Svolgimento del processo
1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Firenze ha confermato la condanna di C.L. in ordine al reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale post fallimentare, a lui ascritto nella qualità di amministratore della (omissis) srl, società dichiarata fallita in data 14 novembre 2012; mentre ha ridotto la pena principale inflitta (escludendo la pluralità di fatti di bancarotta] nonché la durata di quelle accessorie di cui all'art. 216 u.c. legge fall. (fissata, dal primo giudice, in dieci anni).
La condotta in addebito è consistita nella "distrazione", successiva al fallimento, di beni immateriali e, segnatamente, del marchio e del brevetto attinenti i pavimenti sopraelevati "(omissis)", relativamente ai quali la fallita deteneva, quanto alla metodologia di produzione, il brevetto e, quanto alla denominazione, il marchio.
In sostanza, dopo la dichiarazione di fallimento, l'imputato ha costituito una nuova società, la (omissis) srl, la quale, presentandosi ai terzi come impresa che aveva rilevato (omissis), commercializzava i pavimenti "(omissis)".
2. Avverso l'indicata pronuncia ricorre l'imputato, tramite il difensore, articolando due motivi.
2.1. Con il primo denuncia, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., l'inosservanza dell'art. 216 legge fall. per insussistenza dell'elemento oggettivo del reato.
Sostiene il ricorrente che la nozione di distrazione comprende qualsivoglia distacco del bene dal patrimonio dell'imprenditore.
Il distacco può essere fisico, quando il bene viene materialmente asportato dall'asse fallimentare, o giuridico, quando la perdita di titolarità deriva da un atto negoziale dispositivo.
Il distacco fisico non può realizzarsi per i beni immateriali.
Il distacco giuridico può configurarsi soltanto prima della dichiarazione di fallimento, quando l'imprenditore, nella titolarità dei marchi e brevetti, li dismette, trasferendoli a terzi; non può realizzarsi, invece, dopo la dichiarazione di fallimento perché l'imprenditore è privo di poteri dispositivi.
Con la dichiarazione di fallimento di (omissis), intervenuta prima delle condotte in contestazione, la titolarità, il possesso e il diritto di sfruttamento esclusivo di marchio e brevetto ricadevano nella sfera di disponibilità del curatore fallimentare e non di C.L..
L'utilizzo del marchio e del brevetto da parte di una terza società avrebbero al più potuto generare una responsabilità civile per contraffazione, non già una responsabilità penale per bancarotta distrattiva, dato che la titolarità di marchio e brevetto è rimasta nell'attivo fallimentare.
La sentenza della Corte di cassazione n. 3489 del 2008 non si attaglierebbe al caso di specie, poiché concernerebbe una condotta distrattiva prefallimentare, posta in essere mediante negozi giuridici traslativi dall'amministratore della società ancora in bonis.
Il ricorrente reputa priva di logicità l'affermazione della Corte di appello secondo cui l'utilizzo da parte di (omissis) avrebbe deprivato di valore marchio e brevetto; in realtà l'uso illegittimo non incide sul valore dei beni né sul diritto di esclusiva; al più si sarebbe potuta verificare una contrazione delle vendite, ma ciò avrebbe richiesto una operatività sul mercato che la fallita non aveva.
Il curatore ha lamentato che l'utilizzo di marchio e brevetto da parte di (omissis) avrebbe determinato l'assenza di so9getti interessati a rilevare l'azienda della fallita, tuttavia il nesso di causalità tra condotta addebitata all'imputato e mancato reperimento di acquirenti sarebbe tutta da dimostrare.
Del resto il curatore non sarebbe stato solerte nel far valere i diritti della fallita attraverso gli strumenti che il diritto industriale pone a tutela delle privative, come le azioni inibitorie e risarcitorie, tanto che sino al 2018 vi era sul mercato una società che continuava a commercializzare illegittimamente "(omissis)".
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione in merito all'esistenza dell'oggetto della distrazione.
Sostiene che, all'esito dell'istruttoria, non vi sarebbe prova che il pavimento commercializzato da C.L. con il marchio (omissis) fosse proprio quello tutelato dal brevetto di proprietà del fallimento.
La Corte di appello avrebbe impiegato un argomento nuovo rispetto al Tribunale, facendo leva sul fatto che indipendentemente dall'oggetto del brevetto, ci sarebbe stata una appropriazione del marchio; negando però la differenza "sostanziale e considerevole" tra marchio e brevetto e omettendo di valutare la minore offensività della condotta ai fini del trattamento sanzionatorio.
Dalla consulenza tecnica di parte emergerebbe con chiarezza che l'oggetto del brevetto italiano di (omissis) (n. 1391918) non era, come erroneamente riferito dal curatore, "un pavimento sopraelevato con un supporto di gres porcellanato", ma era "un pannello con una struttura di rinforzo in materiale polimerico".
Nessun elemento avrebbe dimostrato che il pavimento con gres porcellanato commercializzato da (omissis) srl fosse dotato del "pannello con rinforzo in materiale polimerico" oggetto di privativa.
Né la violazione del brevetto potrebbe essere desunta, come invece fa il giudice di appello, dall'uso del marchio (omissis).
3. Il ricorso è stato trattato, senza intervento delle parti, nelle forme di cui all'art. 23, comma 8 legge n. 176 del 2020 e successive modifiche.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è fondato.
2. Il primo motivo è fondato nei termini di seguito precisati.
2.1. Sotto il profilo fattuale, i giudici di merito hanno accertato che, dopo il fallimento di (omissis) dichiarato il 14 novembre 2012 e durante la procedura fallimentare, C.L., ex amministratore della fallita, ha costituito, nel settembre del 2013, una nuova società, la (omissis) srl, attraverso la quale ha iniziato a commercializzare il pavimento galleggiante "(omissis)", protetto da marchio e brevetto di proprietà (omissis).
2.2. Il difensore dell'imputato contesta che una simile condotta possa configurare una distrazione, sul rilievo che marchio e brevetto sono beni immateriali, come tali insuscettibili di distacco fisico, la cui titolarità è sempre rimasta in capo alla fallita.
Secondo il difensore l'imputato potrebbe rispondere, al più, a titolo di responsabilità civile per violazione delle privative (affermazione che sembra dimenticarsi, tra l'altro, delle specifiche fattispecie penali poste a tutela dei diritti di marchio e brevetto).
2.3. La soluzione della problematica sollevata dal ricorrente impone un corretto inquadramento degli istituti giuridici coinvolti.
2.3.1. L'art. 223, comma primo, legge fall. punisce (anche) gli amministratori di società dichiarate fallite, i quali hanno commesso alcuno dei fatti preveduti dall'art. 216 legge fall. La fattispecie qui in rilievo è quella della bancarotta fraudolenta patrimoniale post fallimentare (art. 216 comma secondo, legge fall.) che si realizza quando, durante la procedura concorsuale, l'amministratore commette alcuno dei fatti preveduti dal n. 1 del comma primo dell'art. 216, vale a dire: «distrae, occulta, dissimula, distrugge o dissipa in tutto o in parte i suoi beni».
Fermo restando che per "distrazione" si intende sia l'estromissione del bene dal patrimonio della fallita, sia la destinazione del medesimo bene a uno scopo diverso da quello doveroso, torna utile approfondire il concetto di "distruzione".
Per distruzione si intende l'annullamento del valore economico del bene.
La distruzione, come recita la norma incriminatrice, può essere anche soltanto parziale e, in tal caso, si realizza in presenza di un deterioramento che cagioni una definitiva diminuzione di valore del bene.
2.3.2. Nel presente processo è pacifico che l'imputato non ha trasferito ad altro soggetto la titolarità del brevetto e del marchio di proprietà della fallita (caso deciso da Sez. 5, n. 3489 del 27/11/2008, dep. 2009, Barbieri, Rv. 242961 - 01 nella diversa ipotesi di bancarotta fraudolenta prefallimentare) e che non ha attuato una (impossibile) apprensione fisica dei beni immateriali.
Tuttavia, le notazioni di ordine generale che precedono rendono evidente come, a differenza di quanto sostenuto dal ricorrente, la bancarotta fraudolenta patrimoniale post fallimentare non sia ontologicamente incompatibile con i beni immateriali (quali sono quelli di proprietà industriale), posto che il depauperamento del patrimonio della fallita può verificarsi attraverso varie forme e modalità non necessariamente corrispondenti al distacco fisico o giuridico del bene.
A tale ultimo riguardo è opportuno chiarire che, in presenza di un brevetto, il c.d. know-how non rappresenta un autonomo elemento patrimoniale suscettibile di "distacco" (come invece sembrano ritenere Tribunale e Corte di appello).
Invero quando, come nella specie, il know-how coincide con l'oggetto del brevetto, la sua tutela è garantita dal diritto di privativa che necessariamente lo ricomprende.
Secondo l'insegnamento della giurisprudenza civile, le conoscenze che nell'ambito della tecnica industriale sono richieste per produrre un bene, per attuare un processo produttivo o per il corretto impiego di una tecnologia, assumono rilievo come autonomo elemento patrimonio e suscettibile di utilizzazione economica (c.d. know how in senso stretto) solo ove presentino il carattere della novità e della segretezza (cfr. Sez. 1 civ, n. 6 ;9 del 20/01/1992, Rv. 475385 - 01; Sez. 3 civ, n. 10420 del 15/04/2019, Rv. 653578); mentre, quando il carattere del segreto venga meno grazie al conseguimento di un brevetto, il valore patrimoniale del know how è assorbito in quello del brevetto di cui costituisce oggetto.
2.3.3. Sull'opposto versante va considerato che non ogni violazione del marchio e del brevetto è idonea ex se a integrare i presupposti della bancarotta in esame, poiché occorre che la condotta rientri nel novero di tipicità disegnato dalla norma incriminatrice e, quindi, dia luogo a distrazione, occultamento, dissimulazione, distruzione o dissipazione totale o parziale dei beni della fallita.
Al riguardo soccorrono le categorie elaborate nel campo del diritto civile sul tema del danno derivante dalla violazione dei diritti di privativa e, precipuamente, di quelle voci che fanno riferimento alla perdita definitiva cli valori economici connessi alla titolarità della proprietà industriale (per un'ampia disamina cfr. tra le altre Sez. 1 civ, 21832 del 19/05/2021).
Viene in rilievo l'annacquamento (dilution) del pregio associabile al diritto, che si traduce in una corrispondente perdita ciel suo valore patrimoniale: valore consistente nella chance di una proficua collocazione del diritto sul mercato.
Dette ipotesi sono riconducibili alla nozione di "distruzione" totale o parziale del bene - punita dall'art. 216 commi primo n. 1 e secondo, legge fall. - intesa come annullamento (definitivo) in tutto o in parte del valore del bene immateriale. In sostanza, ai fini della sussistenza del reato sotto il profilo in rassegna occorre verificare se, per effetto della violazione della privativa, il diritto, pur rimanendo nel patrimonio della società titolare, abbia subito un'irrimediabile perdita di valore (totale o parziale) per lesione della capacità distintiva e attrattiva del bene immateriale non più ripristinabile neppure una volta cessate le condotte di violazione (ipotesi pacificamente realizzabile per un marchio, più difficilmente ipotizzabile, ma non negabile a priori, per un brevetto).
2.3.4. Questa imprescindibile analisi non viene svolta dalla sentenza impugnata che si è arrestata alla ritenuta violazione del marchio e del brevetto, senza appurare se la contraffazione abbia prodotto, nel caso concreto, una "distruzione" del valore dei beni immateriali nei termini sopraindicati.
Accertamento che postula necessariamente una attenta verifica fattuale non esperibile in sede di legittimità.
2.3.5. Occorre chiarire che la legge fallimentare non assegna alle condotte di distruzione, occultamento, distrazione, dissipazione e dissimulazione, previste dall'art. 216, n. legge fall., natura di fatto autonomo, ma le considera fattispecie penalmente tra loro equivalenti, e cioè modalità di esecuzione alternative e fungibili di un unico reato (Sez. 5, n. 4551 ciel 02/12/2010, d,2p. 2011, Mei, Rv. 249262; cfr. anche Sez. U, n. 21039 del 27/01/2011, Loy, che ha qualificato l'art. 216 comma primo, n. 1 legge fall. come norma mista alternativa).
Ergo l'inquadramento del fatto in una delle menzionate figure è irrilevante ai fini del principio di corrispondenza tra accusa e sentenza quando, come nel caso di specie, la contestazione esponga la descrizione, sia pure sommaria, del comportamento ascritto all'imputato (cfr. sul tema per tutte Seiz. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051).
Mentre, esulando dallo specifico fatto storico delineato in rubrica, non possono formare oggetto di ulteriore scrutinio eventuali altre ipotesi di bancarotta patrimoniale pur astrattamente riconducibili alla violazione delle privative industriali.
2.4. Il motivo di ricorso in rassegna è inammissibile nelle residue parti attinenti al mancato esercizio di azioni recuperatorie o di tutela da parte del curatore, poiché irrilevanti ai fini della sussistenza del reato.
3. Il secondo motivo è inammissibile.
Come rileva la Corte di appello è il medesimo imputato C.L. a riconoscere l'identità del prodotto realizzato da (omissis) rispetto a quello protetto dal brevetto della fallita (pag. 5 sentenza impugnata).
4. Consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Firenze perché valuti, sulla base delle risultanze processuali e in ragione dei principi di diritto sopra enunciati, se la contraffazione abbia prodotto, nel caso concreto, una "distruzione" del valore dei beni immateriali nei termini sopra indicati.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata, con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Firenze.