
Svolgimento del processo
1. La pronunzia impugnata è stata deliberata il 24 gennaio 2023 dalla Corte di appello di Torino, che ha confermato la condanna inflitta a D. F. per il reato di violazione di domicilio, assolvendolo, invece, per il reato di molestie. Il reato per cui si procede vede come vittima V. S., una vicina di casa dell'imputato, che questi spiava dalle finestre previa introduzione in un'area adiacente all'abitazione della persona offesa, sita al piano terra della stessa palazzina in cui abitava anche il prevenuto (oltre che un terze condomino); tale area faceva parte di una zona cortilizia di proprietà comune e che la donna aveva recintato, con l'accordo degli altri condomini, per evitare che i suoi cani scappassero e che utilizzava come pertinenza esclusiva. L'accordo circa la suddivisione dell'area tra i vari condomini non si era, tuttavia, formalizzato per il ripensamento del prevenuto.
2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato a mezzo del difensore di fiducia, formulando un unico motivo di ricorso, con cui denunzia vizio di motivazione quanto al giudizio di penale responsabilità.
Sarebbe errato - sostiene il ricorrente - il ragionamento della Corte di merito laddove ha attribuito rilievo al mancato esperimento di azioni a tutela della proprietà comune da parte dell'imputato, trascurando tuttavia il suo espresso rifiuto di concludere l'accordo per la divisione. La Corte distrettuale - prosegue il ricorrente - ritiene elemento di prova rilevante il fatto che l'imputato non abbia agito in giudizio e non motiva circa il fatto cl1e anche gli altri condomini non avevano proceduto con azione legale contro il prevenuto per concludere la divisione e che l'imputato aveva posto in essere atti con i quali aveva dimostrato di considerare il cortile indiviso. Vi sarebbe il dubbio che l'imputato avesse errato nella lettura della norma extrapenale che fonderebbe il diritto esclusivo della persona offesa e ciò a fronte del suo rifiuto di addivenire alla divisione.
Motivi della decisione
Il ricorso è infondato e va, pertanto, respinto.
1. La ricostruzione che si coglie dalla sentenza impugnata evidenzia come l'imputato abbia ripetutamente avuto accesso, in maniera clandestina, nell'area recintata adiacente l'abitazione della persona offesa, attuando condotte aventi l'evidente fine di spiarla attraverso le finestre, tanto che la persona offesa e la figlia ormai si vestivano nel corridoio, unico luogo non esposto alla vista di chi si trovasse all'esterno.
Il ricorrente - proprietario di un appartamento nel medesimo stabile - contesta la sentenza impugnata affermando che la persona offesa non avesse lo ius excludendi alias che costituisce il presupposto per la sussistenza del reato di violazione di domicilio, dal momento che l'area recintata fa parte di una zona condominiale comune e l'accordo iniziale circa una tripartizione tra i tre condomini - ivi compreso il ricorrente - non era stato poi formalizzato proprio per l'opposizione dell'imputato.
Orbene si impone il rigetto del ricorso perché la doglianza è infondata.
Il Collegio premette di condividere l'insegnamento di questa Corte secondo cui, ai fini della configurabilità del reato di violazione di domicilio, l'occupazione non coperta da valido titolo non esclude in capo all'occupante l'esercizio dello ius excludendi alias, quando le particolari modalità con cui si è svolto il rapporto con il titolare del diritto sull'immobile consentono di ritenere quel luogo come l'effettivo domicilio dell'occupante medesimo (Sez. 5, n. 30742 del 12/04/2019, Rv. 276907). Dando seguito a questo approdo esegetico può affermarsi che lo svolgersi dei rapporti tra i condomini della piccola palazzina teatro dei fatti sub iudice dava luogo, in capo alla persona offesa, ad una situazione di fatto meritevole di tutela; dopo un accordo verbale sulla tripartizione dell'area, la S. aveva recintato - nella non opposizione degli altri - la porzione antistante la sua unità immobiliare facendone, a tutti gli effetti, una pertinenza della propria abitazione (collocandovi arredi,. una piscina e gli alloggi del cane), con il perdurante assenso del terzo condomino e con la sostanziale inerzia dell'imputato, che non risulta avere intentato azioni per contestare la delimitazione nel momento in cui era ritornato sull'iniziale intenzione di consentire la suddivisione. Non rileva che l'accordo non fosse stato, alla fine, tradotto in un atto scritto, giacché può e deve darsi rilievo alla situazione di fatto nella realtà non contestata, che faceva della zona suddetta un luogo oramai protetto dove la persona offesa svolgeva atti della vita quotidiana. Non è senza rilievo che, in casi analoghi ma non sovrapponibili a quello oggi sub iudice, la giurisprudenza di questa Corte abbia attribuito rilievo, quali:? titolo per lo ius excludendi alias dall'interno di un'abitazione, alla mera situazione di fatto creatasi, a prescindere da qualsiasi formalizzazione o diritto dell'uno o dell'altro sul bene immobile teatro della violazione; si pensi alla situazione creatasi tra ex conviventi, già entrambi abitanti nella stessa abitazione, quando uno dei due manifesti la volontà di interrompere il rapporto e resti all'interno della casa comune (Sez. 5, n. 3998 del 19/12/2018, dep. 2019, Santini, Rv. 2753749) oppure il caso del coniuge allontanatosi dopo una separazione di fatto (Sez. 5, n. 47500 del 21/09/2012, Catania, Rv. 25451B), situazioni in cui questa Corte ha ritenuto meritevole di tutela la condizione di chi continui a permanere all'interno dell'immobile.
Si aggiunga che, su questo aspetto, il ricorso è generico nella misura in cui allude ad atti di dissenso dell'imputato rispetto alla delimitazione dell'area attuata dalla vittima, ma senza chiarire di quali condotte si trattasse. Ove mai il riferimento agli «atti con i quali ha dimostrato di considerare il cortile indiviso (altrimenti non vi sarebbe oggi processo),, (cfr. pag. 4 del ricorso) fosse ai comportamenti che oggi gli vengono contestati, è evidente che si tratterebbe di un argomento di censura del tutto inconferente, considerato che - alla luce del comportamento concreto tenuto dal ricorrente - lo scopo della sua introduzione all'interno della zona era non già quello cli manifestare il suo dissenso sulla questione della delimitazione e di esercitare, a torto o a ragione, il suo diritto di comproprietà, ma quello di spiare la persona offesa e di violarne l'intimità personale e familiare.
2. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.