
Svolgimento del processo
1. Con sentenza emessa il 28 novembre 2019, il Tribunale di Forlì aveva condannato G.V. per i reati di atti persecutori e di lesioni personali, commessi in danno di S.A.J., alla pena di un anno di reclusione e al risarcimento del danno subito dalla parte civile, liquidato in euro 1.000,00.
Con sentenza pronunziata il 10 maggio 2022 la Corte di appello di Bologna ha parzialmente riformato la sentenza di primo grado, revocando le statuizioni civili relative alla liquidazione del danno, rimessa al giudice civile, e assegnando alla parte civile una previsionale immediatamente esecutiva, pari a euro 1.000,00.
Secondo l'ipotesi accusatoria, l'imputato - con l'intento di ostacolare l'attività professionale di avvocato svolta dalla vittima in favore di tale N.K. - avrebbe compiuto atti persecutori nei confronti del S.A.J.: l'avrebbe contattato più volte al telefono e l'avrebbe minacciato; si sarebbe appostato nei pressi dello studio legale della persona offesa e l'avrebbe, poi, seguito per strada; l'avrebbe più volte insultato. Condotte che avrebbero indotto il S.A.J. a cambiare le proprie abitudini di vita, facendolo vivere in uno stato di perenne apprensione e di ansia per la propria incolumità.
L'imputato, inoltre, avrebbe, nel ruolo di istigatore, concorso con il figlio O., esecutore materiale della condotta, a provocare lesioni personali al medesimo S.A.J.. In particolare, G. O., istigato dal padre, avrebbe stretto al collo la cravatta che il S.A.J. indossava e gli avrebbe schiacciato la testa contro il vetro di una finestra, provocandogli lesioni giudicate guaribili in quindici giorni.
2. Avverso la sentenza della Corte di appello, l'imputato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore di fiducia.
2.1. Con un primo motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione all'art. 612-bis cod. pen.
Sostiene che la Corte di appello non avrebbe fornito adeguata risposta ai motivi di gravame con i quali la difesa aveva evidenziato l'insussistenza sia dell'elemento soggettivo che dell'elemento oggettivo del reato. In particolare, la difesa aveva evidenziato che l'elemento oggettivo del reato non poteva essere integrato dalla sussistenza di sole due telefonate intercorse tra imputato e persona offesa, nonché da un appostamento del tutto estemporaneo e non premeditato. Aveva, inoltre, evidenziato che era del tutto insussistente il nesso di causalità tra la presunta condotta persecutoria e la sindrome ansiosa reattiva riferita dalla persona offesa. Sotto quest'ultimo profilo, la difesa aveva sostenuto che il giudice di primo grado sarebbe incorso in un travisamento della prova nel ritenere che lo stato di ansia e paura riferito, in sede di esame, dalla persona offesa fosse conseguente alle condotte persecutorie, quando invece la presunta vittima aveva riferito che tale stato era stato conseguente alle lesioni subite.
La Corte di appello, in ordine a tali deduzioni, avrebbe fornito una motivazione del tutto carente e non avrebbe tenuto conto della documentazione prodotta dalla difesa, dalla quale emergerebbe che il S.A.J. non avrebbe subito alcuna modifica in senso peggiorativo delle sue abitudini di vita, essendo ritratto in numerose foto «che lo vedevano impegnato in serate gaudenti e momenti di invidiabile rilassatezza».
Il ricorrente, infine, eccepisce la nullità della sentenza, poiché la Corte di appello avrebbe acquisito il certificato del "Centro di salute mentale di Cesena e Cesenatico" prodotto dalla parte civile, in assenza del consenso della difesa e in violazione dell'art. 511, comma 3, cod. proc. pen., per aver acquisito il documento senza la previa escussione del tecnico che l'aveva redatto.
2.2. Con un secondo motivo, articolato con specifico riferimento al reato di lesioni, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale.
Contesta la decisione della Corte di appello di aver ritenuto l'imputato responsabile, a titolo di concorso morale, dell'aggressione subita dalla persona offesa "per mano" di G. O.. Sostiene che non vi sarebbe stato alcun accordo tra l'imputato e il figlio per aggredire il S.A.J., il cui atteggiamento <<altezzoso e supponente» avrebbe fatto degenerare l'incontro tra i due.
2.3. Con un terzo motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale.
Il ricorrente contesta la sentenza l'impugnata, nella parte in cui ha revocato le statuizioni civili disposte dal giudice di primo grado, con rimessione della questione della liquidazione dei danni al giudice civile e con attribuzione di una provvisionale immediatamente esecutiva a favore della parte civile, sostenendo che la decisione della Corte territoriale sul punto sarebbe priva di effettiva motivazione.
3. Il Procuratore generale, nelle sue conclusioni scritte, ha chiesto di rigettare il ricorso.
4. L'avv. D.S., per la parte civile, ha depositato memoria scritta con la quale ha chiesto di rigettare il ricorso.
Motivi della decisione
1. Il ricorso deve essere rigettato.
1.1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Esso è privo di specificità, perché meramente reiterativo di identiche doglianze proposte con i motivi di gravame, disattese nella sentenza impugnata con corretta motivazione in diritto e congrua e completa argomentazione in punto di fatto, con le quali il ricorrente non si è effettivamente confrontato.
La Corte di appello, in particolare, ha ritenuto che le specifiche condotte contestate all'imputato fossero sufficienti a integrare il reato, facendo applicazione di un principio giurisprudenziale consolidato, secondo il quale il delitto di atti persecutori di cui all'art. 612-bis c.p. può essere integrato «anche da due sole condotte di minacce, molestie o lesioni, pur se commesse in un breve arco di tempo», in quanto «idonee a costituire la reiterazione richiesta dalla norma incriminatrice, non essendo invece necessario che gli atti persecutori si manifestino in una prolungata sequenza temporale» (Sez. 5, n. 33842 del 03/04/2018, P., Rv. 273622; Sez. 5, n. 46331 del 05/06/2013, D., Rv. 257560; Sez. 5, n. 6417 del 21/01/2010, Oliviero, Rv. 245881).
Con riferimento all'evento del reato, ha correttamente rappresentato, senza incorrere in alcun evidente vizio logico o decisivo travisamento di prova, che il S.A.J., aveva dichiarato che, a seguito delle condotte dell'imputato, era caduto in un perdurante stato di ansia e agitazione ed era stato costretto a modificare le proprie abitudini di vita, limitando le proprie uscite, evitando di lasciare lo studio a tarda sera, evitando di parcheggiare l'auto lontano dai luoghi ove doveva recarsi, prestando particolare attenzione quando riceveva persone nello studio professionale. A conferma della sussistenza dell'evento del reato, la Corte territoriale ha fatto riferimento a un certificato medico del "omissis".
Va evidenziato che l'acquisizione del certificato medico nel corso del giudizio di appello non richiedeva alcun consenso delle parti, ma solo che il documento venisse acquisito nel contraddittorio tra le parti (Sez. 3, n. 34949 del 03/11/2020, S., Rv. 280504); né era necessaria la preventiva escussione dei sanitari che l'avevano redatto, trattandosi di un documento e non di una relazione peritale.
1.2. Il secondo motivo è inammissibile.
Con esso, il ricorrente ha articolato alcune censure che, pur essendo state da lui riferite alle categorie dei vizi di motivazione e di violazione di legge, ai sensi dell'art. 606 cod. proc. pen., non evidenziano alcuna effettiva violazione di legge né travisamenti di prova o vizi di manifesta logicità emergenti dal testo della sentenza, ma sono, invece, dirette a ottenere una non consentita rivalutazione delle fonti probatorie e un inammissibile sindacato sulla ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito (cfr. Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano).
Al riguardo, occorre ricordare che esula <<dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali>> (Sez. U, n. 22242 del 27/01/2011, Scibè).
1.3. Il terzo motivo è infondato.
La Corte di appello, invero, seppur in maniera sintetica, ha motivato in ordine alla revoca delle statuizioni civili relative alla liquidazione del danno. Ha, infatti, ritenuto che la somma liquidata dal giudice di primo grado a titolo di risarcimento del danno (euro 1.000,00) non fosse congrua rispetto alla gravità del fatto e al turbamento emotivo subito dalla persona offesa.
2. Al rigetto del ricorso per cassazione, consegue, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Il ricorrente, altresì, è tenuto alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente grado di giudizio dalla costituita parte civile, che vanno liquidate complessivamente in euro 3.800,00, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che liquida in complessivi euro 3.800,00, oltre accessori di legge.