Nell'episodio delineato, la persona offesa afferma di non aver reagito in modo plateale al solo scopo di non traumatizzare le figlie presenti in casa in quel momento.
La Corte d'Appello rideterminava il trattamento sanzionatorio inflitto all'imputato, ritenuto responsabile dei reati di maltrattamenti e
Contro tale pronuncia, l'imputato propone ricorso per cassazione lamentando, tra i diversi...
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 2 marzo 2022, il Tribunale di Campobasso, riconosciute le attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti, condannava L. A. V. alla pena di anni 7 di reclusione, in quanto ritenuto colpevole dei reati di cui agli art. 572 cod. pen. (capo A) e 609 bis (capo B), reati a lui contestati per avere maltrattato la moglie G. M. con atteggiamenti violenti, frasi offensive e minacce, costringendola altresì a subire in due episodi atti sessuali, consistiti anche in un rapporto completo; fatti commessi in T. in epoca compresa tra il dicembre 2019 e il 18 febbraio 2020. V. veniva condannato altresì al risarcimento del danno, da liquidare in separata sede, in favore della parte civile G. M., nei confronti della quale veniva riconosciuta una provvisionale pari a 3.000 euro.
Con sentenza del 19 gennaio 2023, la Corte di appello di Campobasso, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale, ritenute le già riconosciute attenuanti generiche prevalenti sulle contestate aggravanti, rideterminava la pena a carico dell'imputato in anni 4 e mesi 9 di reclusione, confermando nel resto la decisione di primo grado.
2. Avverso la sentenza della Corte di appello molisana, V., tramite il difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando due motivi.
Con il primo, la difesa contesta la conferma del giudizio di colpevolezza dell'imputato rispetto al delitto di maltrattamenti in famiglia, eccependo il travisamento della prova rispetto alle deposizioni dei testi N. I. e G. L. che, a differenza di quanto sostenuto dalla Corte territoriale, avevano confermato il dato della reciprocità delle aggressioni verbali tra i coniugi, come era desumibile invero dalla sentenza di primo grado.
Con il secondo motivo, riferito al reato di violenza sessuale, la difesa deduce l'insussistenza del fatto e la carenza dell'elemento soggettivo, l'omessa valutazione da parte dei giudici di secondo grado dei motivi di impugnazione, il travisamento del fatto e la violazione dell'art. 521 cod. proc. pen. in relazione alle dichiarazioni della persona offesa rispetto al secondo episodio.
In particolare, quanto al primo episodio, quello verificatosi tra il 21 e il 22 dicembre 2019, si osserva che doveva escludersi la rilevanza penale del fatto, posto che non vi era stato alcun bacio o alcun toccamento, essendo mancato un contatto tra zone erogene, per cui non erano ravvisabili atti sessuali. In ordine al secondo episodio, risalente al 30 gennaio 2020, si osserva che, come emerso dall'istruttoria, l'imputato chiese un rapporto sessuale alla sua consorte con grande gentilezza, utilizzando l'espressione "per favore", senza percepire il dissenso della moglie, dissenso che del resto non fu affatto esplicito.
Motivi della decisione
Il ricorso è inammissibile, perché manifestamente infondato.
1. Ritiene il Collegio che i motivi di ricorso vadano trattati unitariamente, sia perché tra loro sovrapponibili, in quanto entrambi riferiti al tema della valutazione delle prove e in particolare dell'attendibilità della persona offesa, sia perché accomunati dalla loro tendenza a sollecitare differenti apprezzamenti di merito, che tuttavia esulano dal perimetro del giudizio di legittimità. Al riguardo deve infatti richiamarsi la consolidata affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, Rv. 280601 e Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482) secondo cui, in tema di giudizio di cassazione, a fronte di un apparato argomentativo privo di profili di irrazionalità, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. È stato altresì precisato (Sez. 3, n. 5602 del 21/01/2021, Rv. 281647 - 04 e Sez. 2, n. 29480 del 07/02/2017, Rv. 270519), che il principio dell'"oltre ragionevole dubbio", introdotto nell'art. 533 cod. proc. pen. dalla legge n. 46 del 2006, non ha mutato la natura del sindacato della Corte di cassazione sulla motivazione della sentenza, che non può essere utilizzato per valorizzare e rendere decisiva la duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto, eventualmente emerse in sede di merito e segnalate dalla difesa, una volta che tale duplicità, come avvenuto nel caso di specie, sia stata oggetto di attenta disamina da parte del giudice dell'appello, giacché la Corte è chiamata a un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva per mezzo di una valutazione unitaria e globale dei singoli atti e dei motivi di ricorso su di essi imperniati, non potendo la sua valutazione sconfinare nel merito.
2. Alla luce di tali premesse interpretative, le doglianze difensive non possono trovare ingresso in questa sede, in quanto sostanzialmente volte a prefigurare una rivalutazione delle fonti probatorie, la cui disamina da parte dei giudici di merito risulta adeguata e immune da censure.
Ed invero le due conformi sentenze di merito, le cui motivazioni sono destinate a integrarsi per formare un unico corpus argomentativo, hanno operato un'attenta disamina delle risultanze probatorie acquisite, valorizzando in particolare le dichiarazioni dibattimentali della persona offesa G. M., moglie di L. A. V., la quale ha descritto le vessazioni fisiche e morali subite dal marito e consistite in condotte reiterate di percosse, offese e minacce.
In tale contesto, si sono inseriti anche due episodi di aggressione sessuale.
In particolare, riferiva la M. che la sera tra il 21 e il 22 dicembre 2019, mentre si trovava sul divano, veniva raggiunta da V., che si distese su di lei, al chiaro fine di consumare un rapporto sessuale; al fronte dell'opposizione della persona offesa, l'imputato la schiaffeggiò ripetutamente sul viso, dando pizzicotti, sul seno e apostrofandola con epiteti ingiuriosi (quali "puttana" e "zoccola").
Un ulteriore episodio si verificava il 30 gennaio 2020, allorquando il ricorrente, dopo aver bloccato la moglie sul letto, le tolse il pantalone del pigiama, costringendola a subire un rapporto sessuale completo non voluto dalla donna.
Orbene, il racconto della M. è stato ritenuto ragionevolmente credibile dai giudici di merito, in quanto lineare e sufficientemente dettagliato, oltre che riscontrato dalle convergenti dichiarazioni rese sia dalle figlie della coppia V. V. e G. V., sia dall'assistente capo N. R., intervenuto presso il Terminal Bus di Campobasso il 7 febbraio 2020, avendo in tale occasione riscontrato la forte agitazione della persona offesa a seguito di una lite con il marito, sia dalle vicine di casa G. L., G. L. e N. I., che a loro volta hanno confermato i continui litigi tra i coniugi, precisando che tali litigi erano contraddistinti dalle ripetute aggressioni verbali rivolte da V. alla consorte, sovente apostrofata con epiteti ingiuriosi, avendo talora la M. fatto ricorso o alle forze dell'ordine, o, in un caso, all'ospitalità della I., che ebbe così modo di constatarne il disagio e l'agitazione.
Ulteriori elementi di riscontro alla narrazione della persona offesa sono stati inoltre ravvisati nei messaggi minacciosi a lei indirizzati dal marito, oltre che nelle registrazioni di talune conversazioni operate dalla stessa M..
2.1. In definitiva, in quanto ancorato a considerazioni scevre da aspetti di irrazionalità e coerenti con le acquisizioni probatorie, correttamente intese nel loro significato reale e logicamente correlate tra loro, il giudizio di attendibilità della persona offesa compiuto nelle due conformi sentenze di merito non presta il fianco alle censure difensive che si articolano, soprattutto rispetto al tema dei riscontri alla narrazione della M., nella proposta di una lettura alternativa (e invero frammentaria) del materiale istruttorio disponibile, operazione, come detto, non consentita in questa sede, a fronte della disamina razionale ed esauriente compiuta dal Tribunale e dalla Corte di appello che, anche nella disamina dei riscontri esterni, non hanno operato alcuna forzatura interpretativa.
2.2. A ciò deve solo aggiungersi che anche la qualificazione giuridica dei fatti appare immune di censure, risultando comprovati sia i maltrattamenti subiti dalla moglie dell'imputato, confermati anche dalle dichiarazioni delle due figlie della coppia, una delle quali, G. ha peraltro vissuto in casa sino al settembre 2020, quando i fatti di causa si erano già verificati, sia i due episodi di violenza sessuale, che sono stati descritti dalla M. in modo chiaro e puntuale.
Rispetto al reato ex art. 609 bis cod. pen., resta solo da precisare che, come correttamente osservato dai giudici di merito, in entrambi gli episodi, sia quello meno grave del 21-22 dicembre 2019 (in cui furono comunque aggredite zone erogene del corpo della vittima, come i seni), sia quello più grave del 30 gennaio 2020, il dissenso della persona offesa è stato esplicito e chiaramente percepibile, anche se, in occasione del secondo episodio, la donna ha evitato reazioni plateali, ma solo per evitare di traumatizzare le figlie che in quel momento erano in casa, rimanendo passiva, anche perché il marito le tratteneva le braccia.
Né può del resto sottacersi che le pretese sessuali dell'imputato, lungi dall'essere garbate, avuto riguardo alle modalità con cui venivano imposte, al di là delle parole inizialmente proferite, si sono inserite in un contesto di prolungata sopraffazione della persona offesa, estesa anche alla sfera dei rapporti intimi, dovendosi in ogni caso escludere, anche in condizioni normali, l'esistenza di un diritto potestativo del marito al soddisfacimento dei propri istinti sessuali nei confronti della moglie, richiedendo il lecito compimento del rapporto sessuale la presenza del consenso dei protagonisti del rapporto (cfr. Sez. 3, n. 46051 del 28/03/2018 non mass.), dovendosi altresì ribadire che il consenso al compimento degli atti sessuali, anche ove inizialmente prestato, deve perdurare nel corso dell'intero rapporto senza soluzione di continuità (cfr. in termini Sez. 3, n. 15010 del 11/12/2018, dep. 2019, Rv. 275393, Sez. 3, n. 5768 del 16/01/2014, Rv. 258935 e Sez. 3, n. 39428 del 21/09/2007, Rv. 237930).
Di qui la manifesta infondatezza delle censure in punto di responsabilità.
3. Ne consegue che il ricorso proposto nell'interesse di V. deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente di sostenere le spese del procedimento, nonché di provvedere, nei modi di cui al dispositivo, alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato.
Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone infine che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Campobasso con separato decreto di pagamento ai sensi degli art. 82 e 83 d.P.R. n. 115 del 2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato.