
|
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
Con atto di citazione ritualmente notificato al convenuto T.A., Z.M. ne ha chiesto la condanna al risarcimento dei danni subiti in conseguenza della vendita coattiva dell’immobile di sua proprietà, sito in Rimini alla Via (omissis), a conclusione della procedura esecutiva immobiliare n. 76/2017 iniziata sulla base del decreto ingiuntivo n. 2161/2016 emesso dal Tribunale di Rimini nei suoi confronti e a favore del T.A., fondato su una scrittura privata con sottoscrizione – come dimostrerebbe la relazione del proprio perito grafologo – apocrifa e contenente il riconoscimento di un debito in realtà insussistente. Il danno prodotto dalla procedura esecutiva, non sospesa malgrado l’opposizione ex art. 624 c.p.c. della Z.M., sarebbe qualificabile come da fatto illecito ai sensi dell’art. 2043 c.c. in quanto determinato dall’utilizzo di una prova falsa, ed ammonterebbe alla somma del prezzo pagato per il suo acquisto (Euro 105.000,00), del costo dei lavori eseguiti per il rifacimento degli impianti, del costo degli arredi, dei canoni di locazione perduti (pari ad Euro 480,00 mensili) e dovuti sulla base di un contratto stipulato con terzi ed avente scadenza al 30.1.2021; a ciò andrebbe aggiunto il danno non patrimoniale ai sensi dell’art. 2059 c.c. consistente nella grave sofferenza interiore accusata dalla Z.M., che avrebbe iniziato ad avere crisi depressive. Infine, chiedeva l’attrice che venisse irrogata nei confronti del convenuto la sanzione pecuniaria di cui all’art. 4 del d. lgs 7/2016, per avere egli falsificato ed utilizzato la scrittura privata di riconoscimento di debito.
T.A. si è costituito in questo giudizio rilevando, preliminarmente, l’improcedibilità della domanda perché volta a rimettere in discussione temi e circostanze già coperti da giudicato. Sosteneva poi, nel merito, la bontà del titolo esecutivo ottenuto, allegando a sua volta una perizia grafologica basata sulla comparazione tra la sottoscrizione della Z.M. apposta alla ricognizione del debito e la firma apposta dalla stessa su altri documenti. In ragione di ciò chiedeva anche la condanna della parte attrice ai sensi dell’art. 96 c.p.c.
La causa, istruita documentalmente, veniva trattenuta in decisione all’udienza del 21/10/2021 con assegnazione alle parti dei termini ex art. 190 c.p.c., e, quindi, rimessa sul ruolo per l’espletamento di una CTU grafologica, del cui esito si darà conto. Le parti hanno nuovamente precisato le conclusioni all’udienza del 23/5/2023 con assegnazione di termini ex art. 190 c.p.c., ridotto a trenta giorni quello per il deposito della comparsa conclusionale.
***
La domanda dell’attrice è parzialmente fondata, per le ragioni di seguito esposte.
Non v’è dubbio che Z.M. avesse a disposizione rimedi processuali tipici per reagire alla altrui condotta illecita consistita – secondo la prospettazione attorea, la cui fondatezza si andrà a verificare
- nella formazione e nell’utilizzo di una scritta privata falsa. Innanzitutto, la Z.M. avrebbe potuto introdurre un’opposizione ex art. 645 c.p.c. avverso il decreto ingiuntivo, e con questa contestare la scrittura e la pretesa fatta valere dal T.A. con il ricorso monitorio; deduce però l’attrice che la notificazione del decreto ingiuntivo sarebbe stata irregolare, in quanto eseguita in Italia ai sensi dell’art. 143 c.p.c. malgrado il T.A. fosse a conoscenza della nuova residenza estera della Z.M.; ma anche per tale ipotesi l’ordinamento appresta rimedi tipici: come precisato in Cass. Ordinanza n. 9050/2020, in tema di esecuzione forzata intrapresa sulla base di un decreto ingiuntivo, occorre distinguere tra l'ipotesi di deduzione della inesistenza della relativa notificazione da quella in cui se ne deduce viceversa la nullità, in quanto nel primo caso è proponibile il rimedio dell'opposizione all'esecuzione a norma dell'art. 615 c.p.c., nel secondo caso quello dell'opposizione tardiva ai sensi dell'art. 650 c.p.c., da esperirsi entro il termine di cui al terzo comma. La Z.M. aveva in effetti presentato un’istanza di sospensione della procedura esecutiva immobiliare ai sensi dell’art. 624 c.p.c., che il G.E. aveva rigettato con ordinanza del 3/4/2018 assegnando termine per l’introduzione del giudizio di merito che tuttavia non risulta sia mai stato iniziato.
Tuttavia, la protratta inerzia della Z.M., con le sue conseguenze del giudicato sostanziale sul decreto ingiuntivo e della definitività della aggiudicazione del bene aggredito dal T.A. in sede esecutiva, non le impediscono – in astratto - di ottenere soddisfazione del preteso danno cagionatole dalla condotta asseritamente illecita del convenuto. Illuminanti indicazioni al riguardo si rinvengono in una recente pronuncia della S.C. (Cass. n. 1169 del 2022) emessa in una fattispecie del tutto analoga a quella che ci occupa e vertente su di una domanda di condanna al risarcimento del danno conseguente all’esecuzione di un decreto ingiuntivo ottenuto sulla base di due scritture private false, in presenza di una sentenza ex art. 444 c.p.p. per il reato di falso relativo a dette scritture. Richiamando un risalente precedente (Cass. n. 3060 del 1984) la Corte di legittimità ha ribadito che l'esercizio del potere-dovere attribuito al giudice penale dall’art. 185 c.p., derivante dalla competenza funzionale del giudice penale ed inteso a statuire ed attuare concretamente l'obbligazione risarcitoria che consegue immediatamente e direttamente al fatto-reato, non può trovare ostacolo in un provvedimento giurisdizionale passato in giudicato che, in sede civile, sulla base delle prove accertate poi false dal giudice penale, abbia stabilito una situazione giuridica sostanziale in favore del soggetto che ha precostituito ed utilizzato in giudizio le prove false in danno dell'altra parte; ciò in quanto la sentenza del giudice penale di accertamento del fatto-reato costituito dalla falsificazione della prova e della sua utilizzazione in giudizio travolge gli effetti del giudicato civile poiché alla situazione giuridica sostanziale da esso creata, sulla base delle prove accertate false, automaticamente ne sostituisce una diversa, che è l'obbligazione dell'autore ed utilizzatore delle prove false al risarcimento del danno, nel duplice aspetto della restituzione di quanto conseguito e nella riparazione del pregiudizio ulteriore; osserva peraltro la Corte che lo stesso disposto dell'art. 185 c.p. lascia chiaramente intendere che, su di un piano generale, qualsiasi comportamento che integri un fatto reato obbliga l'autore del fatto al risarcimento del danno che ne sia derivato alla vittima e sarebbe illogico ritenere che tale principio venga meno solo che la parte non abbia ritenuto di esperire la revocazione, che ha la diversa funzione di porre nel nulla, sotto il profilo processuale, la sentenza viziata, quando tale caducazione non potrebbe più corrispondere ad alcun suo interesse sostanziale.
I suesposti principi si ritiene siano applicabili anche al caso di specie, in cui risulta che un procedimento penale non sia mai stato iniziato, considerato da un lato che il reato di falsità in scrittura privata di cui all’art. 485 c.p., era già stato depenalizzato -ad opera del d. lgs 7/2016- ancor prima dell’utilizzo da parte del T.A. della scrittura (il che avrebbe privato di qualsiasi utilità una denuncia all’autorità penale da parte della Z.M.), e, dall’altro, che la condotta consistente nel formare o utilizzare una falsa scrittura privata continua ad essere illecita, nei termini di cui all’art. 4 d. lgs 7/2016, comma 4, lett. a), ai sensi del quale soggiace alla sanzione pecuniaria civile da euro duecento a euro dodicimila “chi, facendo uso o lasciando che altri faccia uso di una scrittura privata da lui falsamente formata o da lui alterata, arreca ad altri un danno”; peraltro un’indicazione in tal senso si rinviene nel successivo art. 8 co. 1, secondo cui la competenza ad applicare la sanzione spetta al giudice “competente a conoscere dell'azione di risarcimento del danno”, e co. 2, che fissa il presupposto dell’irrogazione della sanzione nell’accoglimento della domanda risarcitoria proposta dalla persona offesa (“Il giudice decide sull'applicazione della sanzione civile pecuniaria al termine del giudizio, qualora accolga la domanda di risarcimento proposta dalla persona offesa”).
Fatta questa premessa circa l’ammissibilità della domanda risarcitoria può passarsi ad esaminare le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, dandosi previamente conto dell’eccezione -infondata- di nullità della consulenza formulata da parte convenuta. Nella prima relazione il CTU, depositata il 9/12/2022, malgrado il puntuale quesito del Giudice gli richiedesse di assumere quali scritture di comparazione i documenti già ritualmente prodotti a tale scopo da entrambe le parti, ometteva di esaminare le firme di cui ai documenti 2 e 3 di parte convenuta, consistenti in due richieste di visto recanti l’una la data del 19/4/2006, l’altra la data del 30/1/2007, ritenendone non provata la riferibilità all’attrice. A fronte del rilievo di parte convenuta, fatto proprio dal Giudice, il CTU in un primo momento insisteva nella propria posizione, allegando a dimostrazione della falsità delle scritture di comparazione una risposta fornita dall’Ambasciata d’Italia a Tirana al quesito del CTP della Z.M. circa le modalità prescritte da quell’Ufficio per l’inoltro delle richieste di visto; successivamente, a seguito di apposita convocazione a chiarimenti, il CTU integrava l’indagine con l’esame dei predetti documenti, ed i risultati venivano esposti in una seconda relazione di CTU, depositata il 19/4/2023, poi ampliata con quella del19/5/2023. Parte convenuta insiste tuttavia nella propria comparsa conclusionale per la nullità della consulenza, sostenendo che si sarebbe prodotto un danno esiziale tale da minare l’affidabilità del CTU e la sua imparzialità (“La credibilità del CTU distrutta e persa, la verginità mentale del peritus peritorum spazzata via”). Poiché però nel procedimento civile le parti possono avanzare richiesta di produzione di qualsiasi documento in qualunque momento del processo, e ciò impone al Giudice di esaminare il documento per verificare se la parte sia incorsa o meno in preclusioni istruttorie senza per ciò solo divenire incompatibile, non si ritiene che un simile effetto possa prodursi sull’ausiliario del giudice che abbia preso visione di un documento inammissibile. Fermo restando, dunque, che la produzione è indubbiamente tardiva e che non potrà tenersene conto, e dato atto che il CTU ha travalicato il suo compito facendosi tramite di quella irrituale produzione della parte controinteressata all’utilizzo delle scritture di comparazione, condotta che tuttavia non vi è motivo di ritenere sintomatica di un pregiudizio ma piuttosto di un difetto di dimestichezza con le regole del processo civile, può passarsi ad esaminare i risultati dell’indagine.
Osservava il CTU nella prima relazione che il tracciato grafico della firma in verificazione manca di naturalezza e spontaneità grafica; che trattasi di una firma vergata con lentezza e controllo sugli automatismi grafomotori, caratterizzata da accuratezza grafica, vergata mantenendo pedissequamente l’orizzontalità del rigo di base, che rivela una staticità non compatibile con la spontaneità e variabilità delle autografe comparative, le quali, seppur tra loro variabili, hanno una movimentazione grafica più dinamica e scattante, con lettere che si sollevano rispetto al rigo e scendono al di sotto di esso con movimenti scattanti, anche quando si tratta di rigo prestampato. Ulteriori differenze tra la firma in verifica e le firme di comparazione si rileva nella inclinazione degli assi letterali: nelle autografe comparative le oscillazioni sono sì variabili ma mai si presentano con assi paralleli e pendenti a destra come invece si riscontra nella firma in verifica. Terza differenza sta nell’energia impressa nella scrittura, maggiore nelle firme di comparazione rispetto a quella in verifica, dove invece l’accuratezza ed il controllo frenano il ritmo grafico e creano tratti ascendenti marcati rispetto a quelli discendenti, più sottili. In conclusione, per il CTU, al di là della somiglianza esteriore formale tra le firme autografe e quella in verifica, le rispettive caratteristiche le fanno ritenere non vergate dalla stessa mano. Le differenze, ad avviso di questo giudicante, sono sostanziali e rilevabili ictu oculi anche da parte del non esperto della materia: mentre nella scrittura in verificazione le lettere della firma in calce hanno tutte l’estremità inferiore in appoggio su una stessa linea retta, le firme comparative di indubbia autenticità, ossia quelle apposte sulla patente del 2004, sul passaporto del 2013, sulla carta d’identità del 2021 e su un atto pubblico del gennaio 2006, nonché tutte le firme dei saggi grafici eseguiti, hanno la base irregolare, con alcune lettere che poggiano sul rigo, altre che lo attraversano e altre ancora che non arrivano a toccarlo. Parimenti evidente è la pressione esercitata sul foglio, minore nella firma in verificazione, e la differenza nella inclinazione delle lettere, che è uniformemente verso destra nella firma in verificazione ed invece assai variabile nelle firme comparative e nei saggi grafici. Con la relazione del 19/4/2023 il CTU ha preso in esame le richieste di visto prodotte da parte convenuta, ed ha fatto notare che mentre la firma di cui al doc. 3 (richiesta di visto del 30/1/2007) presenta quel difetto di accuratezza, quella maggiore variabilità grafica e le movenze angolose che caratterizzano le altre comparative, e può dirsi autografa, la firma in calce al doc. 2 (richiesta di visto del 19/4/2006), contraddistinta da movenze di base morbide e curvilinee, da una inclinazione degli assi letterali rivolta prevalentemente a destra e da una complessiva orizzontalità del posizionamento rispetto al rigo di base, è di dubbia autenticità e presenta delle similarità formali con la firma in verifica. Con la relazione del CTU del 19/5/2023 il CTU ha precisato che la firma in verificazione e la firma di cui al doc. 2 provengono dalla medesima fonte grafomotoria, ossia appartengono alla stessa mano, che non è quella della Z.M..
L’esito dell’accertamento depone dunque per la falsità della firma in calce al riconoscimento di debito, che è stata apposta dalla stessa mano che ha sottoscritto il doc. 2 prodotto dal T.A.. A nulla rileva che il difensore della Z.M. in prima udienza fosse rimasto silente riguardo le due scritture di cui ai doc. 2 e 3 di parte convenuta, per le seguenti considerazioni: da un lato la Z.M. non può certamente stravolgere a piacimento la propria grafomotricità, pertanto non può aver vergato tutte le firme esaminate (quella in verifica, il doc. 2 e le altre comparative così dissimili dalle prime); dall’altro lato non può ragionevolmente dubitarsi che l’attrice abbia sottoscritto l’atto pubblico ed i documenti di riconoscimento prodotti, che pertanto sono certamente autentici – ne deriva che questi li ha firmati la Z.M. e gli altri documenti li ha firmati qualcun altro. Ma, a monte, avendo la difesa di parte attrice espressamente negato all’udienza del 27/4/2023 che quelle sottoscrizioni di cui ai docc. 2 e 3 appartengano alla Z.M., tanto basta per espungerle dal novero delle scritture comparative. Infatti l'idoneità di una scrittura privata alla funzione di comparazione richiede il dato positivo del riconoscimento espresso ovvero tacito per non esserne stata mai contestata l'autenticità (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 17794 del 06/09/2005; trattasi di indirizzo frutto di una evoluzione, atteso che secondo Cass. Sez. 3, Sentenza n. 4866 del 25/10/1978 l’art. 217 c.p.c. andava interpretato nel senso che il giudice non potesse utilizzare quali scritture di comparazione le scritture riconosciute soltanto tacitamente nelle forme di cui all'art 215 cod proc civ per il mancato disconoscimento da parte di colui cui sono attribuite). Non vi sono poi elementi esterni che lascino dubitare della affidabilità dell’accertamento tecnico svolto; non era parte attrice a dover provare il fatto negativo della inesistenza di un debito verso il T.A. e l’argomento fatto valere dalla difesa del convenuto, secondo cui la Z.M. al tempo dell’acquisto dell’immobile di via (omissis), degli arredi e dei lavori edili menzionati nella scrittura non aveva la disponibilità economica per i relativi esborsi e perciò li chiese al T.A., non autorizzerebbe a qualificare la dazione quale mutuo, concesso come afferma il T.A. “per familiarità”, ben potendo essersi trattato di erogazioni liberali, considerato il rapporto di stretta confidenza che a quel tempo legava le parti – non è contestato infatti quanto affermato dall’attrice in prima memoria, ossia che il T.A. andò a trovare la Z.M. in Francia, a Parigi e, alla sua partenza, ricondusse il figlio della Z.M. in Italia presso la zia sorella dell’attrice.
La firma in calce al riconoscimento di debito è, in conclusione, apocrifa e – con elevata probabilità – l’ha apposta il T.A., risultato in possesso anche del doc. 2 firmato dalla stessa mano che ha falsificato la prima. L’illecito è stato causa diretta della perdita patrimoniale subita dalla Z.M. atteso che il decreto ingiuntivo non opposto si fondava su quel solo documento; l’ingiustizia del danno sussiste perché se pure un debito fosse sorto la sua soddisfazione doveva passare attraverso il corretto accertamento dei fatti; peraltro il T.A. non articola prove sulla parte più consistente dell’asserito prestito, ma soltanto sui lavori e gli arredi che avrebbe pagato o eseguito personalmente con la sua ditta edile.
Venendo alla determinazione del danno risarcibile si osserva innanzitutto, quanto all’immobile espropriato nella procedura esecutiva, che nessuno ha prodotto la CTU estimativa certamente depositata in quel procedimento, pertanto non se ne conosce il valore di mercato individuato in detta sede; inoltre, l’attrice non produce l’atto di acquisto (il doc. 7 indicato in citazione non è tra gli allegati dell’atto depositato nel fascicolo telematico) - ma, in ogni caso, si osserva che il danno non coincide necessariamente con il prezzo per cui l’aveva comprato, che potrebbe anche essere superiore a quello di mercato; ancora, l’attrice omette qualsiasi descrizione del bene, il che renderebbe una CTU del tutto esplorativa. Poiché tuttavia l’attrice indica in euro 82.000 il prezzo di aggiudicazione del bene nella procedura esecutiva, cifra che il T.A. – che di quella procedura era il creditore esecutante – ben conosce e non contesta, e considerato che pressoché invariabilmente nelle vendite coattive gli immobili sono venduti a prezzo inferiore a quello di mercato, può liquidarsi questa voce di danno in una somma pari al prezzo di aggiudicazione del bene, con la ragionevole certezza di non attribuire all’attrice più di quanto le è dovuto. Non possono invece liquidarsi i canoni di locazione perduti, non essendo provato quanti di questi canoni sono stati effettivamente incamerati dalla procedura esecutiva perché regolarmente pagati dal conduttore; neppure è dimostrato il valore dei lavori eseguiti sull’immobile per la ristrutturazione degli impianti. Non vi è allegazione sufficiente, infine, in ordine alle crisi depressive ed alla loro riconducibilità all’accaduto e dunque non può avere ingresso una CTU medico-legale per la stima del danno alla salute.
In conclusione, l’unico danno dimostrato è quello di tipo patrimoniale consistente nella perdita della proprietà dell’immobile, che deve essere liquidato nella somma di euro 82.000, oltre interessi e rivalutazione.
Il T.A. deve inoltre essere condannato alla sanzione pecuniaria di cui all’art. 4 d. lgs 7/2016, comma 4, lett. a), che, considerata la gravità della violazione e l’arricchimento che ne è derivato al suo autore, si ritiene congruo fissare in euro 2.000.
Le spese del giudizio, per compensi di difesa e del CTP di parte attrice, sono liquidate a carico del soccombente T.A. ed in favore della Z.M., come in dispositivo, avuto riguardo al valore della lite ed alla sua complessità. In capo al T.A. deve stare in via definitiva il compenso già liquidato al CTU con separato decreto.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla domanda, così provvede:
- dichiara che la firma in calce alla scrittura privata di riconoscimento di debito datata 21/2/2012 prodotta come doc. 3 in allegato alla citazione non appartiene a Z.M.;
- condanna T.A. al risarcimento del danno patrimoniale in favore di Z.M., che si liquida in euro 82.000 oltre interessi e rivalutazione;
- condanna T.A. a versare all'entrata del bilancio dello Stato ai sensi dell’art. 4 co. 4 lett.
a) d. lgs. 7/2016 la sanzione pecuniaria di euro 2.000;
- rigetta ogni altra domanda;
- condanna T.A. alla rifusione in favore di Z.M. delle spese del presente giudizio, che si liquidano in Euro 7.616 oltre accessori di legge (spese generali al 15%, Iva e Cpa) per compensi di difesa, in euro 555,53 per esborsi, in euro 1.354 per spese di CTP;
- pone le spese di CTU definitivamente a carico di T.A., con obbligo di tenere indenne parte attrice di quanto abbia già pagato o sia costretta a pagare al CTU in forza del vincolo di solidarietà.