Nel caso di specie, gli atti erano univocamente diretti alla commissione del delitto di furto, in quanto l'intenzione dell’agente nel voler fare ingresso nella casa della vittima non poteva che essere quella di sottrarre i beni presenti dentro.
Svolgimento del processo
1. Con ordinanza pronunciata a norma dell'art. 309 cod. proc. pen. il Tribunale di L'Aquila ha confermato quella del Tribunale di Pescara di applicazione, nei confronti di S. D., della misura dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria in ordine al reato di tentato furto in abitazione di cui agli artt. 56, 624 bis commi 1 e 3, 625 comma 1 n. 2 m 61 n. 5 cod. pen commesso in danno di A. M..
La misura cautelare è stata applicata a seguito di arresto in flagranza ed fatti sono stati ricostruiti nel modo seguente. Il ricorrente insieme ad un complice si era presentato a bordo di un'auto presso la casa monofamiliare della vittima; dopo che la donna aveva aperto la porta, mentre il complice era rimasto in auto, D. le si era avvicinato e, identificandosi come un operatore delle Poste Italiane, aveva spiegato che stava procedendo ad un giro di ricognizione delle case della zona per la consegna di nuovi libretti postali; di seguito aveva chiesto insistentemente di entrare in casa per procedere alla sostituzione del libretto postale del marito, ma la donna si era opposta con decisione, anche dopo che l'uomo aveva dichiarato che il rifiuto sarebbe stato verbalizzato in una cartellina che aveva in mano; infine, D. aveva desistito dalle sue intenzioni e, rientrato in auto, si era allontanato; a seguito della descrizione fornita dalla vittima, i due erano stati rintracciati all'interno di un'area parcheggio e nell'auto erano stati rinvenuti la cartellina descritta da M. e dei cacciaviti; S. D. era stato riconosciuto dalla vittima come colui che si era presentato alla porta.
2. Contro l'ordinanza, la difesa del ricorrente ha proposto ricorso, formulando un unico motivo, con cui ha dedotto non già uno specifico vizio dell'ordinanza impugnata, bensì la configurazione della condotta contestata all'indagato come tentativo di furto in abitazione. Il tentativo di reato - osserva il ricorrente- richiede l'intenzione criminosa., il mancato raggiungimento dello scopo e la univocità e idoneità degli atti. Il Tribunale non avrebbe spiegato in che senso gli atti fossero diretti in modo non equivoco a commettere un furto e non anche un altro reato. Gli atti realizzati dal ricorrente erano neutri nella loro essenza e si prestavano in realtà ad interpretazioni alternative rispetto a quella per cui sarebbero stati diretti a commettere un furto in abitazione.
3. Il Procuratore generale, in persona del sostituto S. P., ha rassegnato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso con conseguenti statuizioni di legge.
Motivi della decisione
1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
2. Per la configurabilità del tentativo, al di là del tradizionale discrimen tra atti preparatori e atti esecutivi, rilevano, per quel che interessa in relazione al tema del ricorso, l'idoneità causale degli atti compiuti per il conseguimento dell'obiettivo delittuoso e l'univocità della loro destinazione, da apprezzarsi con valutazione ex ante in rapporto alle circostanze di fatto ed alle modalità della condotta. La condotta che integra la fattispecie tentata ex art. 56 cod. pen., si sostanzia non solo negli atti esecutivi veri e propri, ma anche in quegli atti che, pur classificabili come preparatori, facciano fondatamente ritenere che l'agente, avendo definitivamente approntato il piano criminoso in ogni dettaglio, abbia iniziato ad attuarlo, che l'azione abbia la significativa probabilità di conseguire l'obiettivo programmato e che il delitto sarii commesso, salvo il verificarsi di eventi non prevedibili, indipendenti dalla volontà del reo (Sez. 5, n. 18981 del 22/02/2017, Macori, Rv. 269931, che richiama Sez. 5, n. 7341 del 21/01/2015 - dep. 18/02/2015, Sciuto, Rv. 262768 e Sez. 2, n. 25264 del 10/03/2016 - dep. 17/06/2016, Colombo, Rv. 267006). Dunque, per affermare l'univocità degli atti, è necessario accertare se gli atti posti in essere, valutati nella loro oggettività per il contesto nel quale si inseriscono, per la loro natura e la loro essenza, siano in grado di rivelare, secondo le norme di esperienza e secondo I' id quod plerumque accidit, il fine perseguito dall'agente (Sez. 5, n. 18981/2017, cit., che rileva come tale orientamento, sia stato accreditato da Sez. U, n. 28 del 25/10/2000, Morici, non massimata sul punto, secondo cui il requisito dell'univocità degli atti impone che gli stessi siano considerati in sé medesimi, per il contesto nel quale si inseriscono e per la loro natura ed essenza; nello stesso senso Sez. 5, n. 4033 del 24/11/2015 - dep. 29/01/2016, Zaninetta, Rv. 267563). In altri termini il requisito dell'univocità degli atti va accertato ricostruendo, sulla base delle prove disponibili, la direzione teleologica della volontà dell'agente, quale emerge dalle modalità di estrinsecazione concreta della sua azione, allo scopo di accertare quale sia stato il risultato da lui avuto di mira, sì da pervenire con il massimo grado di precisione possibile alla individuazione dello specifico bene giuridico aggredito e conci-etamente posto in pericolo.
A titolo esemplificativo, si ricorda che è stato riconosciuto sussistente il tentativo di furto in abitazione nella condotta consistita nel divellere dal muro la grata di protezione di una finestra (Sez. 4, n. 7702 del 29/01/2007, Alasia, Rv. 236110), nella forzatura della porta di ingresso di un'abitazione (Sez. 5, n. 50079 del 15/05/2017, Mayer, Rv. 271435).
3. Venendo al caso in esame, si deve premettere che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, integra il delitto di furto - e non quello di truffa - la condotta di colui che, simulando la qualità di incaricato di pubblico servizio, adduca esigenze di inesistenti verifiche o controlli per ottenere la consegna di beni da parte della persona offesa al fine di impadronirsene (ex multis, Sez. 5, n. 18655 del 24/02/2017, Suffer, Rv. 269640).
3.1. Il Tribunale del Riesame ha rilevato che D. si era qualificato come dipendente postale, pur senza esserlo, e aveva tentato di introdursi nell'abitazione della donna con l'inganno, adducendo la scusa della sostituzione del libretto postale e minacciando la persona offesa di verbalizzare il suo rifiuto, pur senza averne nessuna autorità. I giudici, proprio dalle modalità di estrinsecazione della condotta, desunte in maniera coerente dalle risultanze delle indagini, hanno dedotto la direzione univoca degli atti ad ottenere l'accesso con l'inganno all'abitazione della donna e la loro funzionalità a commettere il delitto contestato. In tal modo il Tribunale, con una motivazione congrua e logica che non può qui essere sindacata (Sez. 2, n. 46288 del 28/06/2016, Musa, Rv. 268360 - 01) e conforme ai principi di diritto sopra richiamati, ha espressamente ravvisato atti univocamente diretti alla commissione del furto in abitazione, rilevando che l'intenzione del soggetto agente nel voler fare ingresso nella casa della donna non poteva che essere quella di sottrarre i beni ivi presenti.
Di contro la censura del ricorrente appare inammissibile, in quanto meramente reiterativa di quella già formulata in sede di riesame, in assenza di confronto con il percorso argomentativo dell'ordinanza impugnata. Ad esso il ricorrente non contrappone argomenti in fatto o in diritto, ma solo una generica ed apodittica critica fondata su mere petizioni di principio, del tutto svincolate dalla fattispecie concreta contestata.
Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità (cfr. C. Cost. n. 186/2000)
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.