Sbaglia la Corte d'Appello ad escludere l'attendibilità della documentazione contabile prodotta dalla società fallita senza prima verificare se la stessa fosse suscettibile di fornire la rappresentazione storica dei fatti e dei dati economici e patrimoniali dell'impresa.
La Corte d'Appello di Bologna rigettava il reclamo proposto da una srl avverso la sentenza con cui il Tribunale ne aveva dichiarato il fallimento. A fondamento della sua decisione, il Giudice del gravame riteneva che la società fallita non avesse fornito prova dei requisiti dimensionali ex art. 1 l. fall., «avendo prodotto...
Svolgimento del processo
La Corte d’Appello di Bologna, con sentenza n. 1143/2020 del 4.5.2020, ha rigettato il reclamo ex art. 18 legge fall. proposto da F.G. C. s.r.l. avverso la sentenza n. 133/2019 del 25.10.2019 con cui il Tribunale di Modena ne ha dichiarato il fallimento.
Il giudice d’appello, dopo aver rigettato l’eccezione di non ritualità della notifica dell’istanza di fallimento (effettuata mediante deposito presso la casa comunale per non essere la notifica presso la sede sociale andata a buon fine), ha ritenuto che la società fallita non avesse fornito prova dei requisiti dimensionali di cui all’art. 1 legge fall., avendo prodotto in giudizio documenti contabili (fatture) non aventi alcun rilievo ufficiale e quindi privi di qualsiasi valenza probatoria, rilevando, a tal fine, unicamente la produzione dei bilanci regolarmente approvati e depositati presso la Camera di Commercio.
Infine, la Corte d’Appello ha escluso, ai fini della valutazione del requisito di cui all’art. 15 legge fall., la rilevanza delle dichiarazioni negative di debito di alcuni creditori della F.G. Costruzioni e ciò in considerazione del fatto che nel giudizio di reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento rilevano esclusivamente i fatti esistenti al momento della decisione e non quelli sopravvenuti.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la F.G. Costruzioni s.r.l., affidandola a tre motivi.
La C. Group s.r.l., creditore istante, ha resistito in giudizio con controricorso.
La ricorrente ed il creditore istante hanno depositato le memorie ex art. 380 bis.1 cod. proc. civ..
Motivi della decisione
Va preliminarmente esaminata l’eccezione sollevata dal creditore istante C. Group s.r.l. di improcedibilità del ricorso per cassazione per omesso deposito della copia autentica della sentenza e dell’attestazione di conformità della relata di notifica della sentenza da parte della Corte d’Appello di Bologna.
Deduce tale controricorrente che, in relazione all’omesso deposito da parte del ricorrente dei documenti sopra indicati, non sono state assolte le formalità richieste dall’art. 369 comma 2° cod. proc. civ. ai fini della procedibilità del ricorso per cassazione.
L’eccezione è ……
Va preliminarmente osservato che l’art. 369 comma 2° cod. proc. civ. richiede, ai fini della procedibilità del ricorso per cassazione, la produzione in giudizio della copia autentica della sentenza o decisione impugnata e della relativa relata di notifica.
Ove la notifica di quest’ultima sentenza sia avvenuta con modalità telematiche, questa Corte, nella sentenza a Sezioni Unite n. 10266/2018 (conf. Cass. 30765/2017), dando atto che nel giudizio di cassazione (ad eccezione delle comunicazioni e notificazioni a cura della cancelleria ex art. 16 del d.l. n. 179 del 2012, conv. con modif. in l. n. 221 del 2012) non era stato ancora esteso il processo telematico – l’obbligo del deposito telematico è stato, infatti, introdotto solo recentemente dall’art. 35 comma 2° del d.lgs n. 149/2022 – ha enunciato il principio di diritto secondo cui il difensore è tenuto ad estrarre copie analogiche degli atti digitali (e quindi anche della sentenza impugnata con relata di notifica) ed ad attestarne la conformità, in virtù del potere allo stesso appositamente conferito dagli artt. 6 e 9, commi 1 bis e 1 ter, della l. n. 53 del 1994.
Successivamente, questa Corte, sempre a Sezioni Unite, con la sentenza n. Cass. S. U. n. 8312/2019, ha enunciato l’ulteriore principio secondo cui “Il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall'ultima notificazione, di copia analogica della decisione impugnata predisposta in originale telematico e notificata a mezzo PEC priva di attestazione di conformità del difensore ex art. 9, commi 1 bis e 1 ter, della l. n. 53 del 1994, oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non determina l'improcedibilità del ricorso per cassazione laddove il controricorrente (o uno dei controricorrenti), nel costituirsi (anche tardivamente), depositi a sua volta copia analogica della decisione ritualmente autenticata, ovvero non disconosca ex art. 23, comma 2, d. lgs. n. 82 del 2005, la conformità della copia informale all'originale notificatogli; nell'ipotesi in cui, invece, la controparte (o una delle controparti) sia rimasta soltanto intimata, ovvero abbia effettuato il suddetto disconoscimento, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità il ricorrente ha l'onere di depositare l'asseverazione di conformità all'originale della copia analogica, entro l'udienza di discussione o l'adunanza in camera di consiglio”.
Nel caso di specie – in cui il creditore istante non ha disconosciuto, ex art. 23, comma 2, d. lgs. n. 82 del 2005, la conformità della copia analogica della sentenza impugnata notificatagli al documento informatico originale, ma in cui la procedura, non avendo svolto difese, è rimasta intimata - la sentenza impugnata, sottoscritta in via telematica, è stata notificata dalla Cancelleria della Corte di Appello di Bologna, parimenti in via telematica, al legale del ricorrente, il quale, all’atto di proporre ricorso per cassazione, ha attestato la conformità delle copie analogiche prodotte (copia sentenza impugnata e relata di notifica) ai documenti informatici da cui sono state estratte e presenti nella PEC ricevuta il 4 maggio 2020 dall’indirizzo PEC della Cancelleria della Corte d’Appello di Bologna ca.bologna@civile.ptel.giustiziacert.it.
Il legale non ha fatto altro che applicare l'art. 9 comma 1 bis della legge 21 gennaio 1994, n. 53, secondo cui:” Qualora non si possa procedere al deposito con modalità telematiche dell'atto notificato a norma dell'art. 3-bis, l'avvocato estrae copia su supporto analogico del messaggio di posta elettronica certificata, dei suoi allegati e della ricevuta di accettazione e di avvenuta consegna e ne attesta la conformità ai documenti informatici da cui sono tratte ai sensi dell'art. 23, comma 1, del decreto legislativo 7 maggio 2005, n. 82".
Le formalità previste dalla legge sono state quindi osservate dal ricorrente, con conseguente rigetto dell’eccezione sollevata dalla procedura.
2. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione o falsa applicazione dell’art. 15 comma 3° legge fall..
Deduce la ricorrente che l’esito negativo della notifica a mezzo pec dell’istanza di fallimento è riferibile esclusivamente alla cancelleria del Tribunale di Modena, la quale non ha allegato alcuna ricevuta di accettazione e/o consegna della notifica a mezzo pec non andata a buon fine. Peraltro, la pec della società fallita era attiva.
Infine, la ricorrente lamenta l’irregolarità del procedimento notificatorio ex art. 15 comma 3° legge fall. sul rilievo, che, a suo avviso, l’ufficiale giudiziario non avrebbe potuto provvedere al deposito della notifica cartacea presso la Casa Comunale senza svolgere preventivamente le necessarie ricerche ed assumere informazioni in modo adeguato e senza spedire la comunicazione dell’avviso di deposito ex art. 140 cod. proc. civ. presso la residenza del legale rappresentante, la quale era stata indicata nella visura camerale.
3. Il motivo presenta profili di inammissibilità ed infondatezza.
Va preliminarmente osservato che, essendo questa Corte anche giudice del fatto per le questioni processuali, questo Collegio ha acquisito un’attestazione della Cancelleria presso il Tribunale di Modena che dà atto che la notifica a mezzo pec effettuata dalla cancelleria, a norma dell’art. 15 comma 3^ legge fall., non è andata a buon fine.
Tale attestazione era idonea a mettere in moto le ulteriori fasi del procedimento notificatorio previsto dal predetto art. 15 comma 3° legge fall.
In proposito, questa Corte (Cass. n. 8014 del 2017) ha già enunciato il principio di diritto secondo cui la “l’impossibilità di eseguire la notificazione in via telematica del ricorso e del decreto di convocazione innanzi al tribunale può essere attestata dal cancelliere, atteso che l’art. 15, comma 3°, l.fall. non prevede particolari modalità al riguardo, né richiede la specifica allegazione del messaggio ritrasmesso dal gestore della posta elettronica certificata attestante l’esito negativo dell’invio, ben potendo l’esito della notifica essere attestato dal cancelliere al quale sia stato affidato il compito di procedere alla notifica in via telematica”.
Si appalesa, inoltre, inammissibile per genericità la censura (apodittica) della ricorrente secondo cui l’esito negativo della notifica a mezzo pec dell’istanza di fallimento sarebbe riferibile esclusivamente alla cancelleria del Tribunale di Modena. Tale doglianza è anche nuova.
Infatti, dall’esame dell’atto di reclamo, emerge che l’odierna ricorrente si era limitato a dare atto dell’operatività della PEC senza minimamente attribuire – come nell’odierno ricorso - l’esito negativo della pec alla responsabilità della cancelleria del Tribunale di Modena.
In realtà, la ricorrente aveva soprattutto concentrato le proprie critiche sul rilievo che nella relata di omessa notifica presso la sede della società era stato indicato il nominativo dell’amministratore e, ciò nonostante, l’avviso ex art. 140 cod. proc. civ. non fosse stato inviato presso l’indirizzo dello stesso amministratore.
Tale doglianza è manifestamente infondata.
Va osservato che l'art. 15, comma 3, I. fall. (nel riprodotto testo novellato dalla legge n. 221/012) stabilisce, in primo luogo, che il ricorso per la dichiarazione di fallimento ed il relativo decreto di convocazione devono essere notificati, a cura della cancelleria, all'indirizzo di posta elettronica certificata del debitore (risultante dal R.I. o dall'indice nazionale degli indirizzi PEC delle imprese e dei professionisti). E’, inoltre, previsto che, ove , per qualsiasi ragione, la notificazione via PEC non risulti possibile o non abbia esito positivo, la notifica andrà eseguita dall'Ufficiale Giudiziario che, a tal fine, dovrà accedere di persona presso la sede legale del debitore risultante dal R.I., oppure, qualora neppure questa modalità sia attuabile, la notifica si esegue con il deposito dell’atto presso la casa comunale della sede iscritta nel registro delle Imprese e si perfeziona nel momento del deposito stesso.
Il sistema di notificazione sopra illustrato - come sottolineato anche dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 146 del 2016 - tiene conto della specialità e della complessità degli interessi (comuni ad una pluralità di operatori economici, ed anche di natura pubblica in ragione delle connotazioni soggettive del debitore e della dimensione oggettiva del debito) che il legislatore del 2012 ha inteso tutelare con l'introdotta semplificazione del procedimento notificatorio nell'ambito della procedura fallimentare e che segnano l'innegabile diversità tra il suddetto procedimento e quello ordinario di notifica ex art. 145 cod. proc. civ. In particolare, a differenza di quest’ultima norma che è esclusivamente finalizzata all'esigenza di assicurare alla persona giuridica l'effettivo esercizio del diritto di difesa in relazione agli atti ad essa indirizzati, il riformulato art. 15 legge fall. - come emerge, del resto, dalla relazione di accompagnamento dell'art. 17 del d.l. n. 179 del 2012, il cui testo, in parte qua, non è stato oggetto di modifiche in sede di conversione - si propone di «coniugare» quella stessa finalità di tutela del diritto di difesa dell'imprenditore (collettivo) «con le esigenze di celerità e speditezza cui deve essere improntato il procedimento concorsuale». A tal fine, il tribunale non è tenuto all'adempimento di ulteriori formalità, ancorché normalmente previste dal codice di rito, quando il mancato rinvenimento dell’imprenditore presso la propria sede deve imputarsi all'imprenditore medesimo.
Tale impostazione è stata confermata dalla Consulta nell’ordinanza n. 162 del 2017, che ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 15, terzo comma, del r.d. n. 267 del 1942, come sostituito dall'art. 17, comma 1, lett. a),del d.l. 18 ottobre, n. 179 del 2012 (conv., con modif., nella legge n. 221 del 2012), nella parte in cui consente che la notifica del ricorso e del decreto di convocazione per la dichiarazione di fallimento di imprese esercitate in forma collettiva - quando non possa essere eseguita all'indirizzo di posta elettronica certificata (PEC) né al destinatario presso la sede legale - si perfezioni con il solo deposito nella casa comunale, senza le ulteriori cautele previste dall'art. 145 cod. proc. civ. per le notifiche a persona giuridica (e cioè senza alcuna necessità di dare conto e notizia di tale incombente).
Dunque, il sistema di notificazione consapevolmente previsto dal legislatore per esigenze di celerità e speditezza, e che ha ricevuto un avallo della Corte Costituzionale, non prevede affatto che l’Ufficiale giudiziario, in caso di mancato rinvenimento dell’imprenditore presso la propria sede all’atto della notifica, effettui la notifica presso l’indirizzo del legale rappresentante o svolga, come nel procedimento di notificazione ordinario, ulteriori ricerche da documentare nella relazione di notifica, a norma dell’art. 148 cod. proc. civ.. (vedi recentemente, Cass. n. 7258/2022; vedi anche Cass. n. 23728/2017).
Ne consegue che, alla luce delle sopra illustrate osservazioni, correttamente la Corte d’Appello ha ritenuto regolarmente osservato il procedimento notificatorio ex art. 15 legge fall. ed ha escluso che l’ufficiale giudiziario fosse tenuto a compiere ulteriori indagini, una volta verificata l’impossibilità di notificare l’atto presso la sede.
3. Con il secondo motivo è stato dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 comma 1° n. 5 cod. proc. civ. in riferimento alla violazione dell’art. 1 comma 2° legge fall, nonché il mancato esercizio dei poteri istruttori officiosi ex art. 18 comma 9° legge fall.
Evidenzia la società ricorrente di aver dedotto nell’atto di reclamo che nell’anno 2016 la stessa aveva emesso n. 4 fatture per un importo di € 12.700,00, che nell’anno 2017 avesse emesso fatture per un importo complessivo di € 101.134,70, che nell’anno 2018 aveva emesso fatture per un importo complessivo di € 84.026,00. Ciò, in quanto, diversamente dagli anni 2014 e 2015, in cui vi era un ingente fatturato relativo agli acquisti, la società poi fallita aveva svolto solo attività di prestazione di manodopera senza la fornitura di materiali. Né la società aveva dipendenti se non lo stesso amministratore.
Tutta la documentazione relativa al motivo di reclamo era stata consegnata al curatore fallimentare, come emergeva dal verbale del 11/11/2019.
Si duole la ricorrente che la Corte d’Appello avrebbe fatto derivare l’inattendibilità dei dati emergenti dalla documentazione prodotta dal rilievo che la stessa non fosse ufficiale e che non fosse stata consegnata al curatore, ancorchè dallo stesso richiesta. Tuttavia, la documentazione allegata al reclamo, inerente le fatture di acquisto e di vendita relative agli anni 2014,2015, 2016 e 2017, 2018 e 2019, corrispondeva esattamente a quella consegnata al curatore fallimentare in data 11.11.2019.
La Corte d’Appello aveva erroneamente ritenuto che la documentazione prodotta relativa ai ricavi della fallita non costituisse documentazione contabile ufficiale e che non fosse verificabile aliunde. In realtà, si trattava di fatture facilmente verificabili con i conti correnti debitamente comunicati al curatore o assumendo informazioni presso le ditte che avevano fornito i materiali alla ricorrente.
Infine, la Corte d’Appello non aveva fornito alcuna adeguata motivazione sulla mancanza di valenza probatoria dei documenti prodotti e sulle altre circostanze in fatto (incontestate) dedotte nel reclamo, che rappresentavano in modo inequivocabile le dimensioni dell’attività della fallita, rientranti nei parametri di cui all’art. 1 comma 2° legge fall..
4. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1 comma 2° e 18 comma 9° legge fall. e dell’art. 2435 cod. civ..
Espone la ricorrente che la Corte d’Appello aveva ritenuto la documentazione dalla stessa prodotta in sede di reclamo come “non ufficiale”, sul rilievo che rivestisse tale caratteristica solo la produzione dei bilanci regolarmente approvati e depositati presso la Camera di Commercio.
Evidenzia, tuttavia, la ricorrente che i giudici modificando il precedente orientamento, hanno rivisitato la rilevanza ed il significato, anche in funzione probatoria, del bilancio in riferimento all’istituto dei limiti di fallibilità di cui all’art. 1 comma 2 legge fall., ritenendo che i bilanci non costituiscono l’unico strumento utilizzabile per la verifica dei requisiti dimensionali per l’assoggettamento al fallimento.
5. Il secondo ed terzo motivo, da esaminarsi unitariamente in relazione alla stretta connessione delle questioni trattate, sono fondati.
Va osservato che, anche recentemente, questa Corte (vedi Cass. n. 3581/2022) ha enunciato il principio di diritto secondo cui “In ambito di procedimento prefallimentare, il debitore può fornire la prova della non fallibilità ex art. 1, comma 2, l.fall., anche con strumenti probatori alternativi ai bilanci degli ultimi tre esercizi previsti dall'art. 15, comma 4, l.fall. – i quali non assurgono infatti a prova legale – avvalendosi delle scritture contabili dell'impresa, come di qualunque altro documento, formato da terzi o dalla parte stessa, suscettibile di fornire la rappresentazione storica dei fatti e dei dati economici e patrimoniali dell'impresa” (vedi anche Cass. 9045/2021; Cass. 21188/2021; 25025/2020; 31188/2020, 6991/2019; 10509/2019; Cass. 24138/2019; 30541/2018, 16067/2018).
Nel caso di specie, la Corte d’Appello ha ritenuto non attendibile la documentazione contabile prodotta in sede di reclamo senza provvedere al concreto esame della medesima, ma solo sul rilievo che non sarebbe stata mai consegnata al curator nonostante le ripetute richieste e perché rileverebbe, a fini della prova dei requisiti dimensionali di cui all’art. 1 legge fall., non già la produzione di documentazione “non ufficiale”, ma unicamente la produzione dei bilanci regolarmente approvati e depositati presso la Camera di Commercio. All’uopo, è stato richiamato, come precedente, l’ordinanza di questa Corte n. 13746/2017 in cui è stato enunciato il seguente principio: “In tema di fallimento, ai fini della prova della sussistenza dei requisiti di non fallibilità di cui all'art. 1, comma secondo, I.fall., i bilanci degli ultimi tre esercizi che l'imprenditore è tenuto a depositare, ai sensi dell'art. 15, quarto comma, I.fall., sono quelli già approvati e depositati nel registro delle imprese, ai sensi dell'art. 2435 c.c.; sicché, ove difettino tali requisiti, o essi non siano ritualmente osservati, il giudice può motivatamente non tenere conto dei bilanci prodotti, rimanendo l'imprenditore onerato della prova circa la sussistenza dei requisiti della non fallibilità.».
Ritiene questo Collegio che la pronuncia sopra citata di questa Corte, richiamata dalla Corte d’Appello, non abbia affatto inteso affermare che il debitore può provare la sussistenza dei requisiti dimensionali, ex art. 1 comma 2° legge fall., unicamente con la produzione dei bilanci regolarmente approvati e depositati, ma soltanto che, ove tali bilanci difettino di tali requisiti, venendo meno quella sorta di presunzione (iuris tantum) di attendibilità che li assiste, l’imprenditore è comunque onerato a provare la sussistenza dei requisiti di fallibilità. Questa Corte non ha certo inteso escludere che i requisiti dimensionali possano essere provati con strumenti probatori alternativi, quali i documenti contabili (fatture) prodotti dalla ricorrente, il cui esame concreto era, pertanto, doveroso per valutarne l’attendibilità.
Va, peraltro, osservato che la ricorrente ha documentato che, al contrario di quanto affermato dalla Corte d’Appello (secondo cui la società poi fallita non avrebbe prodotto alcun documento contabile), in realtà, in sede di reclamo è stato prodotto il verbale dell’11.11.2019, da cui risulta l’avvenuta consegna delle fatture di acquisto e di vendita relative agli anni 2014,2015, 2016 e 2017, 2018 e 2019.
Va, infine, osservato che non è ben chiaro che cosa la Corte d’Appello intenda per “documentazione ufficiale”, non avendo lo stesso giudice messo in dubbio la provenienza dalla fallita dei documenti contabili prodotti dalla stessa in sede di reclamo, ma ne ha escluso la valenza probatoria, ritenendo rilevante la sola produzione dei bilanci regolarmente approvati e depositati presso la Camera di Commercio.
Il quarto motivo (con cui è stata dedotta la violazione degli artt. 15 ultimo comma legge fall., 2704 e 2730 cod. civ.., nonché l’omesso esame di fatto decisivo ex art. 360 comma 1° n. 5 cod. proc. civ.) è assorbito.
La sentenza impugnata va quindi cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Bologna, in diversa composizione, per nuovo esame e per statuire sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il secondo ed il terzo motivo del ricorso, infondato il primo e assorbito il quarto, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Bologna, in diversa composizione, per nuovo esame della controversia e per statuire sulle spese del giudizio di legittimità.