento (cosi` Cass. Sez.Un. n. 22434 del 2018, in motivazione).
Va ricordato che la Corte cost. nella sentenza del 1999, n. 419, ha ritenuto infondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 9, terzo comma, I. n. 898 del 1970, nella parte in cui prevede esclusivamente la durata del «rapporto» matrimoniale, quale criterio di ripartizione della pensione di reversibilità tra divorziato e coniuge superstite, in riferimento agli art. 3 e 38 Cost, rilevando che, avendo il legislatore inteso assicurare «all’ex coniuge, al quale sia stato attribuito l’assegno di divorzio, la continuita` del sostegno economico correlato al permanere di un effetto della solidarietà familiare, mediante la reversibilità della pensione che trae origine da un rapporto previdenziale anteriore al divorzio, o di una quota di tale pensione qualora esista un coniuge superstite che abbia anch’esso diritto alla reversibilità», «in presenza di piu` aventi diritto alla pensione di reversibilita` (il coniuge superstite e l'ex coniuge), la ripartizione del suo ammontare tra di essi non puo` avvenire escludendo che si possa tenere conto, quale possibile correttivo, delle finalita` e dei particolari requisiti che, in questo caso, sono alla base del diritto alla reversibilita`. Cio` che, appunto, il criterio esclusivamente matematico della proporzione con la durata del rapporto matrimoniale non consente di fare. Difatti una volta attribuito rilievo, quale condizione per aver titolo alla pensione di reversibilita`, alla titolarita` dell'assegno, sarebbe incoerente e non risponderebbe al canone della ragionevolezza, ne´, per altro verso, alla duplice finalita` solidaristica propria di tale trattamento pensionistico, l'esclusione della possibilita` di attribuire un qualsiasi rilievo alle ragioni di esso perche´ il tribunale ne possa tenere in qualche modo conto dovendo stabilire la ripartizione della pensione di reversibilita`».
L'orientamento è stato ribadito da Corte Cost. 14 novembre 2000, n. n. 491, la quale, nel dichiarare la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, terzo comma, della legge 1° dicembre 1970, n. 898 « nella parte in cui, ai fini della determinazione delle quote anzidette, non esclude dal computo della durata del rapporto matrimoniale il periodo di separazione personale e non include il periodo di convivenza more uxorio precedente la celebrazione del secondo matrimonio», ha rilevato che eventuali riflessi negativi del criterio della durata del matrimonio «possano e debbano» essere superati mediante l’applicazione di altri e differenti criteri concorrenti, e in primis di quello relativo allo stato di bisogno degli aventi titolo alla pensione di reversibilità, realizzandosi in tal modo la giusta esigenza, richiamata dal rimettente, di tutelare tra le due posizioni confliggenti quella del soggetto economicamente più debole (sentenza n. 419 del 1999).
E la giurisprudenza di legittimità ha fatto costante applicazione del criterio enunciato dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n. 419 del 20 ottobre 1999, secondo cui il trattamento di reversibilità svolge una funzione solidaristica diretta alla continuazione della funzione di sostegno economico, assolta a favore dell'ex coniuge e del coniuge convivente, durante la vita del dante causa, rispettivamente con il pagamento dell'assegno di divorzio e con la condivisione dei rispettivi beni economici da parte dei coniugi conviventi (Cass., 21 settembre 2012, n. 16093; Cass., 7 dicembre 2011, n. 26358; Cass., 9 maggio 2007, n. 10638).
Presupposto per l'attribuzione della pensione di reversibilità è stato, dunque, ritenuto il venire meno del sostegno economico che veniva apportato in vita dal coniuge o ex coniuge scomparso: la sua finalità è quella di sovvenire a tale perdita economica, all'esito di una valutazione effettuata dal giudice, in concreto, che tenga conto della durata temporale del rapporto, delle condizioni economiche dei coniugi, dell'entità del contributo economico del coniuge deceduto e di qualsiasi altro criterio utilizzabile per la quantificazione dell'assegno di mantenimento.
Questa Corte ha, in particolare, affermato che la ripartizione del trattamento di reversibilità tra coniuge divorziato e coniuge superstite, entrambi aventi i requisiti per la relativa pensione, va effettuata, oltre che sulla base del criterio della «durata» dei matrimoni, anche ponderando ulteriori elementi correlati alla finalità solidaristica dell'istituto, tra i quali la durata delle convivenze prematrimoniali, dovendosi riconoscere alla convivenza «more uxorio» non una semplice valenza «correttiva» dei risultati derivanti dall'applicazione del criterio della durata del rapporto matrimoniale, bensi` un distinto ed autonomo rilievo giuridico, ove il coniuge interessato provi stabilità ed effettività della comunione di vita prematrimoniale (Cass., 5268/2020, che si rifà, peraltro, ad un precedente del 2011, Cass. 26358, così massimato: «La ripartizione del trattamento di reversibilità tra coniuge divorziato e coniuge superstite, entrambi aventi i requisiti per la relativa pensione, va effettuata, oltre che sulla base del criterio della durata dei matrimoni, ponderando ulteriori elementi correlati alla finalità solidaristica dell'istituto, tra i quali la durata delle convivenze prematrimoniali, dovendosi riconoscere alla convivenza "more uxorio" non una semplice valenza "correttiva" dei risultati derivanti dall'applicazione del criterio della durata del rapporto matrimoniale, bensì un distinto ed autonomo rilievo giuridico, ove il coniuge interessato provi stabilità ed effettività della comunione di vita prematrimoniale», in controversia in cui si contrapponeva, ai fini del riparto della pensione di reversibilità, un matrimonio trentennale, tenuto conto dell’epoca del divorzio, dell’ex coniuge titolare di assegno divorzile e un matrimonio durato pochi mesi del coniuge superstite, ma che era stato preceduto da una lunga convivenza more uxorio ).
In altre pronunce, si è affermato che, ai fini della ripartizione del trattamento di reversibilità, vanno considerati pure l’entità dell'assegno di mantenimento riconosciuto all'ex coniuge, le condizioni economiche dei due aventi diritto e la durata delle rispettive «convivenze prematrimoniali», senza mai confondere, pero`, la durata delle convivenza con quella del matrimonio, cui si riferisce il criterio legale, né individuare nell'entità dell'assegno divorzile un limite legale alla quota di pensione attribuibile all'ex coniuge, data la mancanza di qualsiasi indicazione normativa in tal senso ( Cass. 282/2001, secondo cui «la esistenza di un periodo di convivenza prematrimoniale del secondo coniuge, può essere assunta dal giudice come elemento della sua valutazione complessiva, ma solo in relazione al suddetto fine perequativo, e non quale indice di per sè giustificativo del computo del relativo periodo ai fini della ripartizione della pensione»; Cass. 4867/2006; Cass., n. 16093/2012; Cass., n.10391/2012: «La ripartizione del trattamento di reversibilità fra ex coniuge e coniuge superstite, va fatta "tenendo conto della durata del rapporto" cioè sulla base del criterio temporale, che, tuttavia, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 419 del 1999, per quanto necessario e preponderante, non è però esclusivo, comprendendo la possibilità di applicare correttivi di carattere equitativo applicati con discrezionalità; fra tali correttivi è compresa la durata dell'eventuale convivenza prematrimoniale del coniuge superstite e dell'entità dell'assegno divorzile in favore dell'ex coniuge, senza mai confondere, però, la durata della prima con quella del matrimonio, cui si riferisce il criterio legale, nè individuare nell'entità dell'assegno divorzile un limite legale alla quota di pensione attribuibile all'ex coniuge, data la mancanza di qualsiasi indicazione normativa in tal senso», precisandosi, in motivazione, che il criterio temporale, per quanto necessario e preponderante, non sia però esclusivo e che la valutazione del giudice «comprende la possibilità di applicare correttivi ispirati all'equità, così evitando l'attribuzione, da un canto, al coniuge superstite di una quota di pensione del tutto inadeguata alle più elementari esigenze di vita e, dall'altro, all'ex coniuge di una quota di pensione del tutto sproporzionata all'assegno in precedenza goduto»). Così pure in Cass.8623/2020 si ribadisce che « La ripartizione del trattamento di reversibilità, in caso di concorso tra coniuge divorziato e coniuge superstite, deve essere effettuata ponderando, con prudente apprezzamento, in armonia con la finalità solidaristica dell'istituto, il criterio principale della durata dei rispettivi matrimoni, con quelli correttivi, eventualmente presenti, della durata della convivenza prematrimoniale, delle condizioni economiche, dell'entità dell'assegno divorzile» (cfr. anche Cass. 11520/2020, secondo cui «In tema di ripartizione delle quote della pensione di reversibilità tra l'ex coniuge divorziato e quello già convivente e superstite, la considerazione tra gli altri indicatori, della durata delle rispettive convivenze prematrimoniali non comporta che vi debba essere una un'equiparazione tra la convivenza vissuta nel corso di uno stabile legame affettivo e quella condotta nel corso del matrimonio»).
Non tutti tali elementi, peraltro, devono necessariamente concorrere né essere valutati in egual misura, rientrando nell'ambito del prudente apprezzamento del giudice di merito la determinazione della loro rilevanza in concreto (Cass., n. 6272/2004; Cass., n. 26358/2011; Cass., n. 22399/2020; Cass. 14383/2021; Cass. 41960/2021).
Ora, la Corte d’appello non ha rispettato tali principi di diritto nella parte in cui, da un lato, ha comparato il solo periodo di durata della convivenza matrimoniale, rispetto all’ex coniuge B. (escludendo dal computo il periodo successivo alla separazione personale dei coniugi, pari a sette anni), con il periodo di durata della convivenza prematrimoniale (stimato dal 2004, in sei anni) e del matrimonio, rispetto al coniuge superstite e, dall’altro lato, ha ritenuto che l’importo dell’assegno divorzile percepito dalla B. costituisse un limite insuperabile nell’attribuzione della quota della pensione di reversibilità, riformando la decisione di primo grado, con la quale si era attribuita all’ex coniuge una quota pari al 40% della pensione di reversibilità, così «triplicando la somma mensile di cui la B. disponeva a titolo di assegno divorzile», percepito a far data dalla pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio nella misura di € 300,00 mensili, ritenendo congruo determinare in € 300,00 mensili anche la quota di pensione di reversibilità del T. spettante alla B..
Ma il riferimento all'assegno di divorzio non può costituire un criterio generale e astratto idoneo a sostituire quello della durata del matrimonio, ovvero può essere considerato un antecedente vincolante nella determinazione della quota della pensione di reversibilità, perché non può essere consentito al giudice di individuare nell'entità dell'assegno divorzile un limite legale alla quota di pensione attribuibile all'ex coniuge, data la mancanza di qualsiasi indicazione normativa in tal senso (Cass. 10391/2012; Cass. 5268/2020). E questo propriamente è l’errore in cui è incorsa la Corte territoriale e che occorre emendare.
3. Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento del ricorso, va cassata la sentenza impugnata, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Torino, per rinnovato esame della res litigiosa in diversa composizione, alla luce dei principi di diritto richiamati.
Il giudice del rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Torino in diversa composizione, anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Dispone che, ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52 siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in diffusione del presente provvedimento.