
In materia di evasione dagli arresti domiciliari, la cantina non rientra nel concetto di “abitazione”, sia perché è un luogo chiuso e non in continuità con quest’ultima, sia perché essa è inidonea ai controlli delle autorità competenti.
La Corte d’Appello di Bologna condannava l’imputato per il reato di evasione dagli arresti domiciliari dall’abitazione dello zio, riformando la pronuncia di primo grado per insussistenza del fatto.
Contro tale decisione, l’imputato propone ricorso per cassazione lamentando l’assenza di una prova certa ai fini dell’attribuzione in capo a lui di una responsabilità penale,...
Svolgimento del processo
1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Bologna ha condannato F. B. per il reato di evasione dagli arresti domiciliari dall'abitazione dello zio riformando l'assoluzione emessa dal Tribunale di Rimini per insussistenza del fatto.
2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso l'imputato, con atto sottoscritto dal difensore, deducendo i motivi di seguito indicati.
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in quanto la sentenza impugnata, in assenza di prova certa ed erroneamente, ha ritenuto che lo scantinato in cui l'imputato si era addormentato costituisse un'area non facente parte integrante dell'abitazione e che ciò avesse impedito ai carabinieri di operare il controllo, a cui però non avevano provveduto visto che la segnalazione era derivata esclusivamente dalle dichiarazioni dello zio del ricorrente.
2.2. Vizio di motivazione per omissione in quanto la sentenza di appello non ha esaminato né la richiesta di applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis cod. pen., né la richiesta di applicazione delle attenuanti generiche.
3. Il giudizio di cassazione si è svolto a trattazione scritta, ai sensi dell'art. 23, comma 8, d.l. n. 137 del 2020, convertito dalla l. n. 176 del 2020.
Motivi della decisione
1. II ricorso è infondato.
2. Il primo motivo è infondato.
La Corte distrettuale, con argomenti logici e completi, ha ribaltato la sentenza assolutoria del giudice di primo grado sostenendo che, al di là dell'inverosimiglianza della tesi sostenuta dall'imputato in sede di spontanee dichiarazioni, ovverosia di non essere stato trovato in casa dagli operanti per essersi addormentato in cantina, comunque eletto luogo era diverso da quello in cui era ristretto agli arresti domiciliari, con ciò avendo eluso le possibilità di controllo.
3. ln tema di evasione dagli arresti domiciliari, agli effetti dell'art. 385 cod. pen., per "abitazione" deve intendersi il luogo in cui la persona conduce la propria vita domestica e privata, con esclusione di ogni altra appartenenza (aree condominiali, dipendenze, giardini, cortili e spazi simili) che non sia di stretta pertinenza dell'abitazione e non ne costituisca parte integrante (Sez. 6, n. 32371 del 27/03/2019, Tomasso, Rv. 276800; Sez.. 2, n. 13825 del 17/02/2017, Rv 269744). Rientrano, invece, nella nozione di abitazione tutti quegli ambienti parzialmente aperti, quali balconi, terrazzi, cortili interni, che costituiscono parte integrante dell'unità immobiliare, immediatamente raggiungibili senza soluzione di continuità spaziale, in cui la misura cautelare possa svolgersi secondo modalità analoghe a quelle della misura intramuraria (Sez. 6, n. 47317 del 28/10/2016, Rv. 268500).
Alla luce di questo consolidato orientamento della Corte di legittimità si deve ritenere corretto il ragionamento operato dalla Corte di merito secondo cui la cantina, che per ammissione dello stesso imputato costituiva un corpo autonomo e separato dal resto dell'appartamento (pag. 1 della sentenza impugnata), non possa farsi rientrare nel concetto di "abitazione" non solo in quanto luogo chiuso e non in continuità diretta con questa, ma anche perché inidonea ai controlli, come comprovato dal fatto che lo stesso zio del ricorrente, al momento dell'intervento dei carabinieri, avesse riferito che il nipote non fosse in casa e non rispondesse al telefono.
4. II secondo motivo è generico e aspecifico.
A fronte della generica richiesta del difensore di applicai-e la causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis cod. pen. a B., la Corte distrettuale è vero che non ha provveduto ad un suo formale rigetto, ma dal contenuto della sentenza risulta come ne mancassero gli indicatori normativi stante il richiamo a due condanne definitive per evasione e al corposo certificato penale del ricorrente, da ciò desumendo, in assenza dell'allegazione di elementi positivi da parte dell'interessato, l'abitualità del comportamento illecito tenuto e la preclusione ad ottenere il beneficio richiesto.
In ordine alla censura riguardante il diniego delle attenuanti generiche, sfugge al ricorrente che queste sono state applicate in regime di equivalenza rispetto alla recidiva qualificata contestata.
5. Ne consegue il rigetto del ricorso con condanna del ricorrente al pagamento in favore dell'erario delle spese del presente procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.