Svolgimento del processo
1. C.A.I. ricorre, sulla base di due motivi, per la cassazione della sentenza n. 3814/2019 della Corte d’appello di Venezia, che ha rigettato il gravame dallo stesso esperito avverso la sentenza n. 2665/17 del Tribunale di Treviso, che aveva dichiarato risolto il contratto di locazione ad uso non abitativo concluso da E.M. e A.M. con la società (omissis) s.r.l., cancellata dal registro delle imprese in data 23 dicembre 2016 e di cui il ricorrente era socio unico.
2. In punto di fatto, il ricorrente riferisce che i locatori, deducendo che la società conduttrice aveva interrotto il versamento dei canoni, gli avevano intimato, quale socio unico della conduttrice, in ragione della intervenuta cancellazione della società, intimazione di sfratto per morosità; costituendosi in giudizio si era opposto alla convalida ed all’ingiunzione di pagamento, replicando che il contratto di locazione doveva intendersi cessato per effetto dell’avvenuta cancellazione della società dal registro delle imprese.
2.1. Accolta dal Tribunale la domanda di risoluzione del contratto di locazione, con conseguente condanna del convenuto al pagamento dei canoni di locazione, il C.A.I. aveva impugnato la sentenza dinanzi alla Corte d’appello di Venezia.
2.2. I giudici di secondo grado hanno, in sintesi, preliminarmente osservato che la cancellazione dal registro delle imprese, avvenuta in data successiva al 1° gennaio 2004, comportava ex lege l’immediato venir meno del soggetto giuridico e un fenomeno successorio in forza del quale i rapporti obbligatori facenti capo all’ente non si estinguevano, ma si trasferivano ai soci che, a seconda del regime giuridico dei debiti sociali, ne rispondevano nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione, ovvero illimitatamente. Ritenendo, quindi, che nella specie vi fosse stata una successione ex lege nel rapporto di locazione da parte del socio unico, hanno precisato che non potesse a tanto considerarsi ostativo il dettato dell’art. 37 della legge n. 392/78, che prevede la successione in capo a coloro che “hanno diritto a continuare l’attività”, senza richiedere l’effettiva continuazione dell’attività svolta nell’immobile locato.
3. E.M. e A.M. resistono mediante controricorso.
4. La trattazione è stata fissata in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis.1. cod. proc civ.
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.
Motivi della decisione
1. Preliminarmente, deve darsi atto che il controricorso è ammissibile, pur non essendo l’avv. S.V. abilitato al patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori.
Nella vicenda in esame, la procura è stata conferita non solo all'Avv. S.V. - che non potrebbe patrocinare in questa sede - ma anche all'Avv. M.B., invece iscritto nell'apposito albo; il ricorso è sottoscritto da entrambi gli avvocati e anche l'autenticazione delle sottoscrizioni delle parti conferenti il mandato alle liti è sottoscritta sia dall'Avv. S.V., sia dall'Avv. M.B..
Come questa Corte ha già affermato, la certificazione dell'autografia della sottoscrizione della parte ricorrente da parte di un avvocato che non sia ammesso al patrocinio innanzi alla Suprema Corte costituisce mera irregolarità allorché l'atto sia stato firmato anche da altro avvocato iscritto nell'albo speciale e indicato come codifensore (Cass., sez. U, 08/07/2003, n. 10732; Cass., sez. 2, 27/07/2006, n. 17103; Cass., sez. 3, 11/07/2006, n. 15718; Cass., sez. 3, 12/10/2018, n. 25385; Cass., sez. 2, 19/03/2018, n. 6736).
A tale approdo questa Corte è pervenuta sulla base del principio secondo cui, in assenza di una espressa volontà della parte circa il carattere congiuntivo del mandato alle liti, è valido il ricorso per cassazione sottoscritto da due avvocati, di cui uno solo iscritto nell'albo degli avvocati abilitati alla difesa innanzi alle giurisdizioni superiori, atteso che l'avvocato abilitato, apponendo la firma sul ricorso, fa proprio il contenuto dell'atto e ne assume in pieno la paternità e la responsabilità nei riguardi della parte assistita, di controparte e del giudice, mentre rimane irrilevante l'altra sottoscrizione (Cass., sez. 2, 19/03/2018, n. 6736; Cass., sez. 1, 28/06/2006, n. 15011).
2. Con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione dell’art. 2495, secondo comma, cod. civ. ‹‹in tema di successione nel contratto di locazione difetto di legittimazione passiva del sig. C.A.I. – dalla quale consegue la violazione di legge ex art. 658 c.p.c. e art. 1 legge 431/98 difetto nei presupposti dell’azione morosità di sfratto per morosità››.
Premettendo che l’intimazione e la convalida di fratto non sono ammissibili quando il rapporto locatizio è cessato, il ricorrente sostiene che il contratto è venuto meno in ragione dell’estinzione della società conduttrice e che nessun effetto successorio si è verificato a suo carico, in quanto la corretta interpretazione tanto dell’art. 2495 cod. civ. che della giurisprudenza di legittimità intervenuta sul punto circoscrive ‹‹il fenomeno successorio esclusivamente ai diritti patrimoniali di natura economica e obbligatoria››, senza estenderli ‹‹ai diritti di natura personale di godimento quale è il diritto detentivo nascente dall’esistenza di un valido rapporto locatizio››.
3. Con il secondo motivo si deduce ‹‹Violazione di legge ex art. 37 legge 392/78 in tema di successione nel contratto di locazione difetto di legittimazione passiva del sig. C.A.I. – dalla quale consegue la violazione di legge ex art. 658 c.p.c. e art. 1 legge 431/98 difetto nei presupposti dell’azione monitoria di sfratto per morosità››.
Sostiene il ricorrente che dalla lettura del citato art. 37 si evince come la successione nel contratto di locazione ad uso diverso da quello abitativo sia espressamente prevista solo per i soggetti che ‹‹per successione o per precedente rapporto risultante da atto di data certa anteriore all’apertura della successione, hanno diritto a continuare l’attività››; dagli atti emergeva che non aveva proseguito alcuna attività sociale dell’originaria conduttrice, ma si era limitato a detenere l’immobile per fini personali.
Soggiunge che la decisione gravata sarebbe incorsa nella violazione dell’art. 658 cod. proc. civ., non essendo subentrato nel contratto di locazione già intercorso tra la società X s.r.l. ed i M., con la conseguenza che i proprietari avrebbero dovuto promuovere una ordinaria azione di rilascio al fine di rientrare nella disponibilità dell’immobile.
4. Il primo motivo è infondato.
4.1. Le Sezioni Unite civili della Cassazione, con la sentenza n. 6070 del 12 marzo 2013, hanno chiarito quale sia la sorte dei rapporti giuridici facenti capo alla società al momento della sua estinzione, in conseguenza della cancellazione dal registro delle imprese.
Il tema era stato in parte già affrontato dalle stesse Sezioni Unite nel corso del 2010 (Cass., sez. U, n. 4060/2010), ed è proprio dai principi affermati in quella sentenza che la Corte prende le mosse per chiarire le ulteriori ricadute che la riforma del diritto societario del 2003 ha avuto sul tema.
In particolare, le Sezioni Unite, dopo avere rammentato la valenza innovativa riconosciuta alla rinnovata formulazione dell’art. 2495 cod. civ. rispetto alla formulazione del precedente 2456 cod. civ., per cui la cancellazione di una società di capitali dal registro delle imprese, che nel precedente regime normativo si riteneva non valesse a provocare l’estinzione dell’ente qualora non tutti i rapporti ad esso facenti capo fossero stati definiti, è ora invece da considerarsi senz’altro produttiva dell’effetto estintivo, hanno spiegato che detto effetto è destinato ad operare in coincidenza della cancellazione, se questa abbia avuto luogo in epoca successiva al 1° gennaio 2004, data di entrata in vigore della riforma, ovvero a partire da quella data, se si tratti di cancellazione intervenuta in un momento precedente.
Soffermandosi sulle conseguenze della estinzione della società in ordine ai rapporti originariamente facenti capo alla società estinta a seguito della cancellazione dal registro, che tuttavia non siano stati definiti nella fase della liquidazione, o perché trascurati, o perché solo in seguito se ne è scoperta l’esistenza, e ciò sia con riguardo ai rapporti passivi (quelli implicanti l’esistenza di obbligazioni gravanti sulla società), sia in relazione ai rapporti attivi (quelli in forza dei quali prima della estinzione la società poteva vantare diritti), le Sezioni Unite hanno enunciato il principio di diritto in base al quale, qualora all’estinzione della società, conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio per cui:
a) le obbligazioni si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, essi fossero o meno illimitatamente responsabili per i debiti sociali. Il dissolversi della struttura organizzativa su cui riposa la soggettività giuridica dell’ente collettivo fa emergere il sostrato personale che, in qualche misura, ne è comunque base e rende perciò del tutto plausibile la ricostruzione del fenomeno in termini successori, che coinvolge i soci ed è variamente disciplinato dalla legge a seconda del diverso regime di responsabilità da cui, pendente societate, erano caratterizzati i pregressi rapporti sociali. Né alcun ingiustificato pregiudizio, sottolineano le Sezioni Unite, viene arrecato alle ragioni dei creditori per il fatto che i soci di società di capitali rispondono solo nei limiti dell’attivo loro distribuito all’esito della liquidazione;
b) si trasferiscono del pari ai soci, in regime di contitolarità o di comunione indivisa, i diritti ed i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, ma non anche le mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, né i diritti di credito ancora incerti o illiquidi la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto una attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale) il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato.
Per effetto della efficacia costitutiva della cancellazione, dunque, la società cancellata dal registro delle imprese cessa di essere protagonista della vicenda processuale e sostanziale che la riguarda ed il rapporto ad essa facente originariamente capo, attivo o passivo, si trasferisce ai soci.
4.2. La questione che si prospetta con la censura in esame è quello di stabilire entro che limiti operi il fenomeno successorio sui generis che consegue alla cancellazione della società dal registro delle imprese.
Ritiene il Collegio che l’art. 2495 cod. civ., come interpretato dalle Sezioni Unite, non abbia una portata limitata alle obbligazioni pecuniarie, ma debba trovare applicazione con riguardo a tutti i rapporti obbligatori aventi natura patrimoniale.
Le Sezioni Unite, con la nota sentenza del 2013, nel riferirsi genericamente alle “obbligazioni”, tanto attive quanto passive, hanno lasciato intendere che nel fenomeno successorio debba farsi rientrare qualsiasi obbligazione e che la dizione “creditori sociali non soddisfatti”, contenuta nel secondo comma dell’art. 2495 cod. civ., non possa che ricomprendere qualsiasi pretesa derivante da rapporti pendenti già facenti capo alla società, e, quindi, anche quelle che traggono origine da contratti di cui la società era parte, non diversamente da quanto accade a seguito della morte della persona fisica.
Ciò porta a ritenere l’applicabilità dell’art. 2495 cod. civ. anche al contratto di locazione ad uso diverso da quello abitativo, dal momento che da esso deriva un fascio di obbligazioni, che comprende non solo quella di corrispondere i canoni pattuiti, ma anche quella di restituire l’immobile alla cessazione del rapporto.
Varrà rilevare, sul punto, che nel caso di decesso di persona fisica, che rivesta la qualità di conduttore nell’ambito di un contratto di locazione ad uso diverso da quello abitativo, contro gli eredi è sicuramente azionabile il diritto, vantato dal locatore, al pagamento dei relativi canoni ed alla riconsegna del bene immobile alla scadenza del contratto, dato che gli eredi subentrano nella stessa posizione del de cuius e ne assumono i relativi obblighi.
Allo stesso modo nell’ipotesi in cui a rivestire la qualità di conduttore sia una società che successivamente viene cancellata dal registro delle imprese, le obbligazioni originariamente da essa assunte non possono che essere trasferite ai soci della medesima società, nei cui confronti i creditori possono agire, ai sensi dell’art. 2495 cod. civ., qualora esse attengano a rapporti ancora pendenti e non ancora definiti al momento della cancellazione, proprio perché le obbligazioni derivanti dal contratto non ancora adempiute si atteggiano alla stregua di crediti non soddisfatti.
Ciò significa che si trasferiscono ai soci anche i rapporti diversi dai debiti pecuniari. Precisamente in base al fenomeno di tipo successorio che consegue alla cancellazione, sono trasferiti ai soci le obbligazioni ancora inadempiute ed i beni o i diritti non compresi nel bilancio finale di liquidazione, con esclusione, invece, delle mere pretese, ancorché azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi necessitanti dell’accertamento giudiziale non concluso (Cass. Sez. U, n. 29108 del 18/12/2020; Cass., sez. 1, n. 19302 del 19/07/2018; Cass., sez. 1, 15/11/2016, n. 23269).
Come questa Corte ha avuto modo di chiarire, seppure con riferimento alla diversa fattispecie dell’obbligo di concludere il contratto definitivo ex art. 2932 cod. civ., assunto da una società promittente alienante successivamente estinta per intervenuta cancellazione dal registro delle imprese (Cass., sez. 2, 2023, n. 15762), ‹‹dall’estinzione della società, derivante dalla sua volontaria cancellazione dal registro delle imprese, non discende l’estinzione degli obblighi di facere ancora insoddisfatti che ad essa facevano capo, poiché diversamente si riconoscerebbe al debitore di disporre unilateralmente del diritto altrui, con conseguente ingiustificato sacrificio dei creditori. Invece, all’esito dell’estinzione della società tali debiti insoddisfatti si trasferiscono in capo ai suoi soci. Per l’effetto, gli ex soci sono sempre destinati a succedere nei rapporti debitori già facenti capo alla società estinta, ma non definiti al termine della liquidazione, fermo restando il loro diritto di opporre il limite di responsabilità ex art. 2495 c.c. per i debiti pecuniari››; cosicché ‹‹i soci della società estinta possono essere convenuti in giudizio (oppure il giudizio già pendente nei confronti della società può continuare verso i soci), qualora la causa abbia ad oggetto obbligazioni della società diverse da quelle riguardanti somme di denaro (vedi, con riferimento alle azioni revocatorie ordinarie, Cass., sez. 3, Ordinanza n. 6598 del 06/03/2023; Sez. 3, n. 5816 del 27/02/2023; Sez. 3, Sentenza n. 21105 del 19/10/2016).
4.3. Nel caso de quo, incontestata la cancellazione della società originaria conduttrice, intervenuta in data 23 dicembre 2016, non può dubitarsi che l’odierno ricorrente, che era unico socio, sia succeduto nelle obbligazioni derivanti dal contratto di locazione facente capo alla società estinta e che, conseguentemente, ben poteva essere destinatario dell’atto di intimazione di sfratto per morosità, risultando l‘azione promossa dai proprietari/locatori fondata su un valido rapporto locatizio. Infatti, non potendo ritenersi che il rapporto obbligatorio scaturente dal contratto di locazione sia venuto meno in conseguenza della cancellazione della società, del tutto legittimamente i locatari, stante l’inadempimento nel pagamento dei canoni di locazione e dell’obbligo di riconsegna del bene, hanno promosso il giudizio sommario ex art. 658 cod. proc. civ. al fine di far accertare la morosità e, successivamente, ottenere la declaratoria di risoluzione del contratto e la restituzione del bene locato.
Correttamente, pertanto, la Corte d’appello ha ritenuto che vi sia stata “successione ex lege nel rapporto di locazione” da parte dell’odierno ricorrente, in quanto unico socio della società conduttrice.
5. A tale conclusione non osta il disposto di cui all’art. 37 legge n. 392/78, cosicché anche il secondo motivo deve essere rigettato.
L’art. 37 della legge n. 392/78 prevede, in caso di morte del conduttore, due forme di successione nel contratto di locazione: una che si verifica mortis causa (comma 1 e comma 3), e l’altra che si realizza inter vivos, che discende, per un verso, dalla cessazione della convivenza tra il conduttore ed il coniuge a seguito di eventi che risolvono il vincolo di coniugio (comma 2), ovvero, per altro verso, dal recesso del conduttore (comma 4).
In particolare, in caso di morte del conduttore di un immobile destinato ad uno degli usi previsti dall’art. 27 l. n. 392/78, subentrano nel rapporto, ai sensi del richiamato art. 37, coloro che per successione o per precedente rapporto risultante da atto di data certa anteriore alla apertura della successione hanno diritto di continuare l’attività, senza necessità che questa sia anche direttamente esercitata dall’avente diritto, ovvero da colui che anche in base a legittima aspettativa ne abbia titolo, dal momento che questo ulteriore requisito, espressamente richiesto dalle precedenti disposizioni (art. 1, comma 4, legge 253/50 e 2-bis d.l. 19.6.1974, n. 236, convertito, con modifiche, dalla l. 12.8.1974, n. 351), non è stato più indicato dal legislatore nell’art. 37 citato (Cass., sez. 3, 03/02/1998, n. 1093; Cass., sez. 3, 10/02/1994, n. 1359; Cass., sez. 3, 01/12/1993, n. 11888; Cass., sez. 3, 04/03/1993, n. 2629; Cass., sez. 3, 16/10/2017, n. 24278).
L’intento in tal modo perseguito dal legislatore è stato individuato dalla dottrina prevalente in quello di consentire la prosecuzione nell’immobile locato dell’attività economica esercitata in forma d’impresa dal conduttore defunto o di un’attività a questa collegata e l’utilizzo del termine “successione” nel primo comma della disposizione in esame si è ritenuto stia ad indicare che la locazione è trasmissibile mortis causa a favore di qualsiasi soggetto chiamato a succedere nell’attività del conduttore sia a titolo universale, cioè in qualità di erede, sia a titolo particolare, ossia come legatario.
Ne segue che, anche sotto tale profilo, la decisione impugnata sfugge alle censure ad essa rivolte, avendo i giudici di appello opportunatamente rilevato che l’invocato art. 37 legge n. 392/78 condiziona, con una disposizione innovativa, la prosecuzione del rapporto locatizio alla sola titolarità astratta del diritto alla continuazione di tale attività, senza richiedere anche il fatto materiale della continuazione della stessa.
6. Conclusivamente, il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore delle controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.