
Una volta accertata la mancata rinunzia al compenso da parte del singolo, l'obbligo di solidarietà resta in ragione di quanto stabilito dall'art. 814 c.p.c., non venendo tale obbligo inciso dalla dichiarazione dell'arbitro che riconosce unicamente le spese del Presidente.
Riformando parzialmente la sentenza di primo grado, il Tribunale di Roma condannava la società attuale ricorrente a corrispondere una certa somma nei confronti dell'avvocato a titolo di onorari per l'attività di arbitro svolta nell'ambito del collegio di conciliazione ed arbitrato in relazione ad una sanzione disciplinare comminata a un dipendente.
Contro tale...
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 13767/2017, pubblicata il 6 luglio 2017, in riforma della sentenza del Giudice di Pace di Roma, condannava T. s.p.a. a corrispondere all’avv. G. F., per l’attività di arbitro, svolta nell’ambito del collegio di conciliazione e arbitrato, previsto dall’art. 7 l. n. 300/1970 in relazione alla sanzione disciplinare, comminata da T. al proprio dipendente P. G., la somma di euro 2.458,22 a titolo di onorari per l’attività di arbitro, oltre interessi legali dalla domanda giudiziale al saldo.
T. s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, impugnando la sentenza indicata in epigrafe.
G. F. si è costituito con controricorso. T. s.p.a. ha depositato memoria.
La causa è stata posta in decisione all’udienza camerale del 5 ottobre 2023.
Con il primo motivo la ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. 814 c.p.c., deducendo che il Tribunale avrebbe erroneamente disatteso l’eccezione di improponibilità della domanda relativa alla liquidazione degli onorari, ritenendo che gli arbitri non fossero tenuti obbligatoriamente ad esperire la procedura speciale prevista dalla disposizione sopra evocata, risultando la giurisprudenza di questa Corte richiamata dal giudice di appello meritevole di rivisitazione alla luce di quanto affermato in più recenti pronunce di questa stessa Corte.
Il lodo, limitando la liquidazione delle spese al solo Presidente, avrebbe escluso la sussistenza di un obbligo solidale delle parti rispetto agli altri arbitri, determinando l’insorgere del diritto dell’arbitro al pagamento dei propri compensi solo nei confronti della parte che l’aveva incaricato, una volta che nel lodo era stato chiarito che T. avrebbe riconosciuto unicamente gli onorari del Presidente, facendo così venire meno l’obbligo di solidarietà.
Con il secondo motivo si deduce la violazione dell’art. 814 c.p.c., impugnando la sentenza nella parte in cui aveva ritenuto non rinunziato il compenso dell’Avv. F. in mancanza di una manifestazione di volontà espressa ed inequivoca, in realtà mai intervenuta. Secondo la ricorrente l’infondatezza della richiesta nasceva dal fatto che il collegio arbitrale, nel riconoscere unicamente le spese e l’onorario del Presidente, aveva escluso qualunque onere solidale rispetto agli altri due arbitri, lasciando inalterato il diritto dell’arbitro a richiedere il compenso in base al rapporto di mandato con la parte che glielo aveva conferito.
Con il terzo motivo si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti e la violazione dell’art. 412 quater, 814 e 810 c.p.c. Il Tribunale avrebbe omesso di vagliare quanto dedotto in comparsa conclusionale a proposito dell’applicabilità al procedimento arbitrale della disciplina normativa suindicata in tema di arbitrati di lavoro, per i quali è escluso l’obbligo a carico delle parti circa gli oneri dei componenti del collegio diversi dal presidente, tanto più che nel lodo reso fra le parti l’obbligo di solidarietà aveva riguardato unicamente i soli compensi del Presidente stesso. Conclusione che, in ogni caso sarebbe derivata dalla stessa disciplina processuale prevista dall’art. 814 c.p.c.
Con il quarto motivo si deduce la violazione del D.M. n.127/2004. Il giudice di appello avrebbe errato nel liquidare i compensi dell’arbitro considerando il valore indeterminabile della controversia, invece da considerare determinata nel suo ammontare con riferimento all’importo della sanzione disciplinare.
Con il quinto motivo si deduce la violazione del D.M. n.127/2004 per l’errata quantificazione del compenso, non avendo il Tribunale nemmeno valutato gli elementi dedotti nelle difese.
Il primo motivo è inammissibile.
Il Tribunale ha deciso la questione della proponibilità in sede contenziosa ordinaria della domanda di determinazione del compenso dell’arbitro in sede di arbitrato irrituale in piena conformità del diritto vivente di questa Corte, puntualmente ricordato dal giudicante -Cass. n.8872/2006-.
Il revirement sollecitato dalla ricorrente a questa Corte non trova alcuna plausibile giustificazione, avendo le S.U. chiarito che “non appare a tale proposito contestabile che le parti e gli arbitri possano direttamente ricorrere per la determinazione del compenso degli arbitri ad un ordinario processo di cognizione o ad un procedimento monitorio. Da ciò deve necessariamente concludersi che il procedimento speciale previsto dall’articolo 814 c.p.c., quale via alternativa al processo ordinario, necessariamente effettua un accertamento che coinvolge diritti avendone la medesima natura giurisdizionale. Tale natura, del resto, non potrebbe essere negata in ragione delle forme semplificate che lo contraddistinguono, poiché l’utilizzo di procedimenti sommari non esclude la loro funzione di risolvere una controversia tra parti contrapposte” -Cass. S.U. n. 25045/2016-. Principio confermato incidentalmente, come pure ricorda il controricorrente, anche dalle precedenti, da Cass. S.U. nn. 15586 e 15592 del 2009.
Ne consegue l’inammissibilità del primo motivo.
- Il secondo motivo è infondato.
L’art. 814 c.p.c. chiarisce che: “Gli arbitri hanno diritto al rimborso delle spese e all'onorario per l'opera prestata, se non vi hanno rinunciato al momento dell'accettazione o con atto scritto successivo. Le parti sono tenute solidalmente al pagamento, salvo rivalsa tra loro. Quando gli arbitri provvedono direttamente alla liquidazione delle spese e dell'onorario, tale liquidazione non è vincolante per le parti se esse non l'accettano. In tal caso l'ammontare delle spese e dell'onorario è determinato con ordinanza dal presidente del tribunale indicato nell’articolo 810, secondo comma, su ricorso degli arbitri e sentite le parti”.
Ciò posto, il Tribunale ha ritenuto T. obbligata al pagamento del compenso dell’arbitro che nel procedimento di conciliazione ed arbitrato per la sanzione disciplinare comminata al P. promosso ai sensi dell’art.7 l.n.300/1970 era stato nominato da quest’ultimo, ritenendo che non vi era alcuna prova di rinunzia al compenso da parte del F.. Ora, la ricorrente sostiene che l’obbligo di solidarietà sarebbe venuto meno per effetto del lodo nel quale erano state liquidati unicamente i compensi del Presidente e l’arbitro di T. aveva dichiarato di riconoscere unicamente i compensi liquidati per il Presidente.
Tale tesi è priva di fondamento, operando una riduzione ad unità di questioni che appaiono diverse e diversamente disciplinate dal richiamato parametro normativo (art.814 c.p.c.) il quale per un verso si occupa del diritto al compenso degli arbitri dovuto in via solidale da entrambe le parti a meno che vi sia rinunzia e, per altro verso delle modalità di riconoscimento del compenso stesso, indicate nell’art. 814 medesimo, salvo quanto si è già detto a proposito dell’esame del primo motivo.
Ne consegue che, una volta acclarata in modo irrefutabile -in quanto non oggetto di impugnazione- l’affermazione del Tribunale per cui non vi era stata rinunzia da parte dell’Avv. F., l’obbligo di solidarietà permane in ragione di quanto previsto dall’art. 814, non venendo lo stesso inciso dalla dichiarazione dell’arbitro di T. che riconosceva unicamente le spese del Presidente, in assenza di liquidazione delle spese per gli altri componenti del collegio, affidato alla sede giudiziale secondo la disciplina prevista dal primo comma dell’art. 814 c.p.c.
Il terzo motivo è inammissibile, introducendo un tema d’indagine che la stessa ricorrente riferisce di avere prospettato per la prima volta in comparsa conclusionale -pag.8 ricorso per cassazione, ove si fa esplicito riferimento alla comparsa conclusionale di T. nella quale risulta proposta la questione alle pagg.8 e 9- in tal modo riconoscendo di non averlo in alcun modo posto a base dell’atto di costituzione nel giudizio di primo grado innanzi al Giudice di Pace né nel corso del giudizio di appello.
In sostanza, la censura attiene alla applicabilità al procedimento promosso dall’Avv. F. di una disciplina normativa in materia di lavoro incidente, a dire della ricorrente, sulla possibilità stessa di azionare il diritto al compenso dell’arbitro nei confronti del solo soggetto che ebbe a nominare l’arbitro e non dunque secondo il regime di solidarietà previsto dall’art. 814 c.p.c. Si tratta di questione tesa a paralizzare la domanda di riconoscimento del compenso non proposta ritualmente nel corso del giudizio di primo grado che non può dunque essere esaminata in sede di legittimità dovendosi ritenere per l’effetto inammissibile la censura di omesso esame prospettata nel motivo né quella di violazione di legge.
Il quarto motivo è infondato.
Al fine di determinare il valore della causa la quantificazione della perdita pecuniaria conseguente ad una sanzione pecuniaria irrogata dal datore di lavoro ad un suo dipendente costituisce criterio del tutto insufficiente allorquando, ponendosi in discussione la legittimità della sanzione stessa e quindi censurandosi il comportamento del datore di lavoro, viene in discussione l'esistenza di un diritto non già limitato alle conseguenze economiche bensì esteso a tutti i riflessi ulteriori, quali la recidiva, la graduazione di successive sanzioni, la preclusione a progressioni di carriera, riflessi questi che, non essendo quantificabili, rendono la causa di valore indeterminabile-cfr.Cass.n.3385/1986-.
A tali principi si è correttamente attenuto il giudice di appello, considerando che nel procedimento disciplinare sul quale il collegio arbitrale fu chiamato a statuire, concernente la legittimità della sanzione irrogata dal datore di lavoro, venivano in discussione questioni non limitate agli aspetti di natura economica, ma più in generale al rapporto di lavoro intercorso con il lavoratore. Ed infatti, l'applicazione della sanzione può esplicare un'incidenza sullo status del lavoratore implicando un giudizio negativo che va oltre il valore strettamente economico della sanzione stessa ed involge la correttezza, la diligenza e la capacità professionale del lavoratore - cfr. Cass. n.5443/1988, Cass. n.24978/2018-. Circostanze che, conseguentemente, determinano l’incidenza della sanzione sulle dinamiche successive del rapporto lavorativo in caso di irrogazione della sanzione stessa. Il che giustifica la considerazione della questione oggetto di arbitrato di valore indeterminabile.
Il quinto motivo è inammissibile, non aggredendo la decisione che ha liquidato il compenso all’arbitro sulla base della tabella D della tariffa stragiudiziale indicata all’art. 5.7 del D.M. n. 140/2004, fondandosi sulle singole voci della tabella, e considerando peraltro una quantificazione complessiva correlata ai minimi tariffari in relazione al peso della controversia.
Ne consegue che le questioni non esaminate dal Tribunale appaiono non decisive ai fini della decisione assunta dal giudice di appello e vanno pertanto dichiarate inammissibili anche per ciò che riguarda la riduzione della metà degli onorari per la materia lavoristica trattata che il Tribunale ha evidentemente considerato indicando i minimi.
Il ricorso va quindi rigettato.
Le spese seguono la soccombenza
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in favore del F. in euro 2.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.