La Cassazione conferma la condanna dell’imputato per il reato di tentata evasione ribadendo che «il fine perseguito dall'agente non assume alcuna rilevanza, costituendo, questo, l'antecedente psichico della condotta, cioè il movente del comportamento tipico descritto dalla norma penale».
L’imputato ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello di Palermo che aveva confermato la sua condanna per il reato di tentata evasione.
Nello specifico, il ricorrente lamenta l’insussistenza dell’elemento psicologico del reato ascrittogli poiché il medesimo aveva sollecitato l’adozione di un provvedimento...
Svolgimento del processo
1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Palermo ha confermato la condanna di G.G. per il reato cli tentata evasione (imputazione così riqualificata con la sentenza di primo grado).
2. G.G. ricorre per cassazione deducendo il vizio di violazione di norma processuale e di manifesta illogicità e contraddittorietè1 della motivazione in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato. Deduce, in particolare1 che dalle modalità concrete della condotta si evince l'insussistenza dell'elemento
psicologico del reato ascritto posto che il ricorrente aveva sollecitato l'adozione di un provvedimento di allontanamento dal domicilio dove si trova agli arresti domiciliari in ragione di una lite che aveva reso insostenibile la prosecuzione della convivenza.
3. Il Sostituto Procuratore Generale, nel concludere per l'accoglimento del ricorso, ha rilevato la mancanza del dolo generico posto che la condotta di allontanamento è avvenuta alla presenza degli operanti ed è stata determinata dalla volontà, non di evadere, ma di evitare un litigio con la madre convivente.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato per le ragioni di seguito esposte.
2. Il reato di evasione consiste nella condotta di volontario allontanamento dal luogo di restrizione domiciliare. Ai fini della sua configurabilità, è, inoltre, sufficiente il dolo generico ovvero la mera consapevolezza e volontà di allontanarsi dal domicilio in assenza di apposita autorizzazione (cfr. Sez. 6, n. 36518 del 27/10/2020, Rodio, Rv. 280118; Sez. 6, n. 52496 del 03/10/2018, Natale, Rv. 274295). Ne consegue, pertanto, che il fine perseguito dall'agente non assume alcuna rilevanza, costituendo, questo, l'antecedente psichico della condotta, cioè il movente del comportamento tipico descritto dalla norma penale.
Va, tuttavia, considerato che secondo altro orientamento ermeneutico, richiamato dal ricorrente a sostegno delle proprie argomentazioni, deve escludersi la configurabilità del reato di evasione nell'ipotesi di volontario allontanamento e di immediata presentazione presso l'autorità di polizia (Sez.. 6, n. 43791 del 09/10/2013, Somaio, Rv. 257487; Sez. 6, n. 25583 del 05/02/2013, Giannone, Rv. 256806). In altra fattispecie, invece, è stata esclusa l'offensività in concreto della condotta del ricorrente che, trovandosi in stato di detenzione domiciliare, si era allontanato dalla propria abitazione per farsi trovare al di fuori di essa in attesa dei carabinieri, prontamente informati della sua intenzione cli volere andare in carcere (Sez. 6, n. 44595 del 06/10/2015, Ranieri, Rv. 265451).
Rileva, tuttavia, il Collegio che, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, in tali precedenti si è sostanzialmente esclusa la configurabilità, non del dolo del reato di evasione, ma dell'elemento oggettivo del reato o, secondo Sez. 6, n. 44595/2015, dell'offensività concreta della condotta che, nelle ipotesi considerate, a giudizio della Corte, non aveva mai determinato una effettiva sottrazione alla vigilanza.
Ebbene, in disparte ogni considerazione sulla condivisibilità o meno di detto orientamento, va, comunque, rilevato che nella fattispecie in esame non ricorre alcuna delle ipotesi considerate nei precedenti sopra analizzati in quanto l'imputato, dopo avere chiamato i Carabinieri a causa della lite con la madre, mentre questi si trovavano presso la sua abitazione, si dava improvvisamente alla fuga allontanandosi dal domicilio per circa una ventina di metri finché non veniva nuovamente bloccato dagli operanti.
Ritiene, pertanto, il Collegio che la sentenza impugnata, senza incorrere in alcun vizio logico o giuridico, coerentemente con l'impostazione qui condivisa in ordine alla sufficienza del dolo generico ai fini della configurabilità del reato, ha legittimamente affermato la responsabilità dell'imputato reputando irrilevanti, ai fini della sussistenza dell'elemento psicologico, le ragioni della sua fuga dall'abitazione (ovvero, la riferita volontà del ricorrente di ottenere un aggravamento della misura per non dover più convivere con la madre).
3. AI rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.