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14 novembre 2023
Diritto all’equa riparazione e individuazione del termine ragionevole nelle controversie in materia di protezione internazionale

Con la sentenza in commento, la Consulta dichiara non fondate le questioni di legittimità sollevate, confermando la scelta del Legislatore di equiparare la ragionevole durata complessiva dei procedimenti regolati dall'art. 35-bis D. Lgs. n. 25/2008 a quella di ogni altro procedimento civile di cognizione.

La Redazione

La Corte d'Appello di Napoli e la Corte d'Appello di Bologna hanno sollevato questioni di legittimità costituzionale dell'art. 2, c. 2-bis, della L. n. 89/2001, introdotto dall'art. 55, c. 1, lett. a), numero 2) del D.L. n. 83/2012, come convertito, in riferimento, complessivamente, agli artt. 3, primo comma, 111, secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6 CEDU.

I Giudici a quo censurano la norma nella parte in cui, prevedendo che si considera rispettato il termine ragionevole di durata del processo se non eccede la durata di tre anni in primo grado, si applica anche al processo in materia di riconoscimento della protezione internazionale di cui all'art. 35-bis D. Lgs. n. 25/2008.
Tutte le ordinanze di rimessione concordano sulla natura ordinatoria del termine di quattro mesi dalla presentazione del ricorso fissato dall'art. 35-bis, c. 13, D. Lgs. n. 25/2008 e concludono che «nelle controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale debba trovare applicazione il censurato art. 2, comma 2-bis, della legge n. 89 del 2001, il quale considera rispettato il termine ragionevole se il processo non eccede la durata di tre anni in primo grado».

Nelle sue argomentazioni, la Corte costituzionale ripercorre la giurisprudenza nazionale e comunitaria che si è pronunciata sull'adeguatezza dei termini e sulla ragionevole durata dei giudizi in materia di protezione internazionale.
Dall'esame della giurisprudenza dell'UE non si ricava alcun elemento idoneo a conferire ai giudizi in questione uno statuto differenziato, quanto alla loro durata, rispetto al complesso dei procedimenti giurisdizionali condotti all'interno di uno Stato membro. Analogamente, nella giurisprudenza della Corte di Cassazione non si rinviene un orientamento che possa indurre a ritenere che per i giudizi in materia di protezione internazionale sia possibile individuare una durata specifica, diversa da quella degli altri giudizi civili.

Ciò detto, la Corte costituzionale osserva che i rimettenti denunciano l'illegittimità costituzionale della scelta del Legislatore di equiparare la ragionevole durata complessiva dei procedimenti regolati dall'art. 35-bis cit. a quella di ogni altro procedimento civile di cognizione, ma non individuano un termine congruo di durata dei medesimi processi di protezione internazionale.
Da ultimo, osserva la Consulta «dalla richiamata giurisprudenza della Corte di Lussemburgo, si desume in modo univoco l'esigenza che i procedimenti giudiziari in materia di protezione internazionale siano disciplinati in modo tale da assicurare il completo esame della situazione individuale del richiedente; il che, spesso, può comportare lo svolgimento di accertamenti complessi, tali da rendere non irragionevole la prevista durata di tre anni per il primo grado di merito».

In conclusione, poiché la celerità di trattazione richiesta dai processi in questione non impone di individuare per essi un più breve termine di ragionevole durata, la Corte costituzionale dichiara le questioni in scrutinio non fondate con sentenza n. 205 del 14 novembre 2023.