Secondo il nuovo arresto della Cassazione, le eccezioni inerenti all'esistenza o alla validità del rapporto in base al quale è sorto il credito ceduto e quei fatti che incidono ab origine sull'efficacia del contratto di cessione. Esclusi, invece, quei vizi che non determinano l'originaria inefficacia né la revocabilità del rapporto di cessione (come nelle ipotesi di atti astrattamente revocabili ex art. 2901 c.c.).
La controversia trae origine dalla cessione del credito IRES con atto sottoscritto davanti al notaio prima che la società cedente entrasse in amministrazione e fosse dichiarata insolvente. Il commissario della cedente intimava all'Agenzia delle Entrate di non procedere ad alcun pagamento nei confronti del cessionario,...
Svolgimento del processo
1. Con la dichiarazione 2009 (relativa all’anno d’imposta 2008) la T. di Navigazione chiedeva il rimborso del credito IRES per €
9.500.000 (rispetto a un credito totale dichiarato di € 13.729.073,00). Con atto a rogito M. di N. del 17 dicembre 2009, tale credito veniva ceduto a I. s.p.a. L’atto veniva notificato a mezzo ufficiale giudiziario all’Agenzia, qual debitore ceduto, in data 23.12.2009. In data 5 agosto 2010 veniva aperta nei confronti della cessionaria T. la procedura di amministrazione straordinaria, e in data 11 agosto 2010 ne veniva dichiarata l’insolvenza. Il 9 febbraio 2012 il commissario della T. intimava all’Agenzia di non procedere ad alcun pagamento nei confronti del cessionario, dichiarando di non volere subentrare nel rapporto di specie (contratto di cessione). I. proponeva citazione in giudizio davanti al Tribunale di Milano, giudizio poi non riassunto come da attestazione della cancelleria del Tribunale di Roma inerente al periodo in cui doveva essere promossa la riassunzione medesima. Il 18 novembre 2013 I. presentava istanza di rimborso, che l’Agenzia riscontrava con nota del 21 novembre 2013, nella quale veniva detto che il relativo procedimento era da intendersi sospeso a cagione dell’indeterminatezza del soggetto legittimato alla riscossione, precisando che l’Ufficio si sarebbe attenuto alle determinazioni dell’Autorità giudiziaria (evidenziando come in data 19 novembre 2012 era stato chiesto al giudice delegato dell’amministrazione straordinaria l’accertamento del diritto all’erogazione), ed inoltre che l’erogazione del credito era comunque subordinata al preventivo parere della commissione interna della Direzione regionale, che sarebbe intervenuto solo a seguito appunto dell’individuazione del soggetto legittimato.
I. proponeva così ricorso contro il suddetto atto, e la CTP ne dichiarava l’inammissibilità. La CTR, adìta in sede d’appello da I. (con appello incidentale anche dell’ufficio), condividendo la decisione di primo grado in ordine alla qualificazione della sopra riportata nota, oggetto dell’impugnazione, qual autentico “rifiuto”, disattendeva la ricostruzione del primo giudice in ordine alla fondatezza del rifiuto stesso in base alle disposizioni di cui agli artt. 1264 e 1189, cod. civ. A parere dei giudici d’appello il pagamento del credito risulterebbe ampiamente liberatorio almeno fino all’esecutività di una “sentenza civile” che pronunciasse l’inefficacia della cessione. Semmai, ogni questione successiva a tale pronuncia avrebbe giustificato l’azione dell’amministrazione straordinaria nei riguardi del cessionario accipiens. Da tanto, dunque, la CTR traeva l’accoglimento del gravame e l’accertamento del diritto della società al rimborso in oggetto.
2. L’Agenzia propone così ricorso in cassazione affidato a quattro motivi, e I. resiste con controricorso, mentre l’amministrazione straordinaria, nonostante la regolare notifica avvenuta in data 4 gennaio 2018 a mani del commissario straordinario e in data 28 novembre 2017 presso il difensore domiciliatario, è rimasta intimata. L’Agenzia ha successivamente depositato due memorie illustrative.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo l’Agenzia rileva violazione e falsa applicazione dell’art. 132, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ.
Invero a giudizio della difesa erariale la motivazione sarebbe apodittica ed apparente, dal momento che il giudice d’appello si sarebbe limitato a richiamare sul punto la sentenza di primo grado, neppur curandosi di motivare quanto da essa rilevato, conciliandolo con la natura di rifiuto, circa la non definitività e temporaneità del provvedimento
1.2. Il motivo è infondato. Intanto, come emerge tanto dalla sentenza (dove si dà atto che il “profilo di inammissibilità” viene “riproposto”) quanto dallo stesso ricorso (“riproponendo le eccezioni attinenti all’inammissibilità del ricorso introduttivo ai sensi dell’art. 19 d.lgs. n. 546/1992, per assenza di atto impugnabile”), nonché dal brano delle controdeduzioni in appello riportato dall’Agenzia, quest’ultima si limitava a ribadire un profilo proposto in primo grado, non curandosi di criticare la sentenza sul punto ma solo riproponendo difese già spese. Ciò precisato il ragionamento del giudice d’appello si coglie pienamente laddove valuta la nota dell’Agenzia come un autentico rifiuto di rimborso, pur se temporaneo, e come tale impugnabile ai sensi dell’art. 19, comma 1, lett. g, d.lgs. n. 546/1992. Dunque, a fronte di un appello incidentale come sopra delineato, il ragionamento è chiaramente comprensibile, anche tramite il rinvio ob relationem, e la motivazione si sottrae alla critica di mera apparenza e di conseguente impossibilità di ricostruire il ragionamento del giudice, se non a mezzo di integrazioni o illazioni.
2. Col secondo motivo l’Agenzia denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 19, d.lgs. n. 546/1992, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ. Per la difesa erariale, infatti, affinché l’atto possa essere qualificato come rifiuto occorre l’individuazione del soggetto legittimato e la valutazione circa la (non) spettanza del credito, condizioni nella specie espressamente non ricorrenti. L’aver quindi accertato il credito sarebbe altresì ultroneo, e al più il giudice d’appello avrebbe dovuto disporre il proseguimento dell’istruttoria.
2.1. Anche tale motivo è infondato.
Per trarre conclusività dalla difesa, va osservato come con la stessa si sostenga la non equiparabilità fra sospensione e rifiuto, e del resto come – ove si sostenesse l’impugnabilità anche in caso di mera sospensione - all’accoglimento dovrebbe conseguire una pronuncia con cui si disponga solo la prosecuzione dell’istruttoria.
In realtà, una sospensione, nella specie subordinata ad una pronuncia giudiziale il cui processo neppure pende, oltre che ad un’istanza extra ordinem al giudice delegato - sospensione per di più disposta senza neppure aver esaminato il merito della spettanza - è del tutto comparabile ad un differimento sine die, e la giurisprudenza di questa Corte insegna che siffatta sospensione deve essere equiparata ad un rifiuto di rimborso.
“In tema di contenzioso tributario, la comunicazione della sospensione di un rimborso IVA in vista di una sua compensazione, differendone in concreto l'esecuzione, è un atto autonomamente impugnabile o ai sensi del combinato disposto degli artt. 19, comma 1, lett. i, del d.lgs. n. 546 del 1992 e 23 del d.lgs. n. 472 del 1997 o, comunque, ai sensi del citato art. 19, atteso che la tassatività dell'elencazione ivi contenuta deve intendersi riferita non ai singoli provvedimenti nominativamente individuati, ma alle categorie a cui sono riconducibili, in cui vanno, pertanto, ricompresi anche gli atti atipici o con "nomen iuris" diversi da quelli indicati, che producano, però, gli stessi effetti giuridici”.
(Cass. 13/07/2023, n. 20051; conf. Cass. n. 13548/2015; Cass. n. 5723/2016).
Siffatto principio trova riscontro inequivoco anche nella pronuncia Cass. Sez. U. 21/02/2019, n. 5194, che equipara all’atto amministrativo di diniego quello che comunque comporti un arresto procedimentale, cosa accaduta pacificamente nella specie.
A tutto ciò deve aggiungersi che, come si vedrà, nelle more dei paventati, possibili ma non provati giudizi, l’efficacia del trasferimento del diritto di credito risulta pienamente efficace.
Né il motivo, rubricato sotto il profilo della violazione di legge, può essere letto, pur nella sua non chiarissima formulazione, come denunciante un’omessa pronuncia in punto di accertamento del credito, non solo perché si tratta di un profilo non esplicitato e adeguatamente illustrato in violazione del disposto di cui all’art. 366, cod. proc. civ., ma risultando sul punto l’implicita pronuncia attraverso la decisione sul merito, che presuppone la sussistenza del credito (del resto invero sulla cui eventuale insussistenza nessuna difesa viene spesa), né emerge sotto tal profilo una denuncia di difetto di motivazione e ciò inoltre, si ripete, a fronte di un provvedimento che deve essere qualificato come rifiuto.
In definitiva può affermarsi il seguente principio di diritto
3. Col terzo motivo la difesa erariale eccepisce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ. Essa, infatti, evidenzia di aver ribadito un’eccezione attinente al fatto che il procedimento di rimborso era stato attivato a mezzo della dichiarazione UNICO da parte della T. di Navigazione, sicché l’istanza relativa non poteva essere attivata dall’I., con conseguente sua carenza di legittimazione al riguardo. Volendo poi ritenere l’ammissibilità sotto tal profilo, attenendo la stessa a crediti dell’anno d’imposta 2004, l’istanza sarebbe stata presentata oltre il previsto termine decadenziale.
Orbene su tali eccezioni la CTR avrebbe omesso ogni pronuncia.
3.1. Il motivo è infondato, poiché anzitutto non si tratta di domande od eccezioni in senso stretto, ma di mere difese, rispetto alle quali non si può dedurre la violazione del principio espresso dall’art. 112, cod. proc. civ., circa l’omissione della decisione. In ogni caso nella specie si trattava senz’altro di un procedimento instaurato da T., cedente, laddove il provvedimento di (come visto sostanziale) rifiuto, di cui alla nota impugnata, era stato emesso successivamente alla cessione del credito stesso ad I. e nei riguardi di quest’ultima, circostanza pacifica e sulla quale la CTR non era chiamata a statuire alcunché.
Peraltro, nulla impedisce al cessionario di agire per il credito a fronte di un sostanziale rifiuto dell’amministrazione debitrice, unico limite essendo dalle norme identificato nell’avvenuta emissione dell’ordine di pagamento da parte dell’amministrazione in favore del cedente anteriormente alla cessione stessa (cfr. art. 1, d.m. n. 394/1997, per il quale si veda infra), circostanza che non ricorre nella specie.
4. Col quarto ed ultimo mezzo l’Agenzia eccepisce violazione e falsa applicazione degli artt. 1189 e 1264, cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ.
A parere dell’Agenzia erroneamente il giudice d’appello avrebbe ritenuto l’inapplicabilità del disposto dell’art. 1264, secondo comma, cod. civ., alla fattispecie, dal momento che la disposizione in esame si riferirebbe solo al caso del debitore non a conoscenza dell’avvenuta cessione.
Ad avviso della difesa erariale invece la disposizione esprimerebbe il principio per cui il debitore ceduto può legittimamente rifiutare l’adempimento al cessionario che abbia proceduto alla notifica, ove sia a conoscenza dell’esistenza di una seria controversia tra quest’ultimo ed il cedente. In altri termini il debitore ceduto, rispetto ad un negozio di cessione che potrebbe essere inesistente, invalido od inefficace, potrebbe difendersi dal rischio di pagare due volte non pagando al cessionario.
Altrettanto avrebbe errato la CTR nel ritenere l’inapplicabilità alla specie dell’art. 1189, cod. civ., dettato in tema di pagamento al creditore apparente.
Infatti, la disposizione presupporrebbe, per garantire l’effetto liberatorio in capo al debitore, il concorrere dei requisiti dell’apparenza e della buona fede del solvens.
Orbene, avendo nella specie l’Agenzia ricevuto notizia formale di un giudizio avente ad oggetto la cessione, in presenza di fatti idonei a creare grave incertezza circa la validità dell’atto di cessione stesso, la ricorrente non avrebbe potuto invocare il disposto della norma in esame in caso di pagamento al cessionario.
4.1. Anche il motivo in esame è infondato.
Premesso che nella fattispecie non si assume la violazione della disciplina speciale della cessione dei crediti fiscali (in effetti recata dall’art. 43-bis, d.p.r. n. 602/73, che richiama a sua volta il R.D. n. 2440/1923, e specificata dal d.m. 30 settembre 1997, n. 384, che in particolare sancisce la forma della cessione, nonché l’inefficacia della stessa ove avente ad oggetto i soli interessi, o sia già ordinato il pagamento del credito al momento della cessione o vi siano altri debiti a ruolo del cessionario, art. 1 d.m. cit., e detta l’obbligo di notifica all’amministrazione ceduta ed all’Agente della riscossione, questioni non rilevanti nella presente causa), il richiamo del disposto di cui all’art. 1189, cod. civ., è improprio, dal momento che qui non si tratta di opporre un pagamento avvenuto a mani del creditore apparente, cioè di colui che appare legittimato, ma di rifiutare il pagamento a mani di un creditore effettivo, in quanto legittimato da un atto pubblico di cessione regolarmente notificato al debitore. E in proposito deve dirsi che la conoscenza dell’avvenuta cessione si pone come fatto impeditivo della efficacia liberatoria del pagamento effettuato al cedente, proprio in considerazione del fatto che il pagamento al cessionario costituisce senza meno fenomeno distinto da quello del pagamento al creditore apparente, costituendo esso infatti pagamento al creditore effettivo, salva l’ipotesi di totale inefficacia originaria dell’atto di cessione.
Quanto poi all’allegazione per cui il debitore potrebbe rifiutare l’adempimento per questioni inerenti alla validità od efficacia del contratto di cessione, deve affermarsi che il debitore ceduto può certamente opporre al cessionario la nullità o l’inesistenza del contratto di cessione, così come la sua simulazione assoluta (purché esternata al ceduto). Infatti, sussiste in capo al ceduto un onere di accertare l’efficacia della cessione, proprio perché l’inefficacia determina l’assenza di legittimazione stessa in capo al cessionario, dovendosi peraltro ritenere il relativo ambito di controllo ben più limitato di quello che riguarda la parte contrattuale (per la quale si applica la più rigorosa regola di cui all’art. 1338, cod. civ.).
Al contrario, non possono essere rilevate e quindi eccepite quelle situazioni che non determinano inefficacia originaria del contratto di cessione, come nei casi dell’annullabilità e della revocabilità dell’atto ai sensi dell’art. 2901, cod. civ.
In particolare, in tale ultimo caso, che in assenza di contestazione circa la validità dell’atto, è l’unico che si possa prendere in esame nella presente fattispecie, l’inefficacia non potrebbe che discendere dal passaggio in giudicato della relativa pronuncia di revoca, di natura costitutiva.
Invero
La cessione di credito infatti produce pieni effetti, nei confronti del debitore ceduto, dal momento in cui gli sia stata notificata, a norma dell’art. 1264 cod. civ., sicché la sopravvenienza del fallimento del cedente, dopo detta notificazione, come non legittima il curatore, ancorché erroneamente autorizzato dal giudice esperimento dell’azione revocatoria dell’atto di cessione, così non comporta l’efficacia liberatoria del pagamento che il debitore stesso abbia effettuato a detto curatore, restando preclusa ogni possibilità di applicazione delle norme in tema di pagamento al creditore apparente.
(Cass. 25/01/2012, n. 1012)
In proposito, per quanto concerne la fattispecie che ne occupa, va sottolineato come da un lato la motivazione dell’intimazione formulata dall’amministratore straordinario all’Agenzia, come da quest’ultima riportata, allude addirittura ad una volontà di mancato subentro nella cessione, a fronte di un contratto concluso ben prima della declaratoria d’insolvenza e con effetto traslativo immediato, per cui il potere previsto dall’art. 72 l.f., inerente infatti ai rapporti pendenti, difettava dei relativi presupposti; dall’altro la controversia che era insorta fra I. e la T. in a.s. (e l’Agenzia come debitore ceduto), introdotta dalla prima per l’accertamento del diritto di credito a seguito dell’iniziativa dell’amministratore nei confronti dell’Agenzia, sopra descritto, risulta da quanto in atti non riassunta nel termine e dunque estinta ai sensi dell’art. 307, cod. proc. civ., col che viene meno anche in astratto ogni ipotetica pregiudizialità con quel giudizio.
Può dunque nella specie affermarsi il seguente principio di diritto
5. In conclusione il ricorso merita rejezione, con aggravio di spese in capo alla ricorrente ed in favore della controricorrente.
Nei confronti dell'Agenzia delle Entrate non sussistono i presupposti processuali per dichiarare l'obbligo di versare, ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della I. n. 228 del 2012, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non potendo tale norma trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (cfr. Cass.n.1778 del 29/01/2016).
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente, che liquida in € 29.000,00 oltre rimborso forfettario nella misura del 15 % dell’onorario, ed oltre ad i.v.a. e c.p.a., se dovute, ed esborsi per € 200,00.