Sbaglia la Corte d'Appello a ritenere sanabile la nullità dell'atto di integrazione «a seguito della rinnovazione della citazione per chiamata in causa degli stessi litisconsorti necessari», poiché tale nullità avrebbe dovuto condurre all'estinzione del processo.
In una controversia avente ad oggetto una petizione ereditaria, il Tribunale di Catania dichiarava l'estinzione del processo a seguito della mancata integrazione del contraddittorio, entro il termine concesso, nei confronti dei litisconsorti necessari pretermessi.
La Corte d'Appello accoglieva il gravame avanzato dall'attore...
Svolgimento del processo
Nell’ambito di un giudizio di petizione ereditaria promosso da G.M., con ordinanza del 12 aprile 2012 il Tribunale di Catania dichiarava l’estinzione del processo, a seguito della mancata integrazione del contraddittorio, entro il termine concesso, nei confronti di una serie di litisconsorti necessari pretermessi.
La predetta decisione era gravata dal M.. Si costituivano ritualmente A.M., A.M., R.C., C.C:, E.A.C., A.C., G.C. e M.S., che svolgevano appello incidentale.
Con sentenza n. 1481 del 26 giugno 2018 la Corte d’appello di Catania accoglieva l’impugnazione principale, dichiarando l’inesistenza della causa estintiva e rimettendo il processo al Tribunale, ai sensi del combinato disposto degli artt. 308 e 354 c.p.c.
I giudici di secondo grado sostenevano all’uopo che, una volta osservato il primo termine, ex art. 102 c.p.c., l’efficacia ex nunc della sanatoria per la nullità dell’atto di citazione (stante la mancata esposizione dei fatti) avrebbe dovuto reputarsi irrilevante ai fini della rituale instaurazione del contraddittorio, riguardando una fase processuale successiva, del tutto autonoma rispetto all’altra.
R.C., E.A.C., A.C. e M.C. hanno proposto ricorso per cassazione, sulla scorta di sei motivi. E’ rimasto intimato G.M..
Il P.G. ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione
1) Con la prima doglianza, proposta ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., i ricorrenti assumono la nullità della sentenza impugnata per vizio di ultrapetizione, ai sensi dell’art. 112 c.p.c.
La Corte distrettuale avrebbe accolto il gravame, distinguendo due precise fasi processuali (la verifica dell’avvenuta chiamata in causa dei litisconsorti e la verifica del momento della produzione degli effetti della sanatoria ex art. 164 comma 5° c.p.c.), senza che, nella citazione in appello, la suddetta argomentazione fosse stata sollevata dall’appellante.
Il motivo non ha pregio.
1.a) Ai sensi dell'art. 342 c.p.c., il giudizio di appello, pur limitato all’esame delle sole questioni oggetto di specifici motivi di gravame, si estende ai punti della sentenza di primo grado che siano, anche implicitamente, connessi a quelli censurati, sicché non viola il principio del “tantum devolutum quantum appellatum” il giudice di secondo grado che fondi la propria decisione su ragioni diverse da quelle svolte dall’appellante nei suoi motivi, ovvero esamini questioni non specificamente da lui proposte o sviluppate, le quali, però, appaiano in rapporto di diretta connessione con quelle espressamente dedotte nei motivi stessi e, come tali, comprese nel “thema decidendum” del giudizio (Sez. L., n. 8604 del 3 aprile 2017).
1.b) D’altronde, il giudice di merito ha il potere-dovere di inquadrare nella esatta disciplina giuridica i fatti e gli atti che formano oggetto della contestazione; tale potere incontra soltanto il limite del rispetto dell'ambito delle questioni proposte in modo che siano lasciati immutati il "petitum" e la "causa petendi", senza l'introduzione nel tema controverso di nuovi elementi di fatto. Pertanto, il vizio di ultrapetizione o extrapetizione ricorre solo quando il giudice del merito, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri gli elementi obiettivi dell'azione ("petitum" e "causa petendi") e, sostituendo i fatti costitutivi della pretesa, emetta un provvedimento diverso da quello richiesto ("petitum" immediato), ovvero attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso ("petitum" mediato). Ne consegue che il vizio in questione si verifica allorquando il giudice pronunci oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori, attribuendo alla parte un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato (Sez. 2, n. 8048 del 21 marzo 2019).
Quella censurata dai ricorrenti è una mera costruzione argomentativa, che la Corte d’appello ha mutuato da Sez. U., n. 1238/2015, senza incorrere in alcun vizio di extrapetizione.
2) Attraverso la seconda censura, proposta ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., i C. deducono la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 102, 163, 164 comma 5° e 307 comma 3° c.p.c. Nell’atto di citazione per integrazione del contraddittorio sarebbero mancati gli elementi di fatto e di diritto necessari a consentire ai soggetti chiamati di spiegare qualsivoglia domanda e difesa, sicché quello notificato non sarebbe stato riconducibile al modello legale di riferimento proprio degli atti di integrazione del contraddittorio, che prevederebbero la notifica di un vero e proprio atto di citazione.
2.a) Con il terzo mezzo di impugnazione, i ricorrenti denunciano la nullità della sentenza per violazione degli artt. 102, 163 comma 3°, 164 comma 5°, 307 comma 3° c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 4
c.p.c. I giudici di secondo grado avrebbero erroneamente considerato irrilevante, ai fini dell’instaurazione del contraddittorio e della configurabilità di una causa di estinzione del giudizio, la circostanza che l’efficacia della sanatoria dell’atto di integrazione del contraddittorio operasse ex nunc.
2.b) Il quarto rilievo afferma la violazione degli artt. 102, 156, 163 comma 3°, 164 comma 5°, 307 comma 3°, in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. La Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto sanabile la nullità dell’atto di integrazione “a seguito della rinnovazione della citazione per chiamata in causa degli stessi litisconsorti necessari”, mentre tale nullità avrebbe dovuto condurre all’estinzione del processo, giacché l’integrazione, sanando solo ex nunc il vizio attinente all’edictio actionis, non avrebbe consentito di fatto all’attore di rispettare il termine perentorio concesso dal Tribunale con la prima ordinanza.
2.c) La quinta censura attiene alla violazione degli artt. 102 e 307 comma 3° c.p.c., ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c. Alla data dell’ordinanza del 27 marzo 2010, il M. avrebbe dovuto chiamare in giudizio tutti i comproprietari del complesso immobiliare per cui era causa. Sennonché la controparte aveva notificato l’atto a M.C., già deceduta il precedente 27 novembre 2009, sicché il Tribunale aveva concesso un nuovo termine per l’integrazione del contraddittorio nei confronti dei comproprietari, odierni ricorrenti ed eredi della M.. Costoro, in fase d’appello, avevano rilevato che la concessione del nuovo termine sarebbe stata ammissibile solo per il decesso del destinatario dell’atto di integrazione del contraddittorio. Ma la M., in realtà, mai sarebbe stata destinataria dell’atto di integrazione, non avendo partecipato al processo e essendo deceduta prima dell’ordine di integrazione: conseguentemente, sarebbe mancato il presupposto per applicare la sentenza di questa Suprema Corte, che i giudici distrettuali avrebbero erroneamente citato. Infatti, sarebbe stato doveroso per il M. svolgere le indagini per accertarsi tempestivamente dell’individuazione delle giuste parti.
3) I predetti motivi, che possono essere scrutinati congiuntamente – per la loro evidente connessione logica – sono fondati.
I ricorrenti hanno contestato la mancata declaratoria di estinzione, da un lato, perché non sarebbe stato rispettato il termine, fissato per l’integrazione del contraddittorio, a fronte della notifica di una citazione dal contenuto nullo (ex art. 164 comma 4° c.p.c.) e, dall’altro, perché la defunta, nei cui confronti era stata tentata la notifica, non avrebbe dovuto essere neppure originaria destinataria del plico.
3.a) In ordine alla ripetizione del termine per l’integrazione del contraddittorio, la Corte distrettuale ha affermato: “Invero, posto che, a seguito della concessione del primo termine, era stata effettuata l’integrazione del contraddittorio nei confronti di alcuni dei litisconsorti pretermessi, la concessione del secondo termine – quindi, dopo che si era perfezionata, nell’osservanza del primo termine perentorio, la chiamata in causa di alcuni dei litisconsorti – si imponeva ed era, quindi, legittima in ottemperanza proprio all’art. 164 c.p.c. Pertanto, in considerazione della (decisiva) osservanza del primo termine, ai sensi dell’art. 102 c.p.c., l’efficacia ex nunc della sanatoria per la rilevata nullità per la mancata esposizione dei fatti, deve essere considerata irrilevante ai fini della rituale instaurazione del contraddittorio, perché riguarda una fase processuale successiva, del tutto autonoma da quella relativa alla tempestiva integrazione del contraddittorio”.
3.b) In ordine alla concessione del termine nei confronti degli eredi di C.M., deceduta nelle more, ha aggiunto: “Invero, qualora in sede di notificazione dell’atto introduttivo, in attuazione di ordine di integrazione del contraddittorio, risulti il decesso del destinatario (o di uno dei destinatari), e la parte, che debba procedere alla detta integrazione, pur avendo tempestivamente espletato l’adempimento posto a suo carico, con la consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario, veda non conseguito il perfezionamento della notificazione, nel termine all’uopo fissato per detta integrazione, nei confronti del destinatario dell’atto (o di alcuni di essi), a causa, appunto, di un evento – il decesso del medesimo o dei medesimi – che essa non era tenuta a conoscere e di cui venga informata soltanto attraverso la relazione di notifica, deve esser assegnato un termine ulteriore (di carattere perentorio) per procedere all’integrazione del contraddittorio nei confronti degli eredi della parte defunta, essendo da escludere, nel quadro di un’interpretazione costituzionalmente vincolata, una immediata declaratoria di inammissibilità del ricorso, trattandosi di soluzione contrastante con gli artt. 3 e 24 Cost., sia perché essa condurrebbe ad equiparare situazioni processuali del tutto diverse (ponendo sullo stesso piano l’inerzia rispetto all’ordine di integrazione e la tempestiva esecuzione di questo, non completata per cause indipendenti dalla volontà della parte procedente e non rientranti nella normale prevedibilità) sia perché essa si risolverebbe in una non ragionevole compressione del diritto di difesa, atteso che la detta parte si vedrebbe addebitato l’esito parzialmente intempestivo del procedimento notificatorio per un fatto in concreto sottratto ai suoi poteri d’impulso, in quanto dalla stessa non conosciuto”.
4) Il suddetto ragionamento non può essere condiviso.
4.a) Per un verso, gli stessi giudici catanesi hanno riconosciuto la nullità del primo atto di citazione, per vizi riguardanti l’editio actionis, ossia l’obbligo di precisare alla controparte ciò che si chiede nei suoi confronti per consentirgli di difendersi nel merito (Sez. 3, n. 11751 del 15 maggio 2013). In tal senso, la disciplina dettata dall'art. 164 cod. proc. civ. opera una distinzione quanto alle conseguenze della costituzione del convenuto, giacché mentre i vizi afferenti alla vocatio in ius sono sanati con effetto ex tunc, quelli relativi alla editio actionis sono sanati con effetto ex nunc (Sez. 1, n. 17951 del 1° luglio 2008; Sez. 3, n. 17474 del 9 agosto 2007; Sez. L., n. 23667 del 1° ottobre 2018).
4.b) Ma, una volta che “restano ferme le decadenze maturate” (art. 164 comma 5° c.p.c.), è evidente come il carattere indiscutibilmente perentorio del primo termine concesso per l’integrazione del contraddittorio non possa essere vanificato dalla concessione di un ulteriore termine per la sanatoria della nullità della citazione. E’ pertanto erroneo – come pretenderebbe la sentenza impugnata – distinguere due fasi (quella del contraddittorio ex se e quella della sanatoria), che sono invece intrinsecamente legate e dipendenti l’una dall’altra. Infatti, verificata la consumazione del termine concesso per l’integrazione del contraddittorio, per un vizio concernente la nullità della citazione, il giudice di merito (come, in effetti, ha fatto il Tribunale) avrebbe dovuto dichiarare l’estinzione del giudizio.
Va dunque affermato il seguente principio di diritto: “l’ordine di integrazione del contraddittorio implica e presuppone la notifica di un atto pienamente valido, ossia dotato dei requisiti previsti dall’art. 163 comma 3° c.p.c., giacché la sussistenza di un termine decadenziale è naturalisticamente incompatibile con la possibilità di una sanatoria”.
4.c) Per altro verso, in caso di notifica, da compiersi entro un termine perentorio, di un atto processuale all'interno del processo e non andata a buon fine, il notificante ha l'onere di riprendere, immediatamente e tempestivamente, il procedimento notificatorio, non potendo ritenersi dipendente da causa non imputabile la decadenza che può essere ovviata col completamento della procedura di notificazione ad iniziativa della parte stessa, salva la necessità di richiedere l'intervento del giudice per la rimessione in termini ai sensi dell'art. 153, comma 2, c.p.c. qualora non sia possibile una semplice e ragionevolmente tempestiva effettuazione della nuova notifica per l'esigenza di rispettare un termine in favore del destinatario dell'atto (Sez. 3, n. 10142 del 29 marzo 2022).
4.d) A tale proposito, la giurisprudenza di questa Corte ha condivisibilmente affermato che il richiedente ha la facoltà e l'onere - anche alla luce del principio della ragionevole durata del processo, atteso che la richiesta di un provvedimento giudiziale comporterebbe un allungamento dei tempi del giudizio - di domandare all'ufficiale giudiziario la ripresa del procedimento notificatorio, e, ai fini del rispetto del termine, la conseguente notificazione avrà effetto dalla data iniziale di attivazione del procedimento, purché la ripresa del medesimo sia intervenuta entro un termine ragionevolmente contenuto, tenuti presenti i tempi necessari secondo la comune diligenza per conoscere l'esito negativo della notificazione e per assumere le informazioni ulteriori conseguentemente necessarie (Sez. U, n. 14594 del 15 luglio 2016; Sez. 6-1, n. 17864 del19 luglio 2017).
4.e) Il M. non era dunque obbligato a chiedere un nuovo termine al giudice, il quale, a sua volta, avrebbe dovuto verificare la non imputabilità della causa della mancata notifica nel tempo stabilito. Sotto tale profilo, la motivazione della Corte d’appello è tautologica, perché si limita ad affermare la legittimità del nuovo termine, per effetto del decesso della destinataria, senza dare atto che il richiedente aveva all’uopo prodotto le informazioni necessarie per la corretta individuazione delle controparti ed, in particolare, che non vi fossero errori od omissioni nell’individuazione di C.M. come effettiva destinataria dell’atto. In altre parole, posto che il decesso era intervenuto il 27 novembre 2009 e che l’ordinanza era del 27 marzo 2010, allorquando dunque si era già aperta la successione della defunta, sarebbe stato onere del M. accertarsi in ordine all’effettiva posizione dei comproprietari del complesso immobiliare. In questo senso, la Corte d’appello avrebbe dovuto altresì, prima di reputare la legittimità del nuovo termine per l’integrazione del contraddittorio, verificare in concreto - sulla scorta di elementi precisi, che avrebbe dovuto fornire il M. - se la mancata notifica alla M. fosse imputabile oppure no a colpa del richiedente.
5) Il sesto rilievo invoca la violazione degli artt. 404, 405, 406, 407 e 408 c.p.c., per la mancata declaratoria di improcedibilità del giudizio, in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. Contrariamente alle affermazioni della decisione impugnata, che la sentenza sull’opposizione di terzo non avrebbe potuto pronunziare sulle domande proposte nell’odierno giudizio, il giudice dell’opposizione statuirebbe sia sul rescindente che sul rescissorio. Di conseguenza, il M. avrebbe dovuto impugnare la sentenza resa ex art. 404 c.p.c., attraverso i normali mezzi di gravame.
Il motivo resta assorbito dall’accoglimento dei precedenti.
La sentenza impugnata va pertanto cassata e, ricorrendo i presupposti di cui all’art. 384 c.p.c., può essere decisa nel merito, con la declaratoria di estinzione del giudizio.
Le spese di lite seguono la soccombenza, anche per il grado di appello, e vanno liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione seconda sezione civile, rigetta il primo motivo, accoglie il secondo, il terzo, il quarto ed il quinto motivo, dichiara assorbito il sesto, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara l’estinzione del giudizio.
Condanna G.M. al pagamento, in favore di R.C., E.A.C., A.C. e M.C., delle spese del giudizio di appello, che liquida in euro 2.500 (duemila/500) per la fase di studio, in euro 1.800 (mille/800) per la fase introduttiva ed in euro 4.500 (quattromila/500) per la fase decisoria, oltre accessori di legge, e delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.000 (quattromila) per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.