Nel caso in esame, la Cassazione chiarisce che il procedimento disciplinare, e dunque il termine perentorio, non può decorrere a fronte di una notizia che per la sua genericità non comporta la formulazione dell'incolpazione e richiede accertamenti preliminari volti a circostanziare l'addebito.
La Corte d'Appello di Messina confermava la pronuncia del Tribunale con la quale era stata respinta la domanda proposta dal responsabile del servizio di polizia municipale contro il Comune, volta ad annullare la sanzione disciplinare a lui inflitta per il mancato utilizzo dell'uniforme di servizio per oltre un anno, avendo così facendo causato un...
Svolgimento del processo
1. con la sentenza n. 610/2018 la Corte di appello di Messina ha confermato, salvo che per il limitato profilo delle spese di lite, la pronuncia n. 2129/2015, emessa dal Tribunale della stessa sede, con la quale veniva rigettata la domanda proposta da G. L. nei confronti del Comune di T. diretta a ottenere l’annullamento della sanzione disciplinare ¿ intimata con provvedimento del 2.5.2012 ¿ di sospensione dal servizio e dalla retribuzione per giorni otto;
2. il L. svolgeva, nel periodo in cui si riferiva l'addebito disciplinare, mansioni di istruttore direttivo di vigilanza (cat. D) e di responsabile del servizio di pulizia municipale, e la sanzione era stata irrogata per il mancato uso dell’uniforme di servizio da oltre un anno svolgendo, in tale arco temporale, servizio in borghese, così cagionando danno all’immagine dell’Ente;
3. la Corte territoriale riteneva tempestiva la contestazione considerando che la notizia dell’addebito era stata acquisita non quando il L. aveva chiesto, nel novembre 2011, di integrare le dotazioni di vestiario, ma allorché il Sindaco, nel mese di marzo del 2012, aveva comunicato all’ufficio procedimenti disciplinari (UPD) che il dipendente prestava servizio da oltre un anno senza indossare la divisa, donde la ritualità della contestazione datata 23.3.2012 siccome adottata nel rispetto del termine di cui all’art. 55 bis d.lgs. n. 165/2001;
sulla legittimità della sanzione, come contestata, rilevava che il Comune aveva effettuato gli acquisti delle divise per tutti gli appartenenti al Corpo di P.M., compreso il L., il quale aveva ricevuto la fornitura del vestiario nel febbraio 2009, come risultava dalla sottoscrizione del relativo modulo, sicché del tutto ingiustificato era l’utilizzo, da parte di costui (e non anche degli altri appartenenti al Corpo della P.M.) di abiti borghesi per assolvere i compiti di istituto, non potendosi ipotizzare che, dopo soli due anni, l’uniforma di servizio fosse già logora;
4. avverso la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione G. L. affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso il Comune di T..
Motivi della decisione
1. con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 55 bis, comma 5, d.lgs. n. 165/2001 per avere la Corte di merito considerato quale dies a quo di decorrenza del termine perentorio per la contestazione degli addebiti quello in cui l’UPD aveva acquisito notizia dell’infrazione e non già quello, ad esso anteriore, in cui il Sindaco era stato messo al corrente dallo stesso L., in data 10.12.2011,dello stato di disagio in cui egli versava per essere costretto a prestare servizio in abiti borghesi per «carenza del vestiario»;
2. il motivo non è fondato;
3. questa Corte ha più volte affermato che, ai fini della decorrenza del termine perentorio previsto per la conclusione del procedimento disciplinare dall’acquisizione della notizia dell’infrazione (ex art. 55 bis, comma 4, del d.lgs. n. 165/2001), in conformità con il principio del giusto procedimento, come inteso dalla Corte cost. (sentenza n. 310 del 5 novembre 2010), assume rilievo esclusivamente il momento in cui tale acquisizione, da parte dell’ufficio competente regolarmente investito del procedimento, riguardi una “notizia di infrazione” di contenuto tale da consentire l’avvio al procedimento disciplinare, nelle sue tre fasi fondamentali della contestazione dell’addebito, dell’istruttoria e dell’adozione della sanzione (v. Cass. 20 marzo 2017, n. 7134 e negli stessi termini Cass. 25 ottobre 2017, n. 25379 e Cass. 21 marzo 2018, n. 6989). Il principio, sebbene affermato in relazione al termine per la conclusione del procedimento, è applicabile anche qualora venga in rilievo la tempestività della contestazione, poiché quest’ultima può essere ritenuta tardiva solo qualora l’amministrazione rimanga ingiustificatamente inerte e, quindi, non proceda ad avviare il procedimento, pur essendo in possesso degli elementi necessari per il suo valido avvio. Il termine, invece, non può decorrere a fronte di una notizia che, per la sua genericità, non consenta la formulazione dell’incolpazione e richieda accertamenti di carattere preliminare volti ad acquisire i dati necessari per circostanziare l’addebito» (Cass. 11 settembre 2018, n. 22075; di recente Cass. 15 luglio 2022, n. 22379). La contestazione, dunque, può essere ritenuta tardiva solo qualora la P.A. rimanga ingiustificatamente inerte, pur essendo in possesso degli elementi necessari per procedere, sicché il suddetto termine non può decorrere a fronte di una notizia che, per la sua genericità, non consenta la formulazione dell’incolpazione e richieda accertamenti di carattere preliminare volti ad acquisire i dati necessari per circostanziare l’addebito (così, Cass. 7 aprile 2021, n. 9313; Cass. 13 maggio 2019, n. 12662; Cass. n. 22075/2018 cit.; sulla conoscenza piena da parte dell’UPD si veda anche Cass. 7 maggio 2019, n. 11949 e la giurisprudenza ivi richiamata). La tesi del ricorrente, postulando, in senso contrario, che l’Amministrazione debba procedere all’avvio del procedimento disciplinare ed alla contestazione prima ancora di poter circostanziare l’addebito, non appena si avveda di una possibile responsabilità disciplinare del dipendente, non risulta in linea con il suddetto orientamento di questa Corte;
4. del resto, un fatto rilevante sul piano disciplinare è tale soltanto se corredato da elementi narrativi e conoscitivi sufficientemente articolati, dettagliati e circostanziati. Diversamente argomentando, sarebbe gravemente lesivo della dignità anche personale del dipendente se, pur in mancanza di dati fattuali concreti in possesso degli organi datoriali e/o di valutazione disciplinare del personale, si consentisse l’avvio d’un procedimento disciplinare alla stregua di elementi generici e non circostanziati. In altre parole, è a tutela dello stesso lavoratore evitare che vengano promosse iniziative disciplinari ancora prive di sufficienti dati conoscitivi. Il richiamo alla «piena conoscenza dei fatti ritenuti di rilevanza disciplinare» contenuto ora nell’art. 55 bis del d.lgs. n. 165/2001 (come sostituito dall’art. 13, comma 1, lettera d), del d.lgs. n. 75/2015) conferma il sopra ricordato orientamento giurisprudenziale e vale a sottolineare che il termine per l’avvio del procedimento in tanto può decorrere in quanto la segnalazione pervenuta all’UPD, per il tramite del responsabile della struttura o in altro modo, consenta di dare avvio al procedimento e riguardi una notizia, per così dire, “circostanziata”, sulla base della quale sia possibile formulare una contestazione specifica e non generica, posto che la mancanza di specificità dell’atto di incolpazione minerebbe alla base l’intero procedimento;
5. nello specifico, in base ad una valutazione di fatto che è prerogativa del giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità, la Corte d’appello ha ritenuto che la nota prot. n. 2367 del 10.12.2011 indirizzata al Sindaco non integrasse gli estremi di una «notizia di infrazione» nel senso inteso dalla giurisprudenza, idonea a far decorrere il termine per la contestazione disciplinare. Il ragionamento sulla sufficienza dei dati già acquisiti al fine di procedere alla contestazione è giudizio di fatto, che si sottrae a censura di legittimità ove correttamente motivato. La motivazione nel caso di specie vi è stata, nei termini di cui si è detto, cui si aggiunta altresì, da parte della Corte territoriale, l’ulteriore precisazione che «la semplice dichiarazione del L., che risale al novembre 2011, non potesse costituire notizia sufficiente all’apertura del procedimento disciplinare per la necessità di garantire il dipendente, altrimenti privo (della possibilità, nde) di manifestare le proprie esigenze nel campo del lavoro», anche perché il Sindaco «prima di inviare la comunicazione all’UPD, richiese chiarimenti al L. e ne attese le risposte, peraltro mai pervenute»;
6. con il secondo mezzo si denuncia violazione dell’art. 360 n. 4 cod. proc. civ., in relazione all’art. 112 cod. proc. civ., nonché omessa pronuncia sul terzo motivo di appello avente ad oggetto la congruità della sanzione irrogata; la Corte messinese aveva errato omettendo ogni disamina del motivo di gravame, riportato alle pagine 11-13 dell’atto d’appello, limitandosi a confermare la legittimità della sanzione «senza spendere alcuna parola sulla congruità»;
7. il motivo è destituito di fondamento;
7.1 il ricorrente lamenta l’omessa valutazione sulla proporzionalità della sanzione inflitta, che, a suo avviso, sarebbe eccessiva per la scarsa incidenza dell’addebito contestato «sul corretto svolgimento del servizio istituzionale di polizia locale» e/o sull’immagine dell’Ente;
in realtà, dal tenore argomentativo della sentenza impugnata che richiama ¿ deve ritenersi, anche in punto di proporzionalità della sanzione ¿ l’apprezzamento del Tribunale («non si può che concordare con la statuizione del primo giudice»), emerge che il giudice d’appello ha implicitamente statuito, concordando con il primo giudice sul “disvalore” dei fatti e sui possibili riflessi in termini di disservizio o discredito per l’ente locale;
7.2 così facendo, la Corte distrettuale si è uniformata all’indirizzo di legittimità che fin da epoca risalente ha affermato che la valutazione della proporzionalità tra addebito e sanzione va operata tenendo sì conto della portata oggettiva dei fatti e del grado di consapevolezza del lavoratore, ma anche apprezzando il livello di affidamento richiesto per le specifiche mansioni del dipendente, perché tanto più elevato è l’inquadramento tanto più severa deve essere la valutazione della gravità del comportamento (Cass., Sez. L, n. 24209 del 2010 e successive conformi);
ecco allora che, conformemente ai criteri generali di graduazione contenuti nel codice disciplinare (cfr. art. 3 comma 1 lett. c) c.c.n.l. Comparto regioni e Autonomie Locali), ha qui (evidentemente) inciso, su tipologia ed entità della sanzione, anche il livello di responsabilità connessa alla specifica posizione occupata dal L., all’epoca dei fatti comandante della polizia municipale del Comune di T.;
8. tanto basta per la reiezione del ricorso, con addebito delle spese del giudizio di legittimità al ricorrente, liquidate come da dispositivo che segue.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro 200,00 per esborsi ed euro 1.000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonché al rimborso delle spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, ove dovuto.