La specialità del rito non ammette deviazioni. La tempestività del gravame va verificata calcolandone il termine di trenta giorni dalla data di notifica dell'atto introduttivo alla parte appellata.
La Corte d'Appello di Trieste dichiarava inammissibile l'appello proposto dall'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli avverso l'ordinanza del Tribunale che aveva accertato il carattere discriminatorio della condotta dell'Amministrazione, consistita nell'aver escluso Tizia dalla procedura di selezione per operatore doganale per mancanza del...
Svolgimento del processo
1. La Corte d’appello di Trieste ha dichiarato inammissibile l’appello proposto dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli avverso l’ordinanza ex art. 702 ter cod. proc. civ., con cui il Tribunale di Udine aveva accertato il carattere discriminatorio della condotta dell’Agenzia (consistita nell’esclusione di A.D. dalla procedura di selezione per due nominativi da inquadrare nel profilo di operatore doganale per mancanza del requisito della cittadinanza italiana), ordinando l’ammissione della medesima alla selezione con le stesse modalità di cui all’originaria convocazione in data 12.1.2016 e respingendo le ulteriori domande.
2. La Corte territoriale evidenziava che la suddetta ordinanza era stata comunicata alle parti in data 30.6.2016, che l’appello era stato proposto con atto di citazione notificato in data 29.7.2016 e depositato in data 4.8.2016 nella cancelleria della Corte di Appello di Trieste; precisava che il Collegio civile aveva trasmesso gli atti alla seconda sezione, Collegio Lavoro della Corte di Appello di Trieste.
3. Riteneva che l’azione proposta rientrasse tra quelle contemplate dall’art. 409 cod. proc. civ. e fosse pertanto devoluta alla cognizione del giudice del lavoro; aggiungeva che in base al combinato disposto dell’art. 702 quater e dell’art. 434 cod. proc. civ. l’appello avverso la suddetta ordinanza avrebbe dovuto essere proposto con ricorso ai sensi dell’art. 433 cod. proc. civ., da depositarsi nella cancelleria della Corte di Appello entro 30 giorni dalla sua comunicazione.
4. Rimarcava inoltre che il rito in appello consegue al rito che sarebbe stato ordinariamente applicato nel giudizio di primo grado, e dunque nel caso di specie l’ordinario rito del lavoro ai sensi dell’art. 409 cod. proc. civ.
5. Richiamava il costante orientamento della giurisprudenza secondo cui l’appello erroneamente proposto con atto di citazione anziché con ricorso, in tanto è ammissibile, in quanto l’atto di citazione sia stato depositato in cancelleria nei termini in cui avrebbe dovuto essere depositato il ricorso; considerato che, a fronte dell’avvenuta comunicazione dell’ordinanza in data 30.6.2016, l’atto di citazione in appello era stato depositato in data 4.8.2016, e dunque oltre il termine di 30 giorni, ha ritenuto la tardività dell’appello.
6. Avverso tale sentenza l’Agenzia delle dogane e dei monopoli ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo.
7. A.D. ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.
Motivi della decisione
1. Preliminarmente si dà atto che la controricorrente, in memoria, ha evidenziato come, dopo essere stata ammessa alle prove selettive per effetto della sentenza di primo grado e nelle more del giudizio di cassazione, non le ha superate, sicché la vicenda concreta del contenzioso si è esaurita.
La A. afferma peraltro di avere interesse ad una pronuncia che confermi nel merito l’originaria fondatezza della sua pretesa e non si può a questo punto neanche escludere un interesse contrario dell’Agenzia a far constare la legittimità del proprio operato, sicché deve comunque procedersi alla disamina dei motivi per come proposti.
2. Con l’unico motivo di ricorso, la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 702 ter, 702 quater, 339 ss. e 434 cod. proc. civ., nonché dell’art. 44 del d.lgs. n. 268/1998 e dell’art. 28 del d.lgs. n. 150/2011, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ.; violazione e/o falsa applicazione degli artt. 51 e 117 Cost, dell’art. 45 del TFUE, nonché degli artt. 63 comma 1 e 38 commi 1 e 2 del d. lgs. n. 165/2011, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.
Evidenzia che l’art. 702 quater non precisa quale forma debba rivestire l’atto che introduce il giudizio di impugnazione; richiama inoltre la giurisprudenza di questa Corte secondo cui nei giudizi di opposizione ad ordinanza-ingiunzione e nel procedimento sommario di cognizione l’appello va proposto con atto di citazione secondo la disciplina del rito ordinario di cui agli artt. 339 ss. cod. proc. civ.
Deduce l’erroneità della statuizione secondo cui l’azione civile contro la discriminazione ex art. 44 T.U. Immigrazione, in quanto riconducibile ad un rapporto di lavoro potenzialmente instaurabile, debba essere sottoposta al rito del lavoro; rimarca che ai sensi dell’art. 28 del d.lgs. n. 150/2011, le controversie in materia di discriminazione di cui all’art. 44 del T.U. Immigrazione sono regolate dal rito sommario di cognizione, a prescindere dai possibili legami con altre materie.
3. Il ricorso è fondato.
4. Osserva la Corte che, ai sensi dell’art. 44, comma 1, del d.lgs. n. 286/1998, quando il comportamento di un privato o della pubblica amministrazione produce una discriminazione per motivi razziali, etnici, linguistici, nazionali, di provenienza geografica o religiosi, è possibile ricorrere all’autorità giudiziaria ordinaria per domandare la cessazione del comportamento pregiudizievole e la rimozione degli effetti della discriminazione; il comma 2 prevede che alle controversie previste dalla medesima disposizione si applica l’art. 28 del d.lgs. 10 settembre 2011, n.150, il quale al comma 1 stabilisce che le controversie in materia di discriminazione di cui all’art. 44 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 sono regolate dal rito sommario di cognizione, ove non diversamente disposto dal medesimo articolo.
Ai sensi dell’art. 28, comma 5, del d.lgs. 10 settembre 2011, n.150 nel testo applicabile ratione temporis, “Con l’ordinanza che definisce il giudizio il giudice può condannare il convenuto al risarcimento del danno anche non patrimoniale e ordinare la cessazione del comportamento, della condotta o dell’atto discriminatorio pregiudizievole, adottando, anche nei confronti della pubblica amministrazione, ogni altro provvedimento idoneo a rimuoverne gli effetti. Al fine di impedire la ripetizione della discriminazione, il giudice può ordinare di adottare, entro il termine fissato nel provvedimento, un piano di rimozione delle discriminazioni accertate. Nei casi di comportamento discriminatorio di carattere collettivo, il piano è adottato sentito l’ente collettivo ricorrente” (la norma è stata modificata dall’art. 15 del d.lgs. n. 149/2022, il quale ha sostituito la parola “ordinanza” con “sentenza”; ai sensi dell’art. 35 del d.lgs. n. 149/2022 le disposizioni del medesimo decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 30 giugno 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data, mentre ai procedimenti pendenti alla data del 30 giugno 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti).
Dalla sentenza impugnata risulta che la D. ha agito in giudizio per accertare il carattere discriminatorio del comportamento posto in essere dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli e consistito nella revoca della sua convocazione per la prova selettiva ai fini della verifica dell’idoneità all’impiego di operatore doganale, nonché ad ottenere la condanna dell’Agenzia alla reiterazione della selezione, al risarcimento del danno, alla pubblicazione dell’emanando provvedimento e all’adozione di un piano di rimozione volto ad evitare il ripetersi della discriminazione; deve pertanto ritenersi che la domanda sia stata correttamente introdotta con ricorso ex art. 702 bis cod. proc. civ., non risultando peraltro che sia stata messa in discussione la correttezza del rito azionato.
5. Questa Corte ha già chiarito che l’individuazione in concreto del giudice per la trattazione del procedimento di cui all’art. 702 bis cod. proc. civ. ben può dipendere dalla ripartizione interna degli affari in un determinato ufficio, essendo ipotizzabile che le cause ex art. 28 d. lgs. n. 150/2011 siano trattate dal giudice del lavoro (Cass. n. 3936/2017). Ma evidentemente il mero riparto di affari interni non può avere incidenza sul rito da osservare.
In generale, questa S.C. ha ritenuto che l’impugnazione dell'ordinanza ex art. 702-ter c.p.c., conclusiva del giudizio sommario, può essere proposta esclusivamente nella forma ordinaria dell'atto di citazione (Cass. n. 6318/2020; Cass. n. 24379/2019; Cass. n. 8757/2018).
Anche rispetto all’appello ex art. 702-quater cod. proc. civ., proposto contro il provvedimento di rigetto del ricorso avverso il diniego di riconoscimento della protezione internazionale e nei confronti degli altri provvedimenti in materia di immigrazione ex art. 19 del d.lgs. n.150/2011 era costante l’orientamento di questa Corte secondo esso andava introdotto con atto di citazione e non mediante ricorso, sicché la verifica della tempestività dell’impugnazione andava effettuata calcolandone il termine di trenta giorni previsto dall’art. 702 quater, primo comma, cod. proc. civ., dalla data di notifica dell’atto introduttivo alla parte appellata (Cass. n. 26326/2014; Cass. n. 14502/2014; Cass. n. 13815/2016; Cass. n. 23108/2017). L’indirizzo è stato superato solo dalle modifiche apportate all’art. 19 del d.l. n. 150/2011 dall’art. 27 del d.l. n. 142/2015, in quanto a quel punto era espresso il riferimento al termine “ricorso” (Cass., S.U., n. 4268/2018). Analoghe modifiche non hanno tuttavia riguardato l’art. 702-quater, né l’art. 28 d. lgs. 150/2011, sicché è tuttora valido il parallelismo argomentativo tra il disposto dell’art. 19 illo tempore vigente e l’art. 28, nel senso che evidentemente, in entrambi i casi, vale l’art. 702-quater e sono da osservare le forme proprio di esso.
Soprattutto si è poi evidenziata la specialità della disciplina prevista da tale disposizione contro gli atti e i comportamenti discriminatori, anche in ambito di occupazione e lavoro, con la precisazione che, nel rapporto tra due previsioni “speciali”, la norma successiva ha una portata limitatrice di quella precedente (Cass. n. 3936/2017 cit. ha affermato tale principio ritenendo la prevalenza dell’art. 28 d.lgs. n. 150/2011 sull’art. 413 cod. proc. civ. che fissa la competenza del giudice nella cui circoscrizione ha sede l’ufficio al quale il dipendente è addetto o era addetto al momento della cessazione del rapporto).
La specialità del rito di cui all’art. 28, co.1, e 702-bis, ss . non ammette dunque deviazioni ed una volta introdotta la causa nelle forme antidiscriminatorie non si possono trasporre regole impugnatorie del processo del lavoro, al fine di calibrare le forme a seconda dell’ambito sostanziale entro cui si manifesta la discriminazione, ciò non essendo previsto dalle norme e potendo comportare gravi ed ingiustificate incertezze applicative.
Non può dunque convenirsi con l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui, nel caso di cui all’art. 702-bis ss. c.p.c., il rito in appello conseguirebbe al rito che si sarebbe ordinariamente applicato in primo grado e dunque, nel caso di specie, l’ordinario rito del lavoro.
Il rito di cui agli artt. 702-bis ss. è un rito a sé, che non tollera riqualificazioni a seconda della materia coinvolta dalla discriminazione, né vi è un rito che “ordinariamente” si sarebbe applicato in primo grado, perché in primo grado il rito sommario può esso stesso essere normalmente applicato.
Si potrebbe anche discutere se, rispetto ad una causa in cui questioni discriminatorie e di lavoro si sovrappongano, si possa ammettere la scelta tra l’uno e l’altro rito, come ora consente l’art. 441-quater c.p.c. in ambito di licenziamenti. Ma di certo, una volta scelto il rito, non vi possono essere estemporanee interpolazioni e vanno osservate le regole proprio del processo in concreto instaurato.
Così come non vi è questione di applicazione delle regole di connessione di cui all’art. 40, co. 3, c.p.c., che imporrebbero di dare prevalenza al rito del lavoro, perché qui il tema non riguarda una pluralità di cause connesse che siano state cumulativamente proposte o successivamente riunite, ma il diverso caso di una domanda unitaria che, contemporaneamente, si basa su tematiche lavoristiche e antidiscriminatorie.
6. Questa Corte ha comunque anche affermato che se una controversia di lavoro non viene trattata con il rito lavoro, il giudizio di appello deve seguire le regole ordinarie, in quanto “il rito adottato dal giudice assume una funzione enunciativa della natura della controversia, indipendentemente dall’esattezza della relativa valutazione, e perciò detto rito costituisce per le parti criterio di riferimento anche ai fini del computo dei termini per la proposizione dell’impugnazione” (Cass. n. 22738/2010; Cass. n. 3192/2009 e Cass. n. 24649/2007) ed anche ciò esclude, per altra via, che nel caso di specie l’appello, essendo stato il giudizio di primo grado condotto nelle forme tout court del rito sommario di cognizione, dovesse virare verso forme del rito del lavoro ed essere introdotto con ricorso.
7. Alla luce di tali principi, deve ritenersi che il giudizio di appello sia stato correttamente introdotto con atto di citazione.
Nel caso di specie, dall’esame del ricorso e dell’impugnata sentenza si desume che la comunicazione dell’ordinanza di primo grado è stata effettuata alla ricorrente in data 30.6.2016, che l’atto di appello in forma di citazione è stato notificato in data 29.7.2016 (dunque entro i trenta giorni successivi) e depositato in data 4.8.2016.
8. La statuizione di inammissibilità dell’appello emessa dalla Corte territoriale deve pertanto ritenersi erronea, atteso che ai fini del computo del termine di trenta giorni per il gravame ai sensi dell’art. 702-quater cod. proc. civ. rileva la data della notifica dell’atto di citazione, e non del suo deposito.
Ciò è assorbente di ogni altro profilo agitato in sede di legittimità.
9. Va altresì espresso il seguente principio: “l'appello proposto avverso la decisione del tribunale di accoglimento della domanda, formulata ai sensi dell’art. 28, co. 1, d. lgs. n. 150/2011 e 702-bis c.p.c., volta alla rimozione di una discriminazione nell’accesso al lavoro, deve essere introdotto con citazione e non con ricorso, sicché la tempestività del gravame va verificata calcolandone il termine di trenta giorni dalla data di notifica dell'atto introduttivo alla parte appellata”.
10. La sentenza impugnata deve pertanto essere cassata con rinvio alla Corte di appello di Trieste in diversa composizione, la quale dovrà procedere all’esame della controversia nel merito, attenendosi ai suesposti principi di diritto.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte di Appello di Trieste, in diversa composizione.