La disciplina in materia di campionamento e di analisi chimica del prodotto indica esclusivamente dei criteri direttivi di massima dai quali è possibile discostarsi.
Svolgimento del processo
Con sentenza del 27 settembre 2019, per quanto in questa sede ancora interessa, il Tribunale di Bologna respingeva l’opposizione ex artt. 22 L. n. 689 del 1981 e 6 D. Lgs. n. 150 del 2011 proposta da R. S. avverso l’ordinanza-ingiunzione n. 100/2018 emessa dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali -Dipartimento dell’Ispettorato Centrale della tutela della Qualità e Repressione Frodi dei prodotti agroalimentari (I.C.Q.R.F.) Emilia Romagna e Marche, con la quale gli era stata comminata la sanzione amministrativa pecuniaria di cui all’art. 1, comma 7, D. Lgs. n. 260 del 2000, determinata nella misura di 15.915 euro, in conseguenza dell’accertata violazione dell’allegato VIII, parte I, lettera B), comma 3, del Regolamento CE 1308/2013, in relazione al Regolamento CE 1493/1999, per aver egli prodotto una partita di 517 hl di <mosto bianco C2 Italia> risultata irregolare a sèguito di analisi chimica, in ragione della riscontrata presenza di zucchero fotosintetico a ciclo C4 derivato da canna e/o mais.
La decisione veniva confermata dalla Corte d’Appello di Bologna, la quale, con sentenza n. 3170/2020 dell’11 dicembre 2020, depositata il 16 marzo 2021, respingeva il gravame esperito dallo S., condannandolo alla rifusione delle spese del grado.
Contro quest’ultima sentenza il soccombente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
Il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (ora Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste) -Dipartimento dell’I.C.Q.R.F. Emilia Romagna e Marche è rimasto intimato.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..
Non sono state depositate memorie.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione o falsa applicazione dell’art. 97 R.D. n. 1361 del 1926, del D.M. 12 marzo 1986 e della circolare ministeriale del 22 ottobre 1988, prot. 20643, sull’assunto che il campionamento del prodotto vitivinicolo sottoposto ad analisi chimica non sarebbe avvenuto con l’osservanza delle modalità stabilite dalle norme innanzi richiamate.
Con un ulteriore profilo di doglianza sviluppato nel contesto della medesima censura si lamenta, inoltre, il vizio di motivazione dell’impugnata sentenza con riferimento alla questione attinente alla mancanza di <rappresentatività> del campione prelevato e all’attendibilità dell’analisi di laboratorio sullo stesso eseguita.
Con il secondo motivo vengono prospettati la violazione o falsa applicazione dell’art. 15 L. n. 689 del 1981 e il vizio di motivazione della sentenza sul punto relativo all’eccepita estinzione dell’obbligo di pagamento della sanzione pecuniaria, in conseguenza dell’omessa comunicazione all’interessato dei risultati della chiesta revisione dell’analisi effettuata.
Il primo motivo è infondato.
Per consolidata giurisprudenza di questa Corte, la disciplina normativa in materia di campionamento e di analisi indica soltanto dei criteri direttivi di massima dai quali gli organi deputati agli accertamenti possono anche discostarsi, previe adeguate valutazioni tecniche discrezionali che tengano conto della peculiarità del caso, e il mancato rispetto delle prescrizioni da essa stabilite non rende nulle le relative operazioni, in assenza di un’espressa comminatoria (cfr. Cass. n. 2324/2023, Cass. n. 6638/2007, Cass. n. 17571/2006).
Sulla scia del richiamato indirizzo di legittimità, al quale va dato sèguito, deve escludersi che le modalità di campionamento previste dalle norme evocate nella rubrica del motivo in esame abbiano valore precettivo assoluto e che dalla loro inosservanza sia derivata l’inutilizzabilità del prelievo di <mosto bianco C2 Italia> effettuato presso l’azienda del ricorrente da funzionari dell’I.C.Q.R.F. Emilia Romagna e Marche, l’invalidità delle analisi eseguite sul campione prelevato e, a cascata, la nullità dell’ordinanza-ingiunzione emessa in base ai risultati di quelle analisi.
Non sussiste, inoltre, il lamentato vizio di motivazione della sentenza.
Occorre, al riguardo, tener presente che, a sèguito della riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c. disposta dal D.L.
n. 83 del 2012, convertito con modificazioni dalla L. n. 134 del 2012, il sindacato di legittimità sulla motivazione è ormai da ritenere ristretto alla sola verifica dell’inosservanza del c.d. «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, della Carta fondamentale, individuabile nelle ipotesi -che si tramutano in vizio di nullità della sentenza per difetto del requisito di cui all’art. 132, comma 2, n. 4) c.p.c.- di «mancanza assoluta di motivi sotto il profilo materiale e grafico», di «motivazione apparente», di «contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili» e di «motivazione perplessa od incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza della mera «insufficienza» o «contraddittorietà» della motivazione; con la precisazione che l’anomalia motivazionale deve emergere dal testo del provvedimento impugnato, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (cfr., ex permultis, Cass. n. 20598/2023, Cass. n. 20329/2023, Cass. n. 3799/2023, Cass. Sez. Un. n. 37406/2022, Cass. Sez. Un. n. 32000/2022, Cass. n. 8699/2022, Cass. n. 7090/2022, Cass. n. 24395/2020, Cass. Sez. Un. n. 23746/2020, Cass. n. 12241/2020, Cass. Sez. Un. n. 17564/2019, Cass. Sez. Un. 19881/2014, Cass. Sez. Un. 8053/2014).
Nel caso di specie, la Corte d’Appello di Bologna ha accertato che le modalità di prelevamento del campione da analizzare in laboratorio furono concordate dai pubblici ufficiali intervenuti in loco con un enologo delegato a presenziare alle operazioni in qualità di rappresentante tecnico dell’azienda S. e consistettero nell’estrazione di un determinato quantitativo di prodotto dal rubinetto assaggiavino di uno dei silos ivi presenti, previamente sottoposto a prolungato «sboccamento», come evincibile dai relativi verbali acquisiti agli atti di causa.
Ha, quindi, ritenuto, sulla scorta di un apprezzamento in fatto riservato al giudice di merito, che la descritta metodica risultasse in concreto idonea ad assicurare la capacità rappresentativa del campione prelevato.
Si è, pertanto, al cospetto di una motivazione che, oltre ad esistere dal punto di vista materiale e grafico, non può dirsi solo apparente, in quanto consente di ricostruire il ragionamento seguìto dal giudice per la formazione del proprio convincimento e di conoscere gli elementi probatori sui quali esso si fonda, né risulta affetta da palese illogicità o irriducibile contraddittorietà.
Anche il secondo mezzo è infondato.
In dichiarata condivisione del ragionamento decisorio svolto dal giudice di prime cure, la Corte felsinea ha ribadito che le analisi di cui trattasi dovevano considerarsi irripetibili, e come tali insuscettibili di revisione ex art. 15, comma 2, L. n. 689 del 1981.
Ha, altresì, precisato che in siffatta evenienza viene in rilievo la previsione di cui all’art. 223 disp. att. c.p.p., in forza della quale l’organo procedente è tenuto a dare avviso all’interessato, anche in forma orale, del giorno, dell’ora e del luogo dove le analisi verranno effettuate, onde consentire allo stesso, o a persona di sua fiducia appositamente designata, di presenziare alle analisi medesime, eventualmente con l’assistenza di un consulente tecnico.
La decisione assunta dal collegio distrettuale si pone in linea con la giurisprudenza di questa Corte regolatrice, la quale ha ripetutamente statuito che l’impossibilità materiale di procedere alla revisione delle analisi va riferita non soltanto all’ipotesi di sostanze alimentari deteriorabili, ma ad ogni caso in cui, sia pure per aspetti meramente contingenti, si venga a determinare l’indisponibilità di ulteriori aliquote del campione prelevato, dovendosi allora procedere con il sistema individuato dall’art. 223 delle norme di attuazione del nuovo c.p.p., anche ai fini dell’accertamento di eventuali contravvenzioni amministrative (cfr. Cass. n. 17725/2020, Cass. n. 6769/2004, Cass. n. 11234/1998,
Cass. Pen. n. 15170/2003).
Non ricorre, pertanto, la dedotta violazione di legge.
Né può ritenersi che in parte qua la sentenza sia affetta da alcuna delle gravi anomalie motivazionali già illustrate sopra in occasione dello scrutinio della precedente censura, avendo la Corte emiliana chiarito che «il prodotto vitivinicolo oggetto di accertamento era sostanza deteriorabile, in quanto sostanza alimentare soggetta a fermentazione e dunque a modificazione dei suoi componenti» (pag. 5), sì da offrire una spiegazione del decisum non meramente apparente né palesemente illogica.
Laddove, poi, prospetta che la disponibilità di una seconda aliquota del campione prelevato avrebbe reso possibile l’effettuazione di una nuova analisi, la doglianza si appalesa inammissibile, sostanziandosi nella denuncia di una pretesa insufficienza della motivazione, vizio non più deducibile in sede di legittimità alla stregua del vigente testo dell’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c..
In definitiva, il ricorso deve essere respinto.
Nulla va statuito in ordine alle spese di questo grado, essendo il Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste (già Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali) rimasto intimato.
Stante l’esito del giudizio, viene resa nei confronti del ricorrente l’attestazione di cui all’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), inserito dall’art. 1, comma 17, L. n. 228 del 2012.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo, se dovuto.