Svolgimento del processo
1. Nell'ambito della procedura di estradizione passiva verso l'Albania, la Corte di appello di Brescia, con l'ordinanza impugnata, rigettava la richiesta di revoca della misura cautelare dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.
2. Avverso tale ordinanza, il ricorrente ha proposto un unico motivo di ricorso, con il quale deduce la violazione dell'art. 297, comma 3, cod.proc.pen., sul presupposto che per i medesimi fatti era stato già celebrato un processo in Italia, conclusosi con sentenza di applicazione della pena, nell'ambito del quale sarebbe stata disposta una prima ordinanza di custodia cautelare.
Il presente procedimento, pur se attivato dall'autorità giudiziaria albanese, verterebbe sui medesimi fatti, peraltro, l'autorità italiana, al momento dell'emissione della prima ordinanza cautelare disponeva già di tutti gli elementi successivamente posti a fondamento della richiesta di estradizione e della conseguente misura cautelare.
Sostiene la ricorrente, quindi, che la contemporanea pendenza di due procedimenti penali, uno in Italia e l'altro in Albania, aventi ad oggetto i medesimi fatti, non consentirebbero l'emissione frazionata di più misure cautelari, trovando applicazione i principi sanciti dall'art. 297, comma 3, cod.proc.pen.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è infondato.
2. La questione oggetto di esame concerne la possibilità o meno di applicare, anche in materia di estradizione, la disciplina dettata per la retrodatazione delle misure cautelari nel caso di contestazioni a catena, dettata dall'art. 297, comma 3, cod.proc.pen.
Il tema, sia pur con isolate pronunce, è stato affrontato a questa Corte, con affermazioni di principi che meritano un ulteriore approfondimento.
Recentemente, si è affermato che il divieto ex art. 297, comma 3, cod. proc. pen. di plurime contestazioni cautelari con applicazione della medesima misura coercitiva per uno stesso fatto "è applicabile, in assenza di specifica normativa convenzionale o interna, anche in sede estradizionale, in ragione del generale richiamo operato dall'art. 714, comma 2, cod. proc. pen. alle disposizioni del titolo I del libro IV del codice di rito (Sez.6, n. 36577 del 16/9/2022, Nedelskiy, Rv. 283733).
A fronte della perentorietà del principio massimato, la motivazione della predetta sentenza fornisce un quadro di lettura diverso, posto che in quella fattispecie la Corte ha dichiarato la cessazione di efficacia della misura custodiale disposta nei confronti di un estradando che aveva già sofferto il periodo massimo di custodia nel corso di altra procedura estradizionale instaurata, per i medesimi fatti, a seguito di una precedente domanda.
Il caso esaminato, infatti, concerneva la riproposizione di una richiesta di estradizione per il medesimo fatto, riformulata a seguito di una prima archiviazione disposta dall'autorità richiedente, cui avevano fatto seguito nuove indagini ed una ulteriore domanda di estradizione, presentata per gli stessi fatti per i quali lo Stato richiedente aveva già ottenuto l'estradizione, preceduta in Italia dall'applicazione di misura cautelare per il periodo massimo consentito.
2.1. Ben diversa è la fattispecie oggetto del presente ricorso, nella quale vi sarebbe stata una prima misura cautelare nell'ambito del procedimento svoltosi su iniziativa dell'autorità giudiziaria italiana, cui ha fatto seguito l'adozione di una successiva misura cautelare in ambito estradizionale.
Nel caso di specie, quindi, non si pone un problema di superamento del limite massimo di durata della misura cautelare estradizionale (come nei diverso precedente deciso da questa sezione), tant'è che la ricorrente lamenta, peraltro in maniera generica, la cessazione della seconda misura cautelare, emessa in fase estradizionale, ma sulla base di elementi che erano già noti all'autorità giudiziaria italiana in occasione dell'adozione della prima misura cautelare.
La questione, in punto di stretto diritto, presuppone la soluzione del quesito del se, tra una misura cautelare adottata in un procedimento interno e la misura cautelare emessa in sede estradizionale, possa o meno operare il dettato dell'art. 297, comma 3, cod.proc.pen.
2.2. La disposizione normativa contenuta all'art.297, comma 3, cod.proc.pen., stabilisce che - in presenza di determinate condizioni - «i termini decorrono dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima ordinanza e sono commisurati all'imputazione più grave».
Si tratta di una previsione espressamente volta ad evitare che, mediante il "frazionamento" del procedimento e le successive richieste di misure cautelari, si possa pervenire all'indebito superamento dei limiti di durata previsti per legge. La finalità della norma consiste nell'introduzione di meccanismi legali di retrodatazione automatica dei termini, sottraendone la durata dalle scelte, in parte discrezionali, compiute dall'organo procedente in ordine alla formulazione di un'unica richiesta cautelare o di più richieste, frazionate nel tempo (Corte cast., sent. n. 408 del 2005; si veda anche Corte cast., sent. n. 89 del 1996).
Come recentemente ribadito dalle Sezioni unite, «l'art. 297, comma 3, cod. proc. pen. delinea un sistema che si sostanzia nella mera sostituzicne del termine iniziale di durata della misura adottata per ultima, sicché per calcolare il relativo termine di fase sarà sufficiente far riferimento al dies a quo della prima misura. Il che non comporta una sommatoria dei periodi di custodia afferenti alle due misure e non richiede una loro distinta considerazione a seconda delle fasi processuali in cui la conseguente privazione di libertà si è prodotta» (Sez.U, n. 23166 del 28/5/2020, Mazzitelli, Rv 279347).
In conclusione, quindi, l'istituto in esame è funzionale a garantire l'effettivo rispetto del termine di durata massima delle misure coercitive, imponendo la retrodatazione dell'efficacia della misura adottata per seconda nel caso in cui i fatti sui i quali si fonda erano già noti al momento dell'applicazione della prima misura.
2.3. I presupposti dell'istituto, pertanto, convergono tutti all'interno di un quadro normativo omogeneo, rappresentato dai criteri di computo dei termini di durata massima delle misure cautelari adottate in procedimenti pendenti dinanzi all'autorità giudiziaria italiana.
Ben diverso è il caso di specie, nel quale si vorrebbe estendere il meccanismo della retrodatazione ai rapporti tra ordinanze cautelari adottate nel procedimento italiano ed ordinanza cautelare finalizzata all'estradizione.
I presupposti di quest'ultima forma di cautela e, soprattutto, il calcolo del termine di durata massima, sono del tutto autonomi ed eterogenei rispetto all'autonomo regime previsto per le misure cautelari disposte strumentalmente rispetto alla procedura estradizionale ed aventi un termine di durata massima (ex art. 714, comma 4, cod.proc.pen.) collegato esclusivamente alla definizione del procedimento di consegna.
In buona sostanza, i termini di fase previsti per il procedimento celebrato in Italia ed il termine relativo alla misura cautelare disposta nel procedimento estradizionale, rispondono a finalità diverse e non sono cumulabili tra di loro. L'istituto della retrodatazione, infatti, mira ad evitare che, mediante richieste frazionate di misure cautelari da parte dell'autorità inquirente, si pervenga all'indebito superamento dei termini massimi previsti in relazione a ciascuna tipologia di reato dagli artt.303 e seg. cod.proc.pen..
Il limite previsto, invece, dall'art. 714, comma 4, cod.proc.pen. è volto unicamente a garantire che la misura cautelare, disposta in via strumentale rispetto all'esecuzione della domanda di estradizione, sia contenuta nel tempo massimo previsto per dar seguito alla richiesta di consegna.
A riprova di ciò, in un sia pur risalente precedente, questa Corte ha già avuto modo di affermare, sia pur in una fattispecie non del tutto sovrapponibile a quella in esame, che il periodo di detenzione sofferto nell'ambito di procedura di estradizione attivata da richiesta di Stato estero per reato commesso nel suo territorio non rileva ai fini del computo del termine di durata della custodia cautelare, relativo alla fase delle indagini preliminari avviate per lo stesso fatto a seguito di rinuncia all'estradizione da parte dello Stato estero e di richiesta di procedimento avanzata dal Ministro della Giustizia ai sensi dell'art.9 cod.pen., data l'eterogeneità dei rispettivi titoli custodiali - essendo la misura emessa nel procedimento di estradizione esclusivamente funzionale all'eventuale consegna dell'estradando allo Stato richiedente - e l'inapplicabilità dell'art. 297 cod.proc.pen., che presuppone l'esistenza di uno o più procedimenti in cui siano state adottate più misure cautelari per lo stesso fatto o per fatti connessi sotto i profili da quest'ultime disposizioni indicati (Sez.6, n. 42784 del 10/10/2001, Mango, R. 220596).
2.4. In conclusione, quindi, deve ritenersi che la disciplina della retrodatazione dei termini di custodia cautelare, prevista dall'art. 297, comma 3, cod.proc.pen., non può trovare applicazione a fronte di una prima misura cautelare adottata nel procedimento svolto dinanzi all'autorità italiana e di una seconda misura emessa esclusivamente a fini estradizionali, in quanto i termini di durata di ciascuna misura sono autonomamente disciplinati e rispondono a finalità diverse, sicchè non sono cumulabili tra di loro.
3. Alla luce di tali considerazioni, il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il Ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 203, disp.att., cod.proc.pen.