In assenza di apposita domanda, non può nemmeno sindacare la legittimità dell'intervento di un creditore nell'esecuzione.
Svolgimento del processo
1. L’antefatto.
La società U. s.p.a. nel 2008 concesse un mutuo alla società G. s.r.l. (d’ora innanzi, “la G.”).
Il mutuo fu garantito da due ipoteche:
-) una sui beni della debitrice G.;
-) l’altra sui beni della società B. Costruzioni s.r.l., terzo datore d’ipoteca (d’ora innanzi, “la B.”).
Il debito non venne restituito e la U. iniziò l’esecuzione forzata pignorando sia i beni della debitrice G., sia i beni della terza datrice d’ipoteca B..
Nelle more dell’esecuzione, la U. cedette pro soluto il credito alla N. SPV s.r.l. (d’ora innanzi, “la N.”), che in veste di cessionaria intervenne nella procedura esecutiva.
2. Pendente l’esecuzione, la N. intervenne (tardivamente) vantando due ulteriori crediti:
-) con un primo intervento del 18.11.2016 (tale è la data che si legge nel piano di riparto; nella sentenza impugnata si legge invece “17.11.2016”; la differenza è tuttavia irrilevante per i fini che qui rilevano) azionò un credito di 7 milioni di euro fondato su un decreto ingiuntivo;
-) con successivo intervento del 18.7.2017 azionò un credito di euro 26.886,80, scaturente da titolo giudiziale (condanna alle spese non meglio precisata nel ricorso).
3. Dalla vendita dei beni pignorati, e dal ricavato dell’affitto di essi durante la custodia giudiziale vennero ricavati complessivamente 36.844.892,99 euro.
4. Di tale somma, 31 milioni vennero accollati dall’aggiudicatario, ex art. 585 c.p.c..
La parte restante, dedotti i crediti in prededuzione (circa 5 milioni di euro), vennero dal progetto di distribuzione assegnati alla N..
5. La controversia distributiva.
Tra il deposito del progetto di distribuzione (24.10.2017) e l’udienza ex 596 c.p.c. per l’approvazione di esso (31.1.2018) la società B. fu dichiarata fallita.
La curatela intervenne nell’esecuzione (20.2.2018) formulando osservazioni sul progetto di distribuzione e chiedendo di partecipare al riparto per circa 4 milioni di euro complessivi.
In particolare, con l’atto di intervento in sede distributiva la curatela del fallimento B. articolò tre domande.
5.1. La prima domanda può così riassumersi:
(a) i beni venduti coattivamente erano per l’89% di proprietà della G. (debitrice), e per l’11% di proprietà della B. (terza datrice d’ipoteca);
(b) di conseguenza, l’11% della somma ricavata era frutto della vendita forzata dei beni della B., e parimenti l’11% del credito ipotecario della banca doveva ritenersi pagato col ricavato dei beni della B.;
(c) l’11% del credito ipotecario vantato dalla banca verso G. era pari a 3,46 milioni di euro, mentre l’11% del ricavato della vendita di tutti i beni era pari ad euro 4,05 milioni;
(d) dalla vendita dei beni della B., era stato ricavato un importo eccedente la “quota ideale di debito” garantita da quei beni, con un surplus di 593.082,28 euro.
5.2. Con una seconda domanda la curatela del fallimento B. dichiarò di volersi surrogare alla N. nel credito da questa vantato verso la G., ai sensi dell’art. 1203, n. 3, c.p.c., e che pertanto per questo credito aveva diritto di concorrere con la N., in via proporzionale, sul ricavato della vendita.
5.3. Infine, con una terza domanda il fallimento della B. contestò l’inserimento nel piano di riparto del credito vantato dalla N. con l’intervento del 18.7.2017 (euro 26.000 circa per spese legali, portato da titolo giudiziale), deducendo che per tale importo la N. si era già insinuata al passivo del fallimento B..
6. Anche la debitrice esecutata, G., formulò osservazioni al progetto di distribuzione. Contestò la qualità di cessionaria del credito in capo alla N., e dedusse l’esistenza di parallele controversie oppositive, che consigliavano la sospensione della distribuzione del ricavato.
7. Il Giudice dell’esecuzione con ordinanza ex art. 512 c.p.c. del 21.3.2018 rigettò sia i rilievi formulati dalla G., sia le istanze del fallimento B.. Col medesimo provvedimento dichiarò esecutivo il progetto di distribuzione ed ordinò al professionista delegato di eseguire i pagamenti in esso previsti.
8. I fatti di causa.
Avverso il provvedimento del 21.3.2018, col quale il giudice dell’esecuzione provvide sulle contestazioni al progetto di distribuzione, vennero proposte due distinte opposizioni agli atti esecutivi: l’una dalla G. (debitrice esecutata), l’altra dal fallimento della B. (che, come s’è visto, era il terzo datore d’ipoteca).
All’esito della fase sommaria della procedura oppositiva, il Giudice dell’esecuzione negò la sospensione delle operazioni di distribuzione del ricavato, condannando le due opponenti alle spese.
I pagamenti alla N. furono eseguiti il 3.9.2018.
9. Il giudizio di merito dell’opposizione fu introdotto dalla sola curatela del fallimento, ed in esso si costituì la sola N..
Pendente tale giudizio, la debitrice esecutata G. fu dichiarata fallita il 17.12.2018.
Il giudizio di opposizione fu dichiarato interrotto (31.1.2019) e poi riassunto dalla curatela del fallimento B.. La curatela della G. dopo la riassunzione non si costituì.
10. Con sentenza 7.5.2021 n. 991 il Tribunale di Verona adottò un articolato provvedimento, col quale statuì quanto segue.
10.1. Quanto alla richiesta del fallimento B. di attribuzione della somma di euro 593.082,28 quale “eccedenza del ricavato” della vendita dei beni di proprietà B., il Tribunale l’ha ritenuta infondata, statuendo che il creditore ipotecario è libero di soddisfarsi su tutti i beni gravati da ipoteca in suo favore, che siano essi del debitore o di terzi, senza preferenze e senza beneficio di escussione, se non espressamente concordato.
Di conseguenza, la N. aveva legittimamente scelto di destinare l’intero ricavato della vendita dei beni del terzo datore (B.) a soddisfazione del credito vantato nei confronti della G., e dunque dalla vendita di quei beni non poteva ritenersi residuato nessun surplus da restituire al terzo datore d’ipoteca.
10.2. Quanto alla richiesta del fallimento B. di attribuzione della somma ricavata dalla vendita dei beni della G. ed eccedente il credito ipotecario della N., il Tribunale ha così ragionato:
-) la debitrice G. è stata dichiarata fallita il 17.12.2018 (quindi dopo l’approvazione del progetto esecutivo e dopo l’introduzione del giudizio di opposizione);
-) dopo il fallimento del debitore, nessuna azione esecutiva può essere proseguita nei suoi confronti, e se i suoi beni fossero già stati venduti, il ricavato va attribuito al fallimento;
-) tale conclusione non è impedita dall’avvenuta distribuzione del ricavato della vendita, perché la procedura esecutiva “non può ritenersi conclusa” sinché pende il giudizio distributivo; e fino alla conclusione di esso i provvedimenti del giudice dell’esecuzione di autorizzazione alla distribuzione del ricavato hanno efficacia “solo provvisoria ed interinale”;
-) alla luce di questi princìpi doveva concludersi che il fallimento della debitrice G. aveva reso “improcedibili” gli interventi nella procedura esecutiva basati su crediti chirografari: sia quelli dalla N. [interventi del 18.11.2016 (decreto ingiuntivo) e del 18.7.2017 (spese di lite)], sia quello del fallimento B. (intervento del 16.2.2018).
10.3. Sulla base dei rilievi sopra riassunti il Tribunale ha di conseguenza:
a) revocato l’ordinanza del giudice dell’esecuzione reiettiva dell’opposizione al piano di riparto proposta dal fallimento B.;
b) dichiarato “improcedibili in questa sede” (sic) le “domande di intervento” nella procedura esecutiva della N. e del fallimento B.;
c) dichiarato che “la somma di euro 5.048.801,95, indicata come ancora da ripartire nel progetto di distribuzione, va corrisposta per intero al fallimento del G.”.
11. La suddetta sentenza è stata impugnata per Cassazione dalla N. con ricorso fondato su quattro motivi.
Hanno resistito con controricorso il fallimento della G. e la U..
Il ricorso fu originariamente fissato per la decisione nella camera di consiglio del 5.4.2023, ex art. 380 bis.1 c.p.c..
Tuttavia il Collegio giudicante, con ordinanza interlocutoria 6.7.2023 n. 19180, ha ritenuto di rilievo nomofilattico le questioni procedurali poste dalle parti, e rinviato la causa a nuovo ruolo perché fosse discussa in pubblica udienza.
La N. e la U. hanno depositato memoria prima dell’adunanza camerale del 5 aprile; La N. e il fallimento della G. hanno depositato memoria prima dell’odierna udienza.
Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte, ed altresì chiesto nella pubblica udienza che il ricorso sia rigettato.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo.
Col primo motivo la N. lamenta la violazione degli articoli 102, 331 e 485 c.p.c..
Secondo la ricorrente il Tribunale di Verona avrebbe violato le suddette norme perché:
-) nel giudizio di opposizione agli atti esecutivi ex artt. 512-617 c.p.c. era stata convenuta la U., originaria creditrice fondiaria della G.;
-) quando il giudizio di opposizione agli atti esecutivi fu interrotto a causa del fallimento della G., la parte attrice (fallimento B.) non notificò l’atto di riassunzione del giudizio alla U.;
-) il Tribunale, di conseguenza, dichiarò l’estinzione del giudizio limitatamente al rapporto processuale tra il fallimento B. e la U.;
-) in questo modo, tuttavia, il Tribunale aveva “estromesso in modo del tutto irrituale un litisconsorte necessario dal giudizio”.
1.1. Il motivo è infondato, per due ragioni.
In primo luogo, è infondato poiché è stata la stessa N., nell’atto di intervento depositato dinanzi al giudice dell’esecuzione, a dichiarare che tutti i crediti vantati dalla U. le erano stati ceduti pro soluto.
Di conseguenza la U. non era affatto litisconsorte necessario; anzi la domanda contro di essa proposta in sede di opposizione agli atti esecutivi si sarebbe dovuta dichiarare inammissibile per difetto di legittimazione passiva per effetto della cessazione irreversibile della sua qualità di creditore, che costituiva il presupposto della sua necessaria partecipazione ai giudizi incidentali della procedura esecutiva.
1.2. In secondo luogo, è infondato poiché la domanda proposta dal fallimento B. nei confronti della U. era ormai, a seguito della ricordata cessione, scindibile rispetto alle altre, strettamente correlate allo sviluppo della procedura esecutiva. La U. non era dunque un litisconsorte necessario, e correttamente il Tribunale, rilevato che il giudizio non era stato riassunto nei confronti della suddetta U., l’ha dichiarato estinto limitatamente ad essa.
2. Il secondo motivo.
Col secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 41 d. lgs. 1.9.1993 n. 385.
Il motivo investe la statuizione con cui il Tribunale ha affermato che il fallimento del debitore rende improcedibile l’azione esecutiva nei suoi confronti.
Nella illustrazione del motivo è esposta una tesi così riassumibile:
-) il credito azionato da N. scaturiva da un mutuo fondiario;
-) l’azione esecutiva basata su un credito fondiario - giusta la previsione dell’art. 41, comma 2, d. lgs. 385/93 - può essere iniziata o proseguita anche dopo la dichiarazione di fallimento del debitore;
-) pertanto il Tribunale, dichiarando che la somma di euro 5.048.801,95 andava attribuita al fallimento della G., avrebbe violato la suddetta norma.
2.1. Nei termini in cui è formulato il motivo è infondato, salvo quanto si dirà più oltre, circa i limiti della cognizione del giudice dell’opposizione agli atti esecutivi.
Il credito fondiario vantato dalla N., infatti, venne interamente soddisfatto col ricavato della vendita dei beni della debitrice e del terzo datore d’ipoteca. I crediti residui da essa vantati sono solo crediti chirografari (in quanto scaturenti l’uno da un decreto ingiuntivo, l’altro da una condanna alle spese non meglio precisata), come tali sottratti alla disciplina dell’art. 41 d. lgs. 385/93, come esattamente rilevato anche dal Procuratore Generale.
3. Il quarto motivo.
Il quarto motivo di ricorso va esaminato prima del terzo, ai sensi dell’art. 276, comma secondo, c.p.c..
Esso, infatti, pone una questione logicamente pregiudiziale rispetto all’altro. Con il quarto motivo di ricorso, infatti, la società ricorrente sostiene che il Tribunale di Verona avrebbe pronunciato ultra petita nello statuire che il residuo del ricavato della vendita forzata dovesse essere attribuito al fallimento della G..
Con il terzo motivo, invece, la società ricorrente sostiene che la suddetta decisione sarebbe erronea per difetto d’un presupposto di fatto (e cioè l’avere erroneamente ritenuto che la procedura esecutiva fosse ancora pendente al momento del fallimento del debitore esecutato).
È dunque evidente che deve essere per prima cosa stabilito se il giudice dell’opposizione avesse la potestas iudicandi, e soltanto dopo si potrà stabilire se la sua decisione sia stata corretta in iure.
3.1. Col quarto motivo la ricorrente lamenta, come anticipato al § precedente, la violazione degli articoli 101 e 112 c.p.c..
Sostiene che il Tribunale di Verona avrebbe pronunciato ultra petita, perché il fallimento della debitrice G., contumace nel giudizio di opposizione, non aveva formulato alcuna domanda di attribuzione del surplus di quanto ricavato della vendita.
3.1. Il motivo è fondato.
Il Tribunale di Verona, nella veste di giudice dell’opposizione agli atti esecutivi ex artt. 512-617 c.p.c., era chiamato a stabilire se fosse o meno corretta l’ordinanza distributiva del giudice dell’esecuzione.
Pertanto solo a questo fine era tenuto a valutare se quanto residuava dal ricavato della vendita forzata, una volta soddisfatto il credito ipotecario, andasse attribuito al terzo datore d’ipoteca o alla N., in pagamento del credito chirografario.
Il Tribunale tuttavia, accertato il fallimento del debitore, ha pronunciato una sentenza il cui dispositivo contiene, tra le altre, queste due statuizioni:
a) ha dichiarato “improcedibili” gli interventi proposti in sede esecutiva dal creditore e dal terzo datore d’ipoteca (con tali interventi, come s’è visto, l’uno e l’altro avevano domandato di partecipare alla distribuzione del ricavato della vendita, nella parte eccedente il credito ipotecario);
b) ha “accertato e dichiarato” che il ricavato della vendita forzata, eccedente il credito ipotecario, “va corrisposto al fallimento” della G.. Ambedue queste statuizioni sono viziate da ultrapetizione.
3.2. L’oggetto del giudizio di opposizione agli atti esecutivi è la legittimità d’un atto del giudice dell’esecuzione.
Eventuali circostanze sopravvenute che tronchino il corso del processo di esecuzione possono ovviamente riverberare effetti sul giudizio di opposizione, come ad es. nel caso in cui venga meno il titolo esecutivo.
In questi casi, tuttavia, il giudizio di opposizione potrà essere dichiarato - a seconda delle ipotesi - inammissibile per difetto di interesse ex art. 100 c.p.c., oppure per sopravvenuta cessazione della materia del contendere (Sez. U - , Sentenza n. 25478 del 21/09/2021, in motivazione).
Non potrebbe, invece, il giudice dell’opposizione agli atti esecutivi sostituirsi al giudice dell’esecuzione nello stabilire le sorti della procedura esecutiva.
Infatti sul punto è dirimente il rilievo della natura meramente rescindente controversie di cui all’art. 617 c.p.c.: in esse il giudice adito è privo di qualsivoglia potestà sostitutiva dell’atto pur riconosciuto invalido, per cui gli è preclusa l’adozione di provvedimenti propri del giudice dell’esecuzione, siano o meno oggetto dell'opposizione quand'anche accolta (cfr., tra le tante: Cass., ord. 18/10/2023, n. 28926; Cass., ord. 21/08/2023, n. 24885; Cass. 30/09/2019, n. 24225; Cass. 28/09/2018, n. 23482; Cass. 15/04/2015, n. 7657; Cass. 27/08/2014, n. 18336; Cass. 30/10/2012, n. 18692; Cass.
24/03/2011, n. 6733; Cass. 05/03/2002, n. 3176).
3.3. Ciò posto in linea generale, rileva la Corte che, nel caso di specie, il credito vantato dalla N. ed oggetto della controversia distributiva era un credito chirografario.
Come noto, l’art. art. 51 l. fall. (r.d. 267/42) impedisce l’inizio o la prosecuzione di azioni esecutive individuali sui beni compresi nel fallimento. Tuttavia, l’improseguibilità delle azioni esecutive già pendenti non è un effetto automatico del fallimento. Stabilisce infatti l’art. 107, comma 6, l. fall., che di tali procedure il giudice dell’esecuzione “dichiara l’improcedibilità su istanza del curatore, salvi i casi di deroga di cui all’articolo 51”.
3.4. Da ciò consegue, in primo luogo, che la decisione impugnata è effettivamente affetta dal vizio di extrapetizione, là dove ha dichiarato “improcedibili gli interventi” della N. e del fallimento B., sostituendosi in tal guisa al giudice dell’esecuzione, per di più senza accertare l’esistenza d’una rituale istanza del curatore fallimentare della G. in tal senso.
Infatti, la statuizione di “improcedibilità dell’esecuzione” potrebbe essere adottata all’esito di un giudizio di opposizione all’esecuzione (Sez. 1, Sentenza n. 11036 del 11/12/1996, Rv. 501230 - 01), ma non di un giudizio di opposizione agli atti esecutivi, dal cui oggetto come già detto esula la valutazione dell’opponibilità al fallimento del debitore dei pagamenti eventualmente già effettuati (così, sia pure nella diversa ipotesi del pignoramento presso terzi, Sez. 3 - , Sentenza n. 10820 del 05/06/2020, Rv. 657965 - 01).
3.5. Parimenti viziata da extrapetizione è la sentenza impugnata, nella parte in cui ha “dichiarato la spettanza” al fallimento G. del residuo ricavato della vendita forzata.
Oggetto dell’opposizione distributiva, come detto, era la legittimità dell’ordinanza con cui il giudice dell’esecuzione aveva attribuito alla N. il residuo ricavato della vendita.
Una controversia di questo tipo può effettivamente divenire una lite sine materia in caso di fallimento del debitore. In tal caso, infatti, qualsiasi pretesa già azionata nei confronti del debitore in bonis andrà accertata concorsualmente e pagata in moneta fallimentare.
Tuttavia, il fallimento del debitore non consente al giudice dell’opposizione agli atti esecutivi di statuire sull’attribuzione del ricavato della vendita, tanto meno in favore di un soggetto (la curatela) che non ne fece richiesta.
La suddetta statuizione infatti spetta al giudice dell’esecuzione ed in sede esecutiva, dopo l’annullamento dell’ordinanza che ha definito la fase distributiva e che è stata oggetto dell’opposizione formale vittoriosamente proposta (come detto, senza pregiudizio dell’ulteriore questione della necessità di un previo accertamento di quali scelte abbia compiuto il curatore rispetto alla procedura esecutiva pendente, ai sensi dell’art. 107, sesto comma, l. fall.).
4. Il terzo motivo di ricorso.
Col terzo motivo la ricorrente sostiene che il Tribunale avrebbe “erroneamente assegnato le somme a G. sull’altrettanto errato presupposto che il fallimento di quest’ultima sia intervenuto nelle more della procedura esecutiva, che al contrario si è estinta ex art. 632 c.p.c. in forza dell’ordinanza del giudice dell’esecuzione, nonché dell’emissione del successivo mandato di pagamento e la sua materiale percezione da parte dell’odierna ricorrente, eventi tutti intervenuti prima della dichiarazione di fallimento della G.”.
Nell’illustrazione del motivo è sostenuta una tesi così riassumibile:
-) il Tribunale ha basato tutti i capi della sua decisione (improcedibilità degli interventi, obbligo della N. di restituire la somma incassata quale residuo del ricavato della vendita, attribuzione della medesima somma al fallimento della G.) sull’assunto che il fallimento della debitrice G. fosse stato dichiarato in pendenza dell’esecuzione;
-) tuttavia, il processo di esecuzione immobiliare termina con la distribuzione del ricavato ai creditori;
-) nel caso di specie, al momento della dichiarazione di fallimento (17.12.2018) il ricavato della vendita era già stato distribuito e la N. era già stata pagata (3.9.2018);
-) ergo, al momento del fallimento della G. non vi era alcuna esecuzione pendente, ed il Tribunale non avrebbe potuto dichiarare “improcedibile” l’intervento della N..
4.1. La censura come sopra riassunta non può dirsi sic et simpliciter assorbita dall’accoglimento del quarto motivo di ricorso, poiché involge i presupposti stessi delle domande che il giudice del rinvio dovrà esaminare.
Essa è fondata.
Questa Corte, pronunciando in materia di espropriazione presso terzi, ha stabilito i princìpi seguenti:
a) il fallimento del debitore esecutato, dichiarato dopo la pronuncia dell’ordinanza di assegnazione ex art. 553 c.p.c. e nelle more del giudizio di opposizione agli atti esecutivi contro di essa proposto dal terzo pignorato, non comporta né la caducazione dell’ordinanza di assegnazione, né la cessazione ipso iure della materia del contendere nel giudizio di opposizione;
b) esula dall’oggetto del giudizio di opposizione agli atti esecutivi la valutazione dell’efficacia, ai sensi dell’art. 44 l.fall., in considerazione del momento nel quale vennero posti in essere, degli eventuali pagamenti compiuti dal terzo pignorato in esecuzione dell’ordinanza di assegnazione (Sez. 3 - , Sentenza n. 10820 del 05/06/2020, Rv. 657965 - 01).
Princìpi analoghi debbono valere anche per l’esecuzione svolta nelle forme dell’espropriazione immobiliare: sia pur tenendo presente che, nella prima, che conclude con la sostituzione ope iudicis del creditore, il concreto soddisfacimento della ragione di credito è necessariamente esterno e successivo al processo esecutivo, siccome rimesso all’adempimento del terzo assegnato; mentre, nella seconda, il soddisfacimento consegue al concreto e materiale adempimento dell’ordine, impartito dal giudice, agli organi della procedura di procedere al pagamento disposto con il provvedimento conclusivo della fase distributiva.
Per effetto dell’approvazione del progetto di distribuzione, quindi, la procedura esecutiva è chiusa, riguardando il materiale incasso delle somme a disposizione di quella una materiale attività dovuta, ma complementare.
Questo effetto non è impedito dalla pendenza d’una opposizione distributiva. Allo stesso modo in cui un giudizio d’appello non può dirsi “pendente” sol perché avverso la sentenza conclusiva di esso sia stato proposto ricorso per cassazione (e dunque esista l’eventualità che il processo debba riaprirsi, nel caso di cassazione con rinvio della sentenza impugnata), per la medesima ragione una procedura esecutiva non può dirsi “pendente” sol perché la distribuzione del ricavato della vendita forzata sia avvenuto nonostante la pendenza d’un giudizio di opposizione.
Non è l’opposizione distributiva ad impedire la chiusura dell’esecuzione, ma è solo l’accoglimento di essa a travolgere con effetto ex tunc il provvedimento giurisdizionale di approvazione del progetto di distribuzione.
4.2. Da quanto esposto consegue che il fallimento del debitore dopo la distribuzione del ricavato ed in pendenza del giudizio di opposizione distributiva è di per sé irrilevante in quest’ultimo giudizio.
Se l’opposizione dovesse essere rigettata, ovviamente la suddetta circostanza resterà improduttiva di effetti.
Se invece l’opposizione dovesse essere accolta, spetterà al giudice dell’esecuzione, ripristinato il corso del processo esecutivo a seguito della pronuncia di cognizione demolitoria dell’ordinanza che lo aveva concluso, rilevare l’avvenuto fallimento del debitore ed adottare i provvedimenti opportuni, primi fra i quali quelli ai sensi dell’art. 51 l. fall. (applicabile ratione temporis).
5. La sentenza impugnata va dunque cassata in parte qua, con rinvio al Tribunale di Verona, il quale tornerà ad esaminare l’opposizione proposta dalla N. applicando i seguenti princìpi di diritto:
(a) “non è consentito al giudice dell’opposizione distributiva modificare, in assenza di domanda, il progetto di distribuzione, attribuendo il ricavato della vendita a soggetto che non ne abbia fatto richiesta”;
(b) “non è consentito al giudice dell’opposizione distributiva sindacare, in assenza di domanda, la legittimità dell’intervento d’un creditore nell’esecuzione”;
(c) “l’esecuzione per espropriazione immobiliare si chiude con il provvedimento di approvazione del progetto di distribuzione; la circostanza che il pagamento dei creditori, ordinato con detto provvedimento, avvenga nonostante la pendenza di una opposizione distributiva non impedisce la chiusura dell’esecuzione, la quale ultima si potrà riaprire con effetto ex tunc nel caso di accoglimento dell’opposizione”.
6. Le spese del presente giudizio nei rapporti tra la N., il fallimento della G. ed il fallimento della B. saranno regolate dal giudice di rinvio. Nel rapporto tra la N. e la U. - per effetto del rigetto del primo motivo di ricorso, che comporta la definitiva estromissione della U. dal presente giudizio - vanno a poste a carico della ricorrente, ai sensi dell’art. 385, comma 1, c.p.c., e sono liquidate nel dispositivo.
P.Q.M.
la Corte di cassazione:
(-) rigetta il primo ed il secondo motivo di ricorso;
(-) accoglie il terzo ed il quarto motivo di ricorso; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa al Tribunale di Verona, in persona di altro magistrato, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità;
(-) condanna N. SPV s.r.l. alla rifusione in favore di U. s.p.a. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di euro 30.769, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55.