Svolgimento del processo
1 - M. R. M. ha proposto ricorso articolato in cinque motivi avverso la sentenza n. 1283/2017 della Corte d’appello di Genova, pubblicata il 12 ottobre 2017.
Resiste con controricorso G. M..
2 – La Corte d’appello di Genova ha respinto il gravame avanzato da M. R. M. contro la sentenza del Tribunale di (omissis) del 10 febbraio 2011. Il Tribunale aveva rigettato la domanda di M. R. M. volta a conseguire la dichiarazione di nullità o di inefficacia, ovvero di simulazione o di risoluzione per colpa del convenuto, del contratto di vitalizio assistenziale concluso dal fratello G. M. in data 22 ottobre 1998 con la madre dei contendenti, signora C. M., nonché ad accertare i beni compresi nella successione della M.. In forza del richiamato contratto, C. M. aveva ceduto al figlio G. M. la proprietà di alcuni immobili in (omissis) e quest’ultimo si era obbligato "a mantenere ed ad assistere vita natural durante” la madre, poi morta nell’ottobre 2004.
I giudici di secondo grado hanno affermato: a) che nel contratto di vitalizio assistenziale stipulato tra la signora C. M. ed il figlio G. M. doveva ritenersi sussistente l'alea, determinata dalla imprevedibile durata della vita della vitaliziata, la quale aveva 79 anni al momento della stipula e godeva di buona salute, senza che fossero stati neppure allegati elementi che inducessero a presagirne la morte in breve termine; b) che G. M. viveva con la madre e provvedeva ai pasti, sicché l'assidua presenza del figlio e la sua costanza nella cura e nell'impegno nei confronti della genitrice consentivano di ritenere che il vitaliziante avesse adempiuto all'obbligazione di assistenza materiale e spirituale, anche provvedendo al ricovero presso una struttura negli ultimi mesi di vita; c) che la prestazione di G. M. doveva reputarsi svincolata da una esatta quantificazione economica, essendo evidentemente connotata da elementi non riconducibili a parametri matematici e non evidenziandosi, perciò, una sproporzione tra il valore dei beni attribuiti al vitaliziante (stimati in € 238.000,00) e la medesima prestazione resa dal M., così da escludere sia che il contratto dissimulasse una donazione o un negozio misto, sia l’imputabilità di un inadempimento imputabile al convenuto; d) che M. R. M. non aveva assolto all'onere probatorio relativo alla esistenza di beni mobili di proprietà della de cuius C. M., mancando anche l’indicazione degli stessi e stante l’inammissibilità per tardività delle deduzioni istruttorie formulate per la prima volta in sede di udienza di precisazione delle conclusioni innanzi al Tribunale, quale, nella specie, l’istanza di esibizione ex art. 210 c.p.c. al Banco di (omissis) su prelievi e risultanze di rapporti di conto corrente.
Le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
1-Sono infondate le eccezioni pregiudiziali di “inammissibilità del ricorso” sollevate dal controricorrente ai sensi dell’art. 360-bis n. 1 e 2 c.p.c., sia perché lo scrutinio ex art. 360-bis, n. 1, c.p.c. va svolto relativamente ad ogni singolo motivo, sia perché le censure non contrastano una soluzione di questioni di diritto conforme ad un persistente orientamento di legittimità (essendo, come meglio si vedrà nel prosieguo, piuttosto rivolte a lamentare un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, ovvero intese a dimostrare prioritariamente vizi di sussunzione e di motivazione), sia perché le stesse non sono manifestamente infondate in relazione ai principi regolatori del processo.
2 - Il primo ed il secondo motivo del ricorso di M. R. M. denunciano entrambi, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., l’omesso esame circa fatti decisivi, il primo “quanto al primo capo di domanda … in punto nullità del contratto per mancanza dell'alea”, il secondo “quanto al secondo capo di domanda … in punto donazione indiretta e/o negozio misto con donazione”. Un primo paragrafo espone poi fatti attinenti alla “autosufficienza di C. M.”, quanto alle dichiarazioni rese da G. M. in sede di interrogatorio sul canone locativo, sulla pensione e sull’assegno di accompagnamento percepiti da C. M.. Segue l’elenco cronologico delle vicende intercorse tre le parti dall’anno 1990, attinenti alla successione di Emilio M.. Tale elemento storico, ad avviso della ricorrente, rivelerebbe il “disegno” di G. M., volto a che “la quota, appunto, del capitale immobiliare relitto dalla madre alla di lei morte non pertoccasse in quota alla figlia coerede M. M.” e lascerebbe individuare lo “strumento per realizzare questo disegno”, ovvero “la costituzione di vitalizio di cui all'atto S. 22.10.98”, ciò a prova dell’animus donandi della M. e dell’animus simulandi delle parti dello stesso contratto di vitalizio assistenziale. Nel riscontrare l’alea (elemento di cui la ricorrente rammenta l’etimologia latina), la Corte d’appello avrebbe trascurato “ogni raffronto tra l'entità della prestazione vitalizia, il valore dei beni (e dei frutti degli stessi) di cui la cessione ha costituito il corrispettivo nonché l'ammontare dei redditi di cui godeva in vita la vitaliziata”.
Le censure invocano poi le risultanze della prova testimoniale (testi A. e E.), dalle quale sarebbe emerso che G. M. aveva dormito con la madre dal 1998 al 2004 soltanto nel periodo 26 giugno 2004 – 26 agosto 2004, allorché la stessa era ricoverata in ospedale, assistita fino alla morte (24 ottobre 2004) da una badante pagata da lei. Dal 1998 G. M. aveva recapitato alla madre i pasti giornalieri, peraltro pagati da lei, e non vi era prova che il figlio avesse provveduto a nessun pagamento, nemmeno di tasse ed utenze.
La ricorrente ricava quindi, comparando il valore dell’assistenza prestata e il valore degli immobili trasferiti, il valore della donazione realmente effettuata.
Il terzo motivo del ricorso di M. R. M. deduce la violazione dell’art. 25 “Carta di Nizza” e degli artt. 1325, 1418 e 1872 c.c. Si conclude che la Corte d’appello “dopo aver omesso totalmente la valutazione di tutti i fatti certi interconnessi, trattati ed esaminati al superiore motivo 1, ha capitalmente errato nell'assurda affermazione della esistenza dell'alea valutata esclusivamente in previsione della possibile sopravvivenza della beneficiaria, mentre sub specie fattuale e giuridica l'alea è inesistente”.
Il quarto motivo del ricorso di M. R. M. deduce la violazione degli artt. 769, 1414, 1415 e 1417 c.c. La tesi qui è che “le parti dell'atto Not. S. hanno voluto e subito la realizzazione della liberalità e questa finalità era nota ed accettata”. Si indicano di nuovo i valori a confronto e si prospetta la configurabilità di una donazione indiretta o di un negozio misto con donazione.
2.1. – I primi quattro motivi di ricorso devono esaminarsi congiuntamente, per la loro evidente connessione, e sono fondati nei sensi di cui alla motivazione che segue.
Occorre premettere che non si applica qui ratione temporis la previsione di cui all'art. 348-ter, comma 5, c.p.c., secondo cui non può essere impugnata ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. la sentenza di appello "che conferma la decisione di primo grado": tale previsione, agli effetti dell'art. 54, comma 2, del d.l. n. 83 del 2012, convertito in legge n. 134 del 2012, non opera giacché si ha riguardo a giudizio di appello introdotto con citazione notificata anteriormente all'11 settembre 2012.
2.2. – La Corte d’appello di Genova ha affermato che la prestazione di G. M., volta "a mantenere ed ad assistere vita natural durante” la madre C. M., in forza del contratto di vitalizio assistenziale concluso in data 22 ottobre 1998, doveva reputarsi svincolata da una esatta quantificazione economica, essendo connotata da elementi non riconducibili a parametri matematici e non evidenziandosi, perciò, una sproporzione con il valore dei beni attribuiti al vitaliziante (stimati in € 238.000,00). Non di meno, in detto contratto poteva ritenersi sussistente l'alea, determinata dalla imprevedibile durata della vita della vitaliziata, la quale aveva 79 anni al momento della stipula e godeva di buona salute.
Con costante orientamento, questa Corte ha però affermato che il cosiddetto contratto atipico di mantenimento (o di vitalizio alimentare o assistenziale), quale quello oggetto di lite, è essenzialmente caratterizzato dall'aleatorietà, la cui individuazione postula effettivamente la comparazione delle prestazioni sulla base di dati omogenei – ovvero la capitalizzazione della rendita reale del bene- capitale trasferito e la capitalizzazione delle rendite e delle utilità periodiche dovute nel complesso dal vitaliziante -, secondo un giudizio di presumibile equivalenza o di palese sproporzione da impostarsi con riferimento al momento di conclusione del contratto ed al grado ed ai limiti di obiettiva incertezza, sussistenti a detta epoca, in ordine alla durata della vita ed alle esigenze assistenziali del vitaliziato. A ciò si aggiunge, peraltro, che avendosi riguardo all'età ed allo stato di salute del vitaliziato, l'alea debba comunque escludersi - ed il contratto va perciò dichiarato nullo - se, al momento della conclusione, il beneficiario stesso fosse affetto da malattia che, per natura e gravità, rendeva estremamente probabile un rapido esito letale, e che ne abbia in effetti provocato la morte dopo breve tempo, o se questi avesse un'età talmente avanzata da non poter certamente sopravvivere, anche secondo le previsioni più ottimistiche, oltre un arco di tempo determinabile. In alcuni precedenti di legittimità si è arrivati a concludere che l'originaria macroscopica sproporzione del valore del cespite rispetto al minor valore delle prestazioni fa presumere lo spirito di liberalità tipico della donazione, eventualmente gravata da modus. L'indicata comparazione e l'indagine circa la descritta incertezza rappresentano apprezzamenti di fatto, incensurabili in sede di legittimità se tuttavia congruamente motivati (Cass. Sezioni Unite n. 6532 del 1994; Cass. n. 15848 del 2011; n. 7479 del 2013; n. 4825 del 2016; n. 15904 del 2016; n. 22009 del 2016; n. 23895 del 2016; n. 13232 del 2017).
2.3. - È dunque errata in diritto l’affermazione della Corte d’appello di Genova secondo cui “la prestazione del M. deve ritenersi svincolata da una esatta quantificazione economica, essendo evidentemente connotata da elementi (quali l'affetto, la presenza costante, la compagnia, l'ascolto, la quotidianità) che non possono essere ricondotti a parametri matematici”, bastando a configurare l'alea la considerazione dalla imprevedibile durata della vita della vitaliziata.
Così ragionando, i giudici di appello hanno negato la patrimonialità della prestazione dovuta dal vitaliziante nell’ambito del contratto atipico di mantenimento (o vitalizio assistenziale), ovvero la sua suscettibilità di valutazione economica, in quanto corrispettivo della prestazione del vitaliziato, patrimonialità viceversa essenziale, agli effetti degli artt. 1321 e 1174 c.c., per la negoziabilità del comportamento, la quale opera come limite dell’autonomia privata (arg. da Cass. n. 649 del 1971; n. 835 del 1964).
2.4. - Deve piuttosto ribadirsi che il contratto con cui il vitaliziante si obbliga, in corrispettivo dell'alienazione di un bene, a prestare al vitaliziato mantenimento ed assistenza vita natural durante, si configura come una sottospecie del vitalizio oneroso, caratterizzata da una accentuazione dell'elemento aleatorio, giacché all'incertezza derivante dalla durata in vita del vitaliziato si aggiunge quella connessa alla variabilità delle prestazioni a carico del vitaliziante, le quali sono tuttavia concretamente valutabili in denaro ai fini di una loro comparazione con il valore del bene trasferito al vitaliziato.
L’alea che contraddistingue il contratto di mantenimento (nel senso che, come si è detto, non è noto né certo al momento della sua conclusione quale sia l’entità del vantaggio e l’entità del rischio che ciascuna parte si assume) è, invero, essa stessa elemento di natura strettamente economica e perciò postula la comparazione dei valori della prestazione e della controprestazione sulla base di dati omogenei.
3. Può, quindi, enunciarsi il seguente principio di diritto:
il contratto atipico di mantenimento (o di vitalizio alimentare o assistenziale), con cui il vitaliziante si obbliga, in corrispettivo dell'alienazione di un bene, a prestare al vitaliziato mantenimento ed assistenza vita natural durante, è caratterizzato al momento della sua conclusione dall’alea inerente sia alla durata della vita del vitaliziato, sia alla entità delle prestazioni a carico del vitaliziante, le quali tuttavia, proprio in quanto negoziabili come corrispettivo, sono necessariamente suscettibili di valutazione economica, così da comparare secondo dati omogenei, in termini di presumibile equivalenza o, al contrario, di palese sproporzione, la capitalizzazione della rendita reale del bene trasferito e la capitalizzazione delle rendite e delle utilità periodiche dovute nel complesso dal vitaliziante.
4. – Il quinto motivo di ricorso denuncia la violazione ed errata applicazione dell'art. 210 c.p.c. e dell'art. 2946 c.c.
La censura attiene al ritenuto “difetto di prova sulla sussistenza e consistenza di beni mobili appartenuti alla de cuius e dei quali si è appropriato G. M., omettendo così la pronuncia sulla apertura della successione legittima di M. M.”. Si assume che “è implausibile ritenere che C. M. autosufficiente economicamente e proprietaria del patrimonio immobiliare ereditato dal padre vivesse senza neppure un soldo di risparmio”. A fronte di ciò, il Tribunale aveva “ riaperto il giudizio e licenziato l'istruttoria e con ordinanza 19.02.09 … rimesso la causa sul ruolo”, disponendo CTU sia sul valore dei beni immobili oggetto dell’atto 22 ottobre 1998, sia “contabile volta ad accertare di quali conti correnti e di quali deposito titoli fosse intestataria o cointestataria C. M., con indicazione di quali somme e quali titoli fossero presenti al giorno della morte della predetta e ricostruzione degli aspetti principali della precedente evoluzione dei conti correnti e dei depositi”. Nella stessa ordinanza il Tribunale aveva riservato “la valutazione circa l'opportunità di disporre ordine di esibizione dei rapporti bancari del convenuto e dei suoi familiari dal 1998 al 2004, ovvero di procedere a CTU contabile mirante al medesimo accertamento". Osserva la ricorrente che “poiché l'acquisita CTU contabile non è stata in grado di riferire sul beneficiario dei prelevamenti per Lit. 44.000.000 e dell'accredito dei Bot semestrali per Lit. 75.000.000 in quanto il Banco di (omissis) ha dichiarato che il materiale d'archivio non è più disponibile e quindi prescritto a termini di legge", e poiché alcune operazioni sarebbero comunque state effettuate al di fuori del “termine di prescrizione invocato dal Banco”, devono reiterarsi le istanze di ordine di esibizione al Banco di (omissis) e di interrogatorio formale. La censura sostiene che “non è configurabile decadenza alcuna nell'istanza attorea di ordine di esibizione”, in quanto “ordine già costituente autonomo capo (il terzo) della ordinanza collegiale”.
Insistendo “per l'ammissione degli instati mezzi istruttori”, il quinto motivo di ricorso finisce per denunciare plurime “omesse pronunce” (quanto all’apertura della successione, alla determinazione della massa ereditaria, alla attribuzione della quota di spettanza di M. R. M.).
4.1. – Il quinto motivo di ricorso è inammissibile per carenza di specifica riferibilità, ex art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c., alla ratio decidendi della sentenza impugnata.
4.2. – La Corte d’appello di Genova ha sul punto affermato che M. R. M. non aveva assolto all'onere probatorio relativo alla esistenza di beni mobili di proprietà della de cuius C. M., stante l’inammissibilità per tardività delle deduzioni istruttorie (nella specie, l’istanza di esibizione ex art. 210 c.p.c. al Banco di (omissis)) su prelievi e risultanze di rapporti di conto corrente.
4.3. Non vi è dubbio che l’istanza ex art. 210 c.p.c. da rivolgere, come nella specie, ad una banca, per ottenere copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni (dopo aver sperimentato vanamente la richiesta ex art. 119, comma 4, d.lgs. n. 385 del 1993), deve essere formulata entro il termine per le preclusioni istruttorie sancito dall'art. 183, comma 6, c.p.c. (nella specie applicabile ratione temporis) (tra le tante, Cass. n. 12993 del 2023), non potendo prestarsi l’ordine di esibizione a superare le preclusioni processuali, né ad aggirare l'onere incombente sulla parte di fornire le prove che essa sia in grado di procurarsi e che non può pretendere di ricercare mediante l'attività del giudice. Essendo il regime delle preclusioni istruttorie inteso non solo a tutela dell'interesse di parte, ma anche dell'interesse pubblico a scongiurare l'allungamento dei tempi del processo, non può intendersi che abbia rispetto ad esso portata derogatoria il provvedimento ordinatorio con cui il giudice, come nella specie, riservi di rivalutare l’opportunità di accogliere una istanza di esibizione formulata comunque tardivamente.
La censura non attiene specificamente, peraltro, alla disciplina dell’esame contabile, ai sensi dell'art. 198 c.p.c., nel quale il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell'osservanza della disciplina del contraddittorio delle parti ivi prevista, può acquisire, anche prescindendo dall'attività di allegazione delle parti, tutti i documenti necessari al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, seppure diretti provare i fatti principali posti dalle parti a fondamento della domanda e delle eccezioni (Cass. Sez. Unite n. 3086 del 2022).
Restano in ciò assorbite le doglianze sulle “omesse pronunce”, le quali, d’altro canto, neppure risultano articolate in specifico motivo riconducibile in maniera immediata ed inequivocabile al vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., con riguardo all'art. 112 c.p.c., e recante univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione (Cass. Sez. Unite n. 17931 del 2013).
5. I primi quattro motivi del ricorso di M. R. M. vanno perciò accolti, nei sensi di cui in motivazione, mentre viene dichiarato inammissibile il quinto motivo. La sentenza impugnata deve essere cassata nei limiti delle censure accolte, con rinvio alla Corte d’appello di Genova, in diversa composizione, che procederà ad esaminare nuovamente la causa uniformandosi al principio enunciato e tenendo conto dei rilievi svolti, e provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi quattro motivi di ricorso, dichiara inammissibile il quinto motivo, cassa la sentenza impugnata nei limiti delle censure accolte e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Genova, in diversa composizione.