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24 novembre 2023
Integra l’aggravante della violenza sulle cose la rimozione della placca antitaccheggio dalla merce in vendita nei negozi
L'aggravante della violenza sulle cose, ex art. 625, c. 1, n. 2), c.p., si può configurare anche quando la violenza è rivolta allo strumento materiale apposto sulla cosa per garantirne una più efficace difesa, come ad esempio in caso di manomissione dell'antitaccheggio inserita sulla merce messa in vendita nei grandi magazzini, destinata ad attivare i segnalatori acustici ai varchi di uscita.
La Redazione
Il Tribunale doveva statuire su un'imputazione di tentato furto aggravato da violenza sulle cose ed esposizione alla pubblica fede, in relazione ad atti di impossessamento di capi di abbigliamento esposti in un negozio, da uno dei quali l'imputato avrebbe rimosso la placca antitaccheggio.
Lo stesso Tribunale riteneva che la manomissione dell'antitaccheggio applicato sulla merce in vendita nei negozi integrava l'aggravante prevista dall'art. 625, c. 1, numero 2), c.p..
Il Tribunale ordinario di Firenze ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell'art. 625, c. 1, numero 2), c.p., per violazione degli artt. 13, 25, c. 2, e 27, c. 3, Cost., «nella parte in cui non richiede – per l'integrazione della circostanza aggravante della violenza sulle cose – che la cosa oggetto di violenza abbia un valore economico apprezzabile, per quanto modesto, o, in alternativa, che la violenza esplicata sia tale da comportare un pericolo per l'integrità delle persone o delle cose circostanti».
Per il giudice a quo la mancata previsione degli elementi costitutivi dell'aggravante porrebbe la norma in contrasto con il principio di offensività del reato, previsto dagli artt. 13 e 25, c. 2, Cost., e con la finalità rieducativa della pena, sotto il profilo del difetto di proporzionalità, di cui all'art. 27, c. 3, Cost.
Ad avviso del rimettente, il notevole inasprimento sanzionatorio determinato dall'applicazione dell'aggravante della violenza sulle cose sarebbe ingiustificato sotto il profilo dell'offensività, visto «il valore irrisorio del citato dispositivo», il che non permetterebbe all'autore del reato di vedere giusta la pena comminatagli, e di conseguenza la pena non potrebbe svolgere la sua funzione rieducativa.
Per la Consulta, tali doglianze non sono fondate
 
La norma censurata individua tra le circostanze aggravanti del reato di furto la cosiddetta violenza reale «se il colpevole usa violenza sulle cose».
L'art. 392, c. 2, c.p. fornisce la nozione di tale tipo di violenza, ossia: «[a]gli effetti della legge penale, si ha violenza sulle cose allorché la cosa viene danneggiata o trasformata, o ne è mutata la destinazione».
 
Difatti, per costante giurisprudenza di legittimità,
 

precisazione

«ai fini della configurabilità dell'aggravante della violenza sulle cose ex art. 625, primo comma, numero 2), cod. pen., non è necessario che la violenza venga esercitata direttamente sulla res oggetto dell'impossessamento, ben potendo l'aggravante configurarsi anche quando la violenza sia rivolta allo strumento materiale apposto sulla cosa per garantirne una più efficace difesa, ciò che si verifica appunto in caso di manomissione della placca antitaccheggio inserita sulla merce offerta in vendita nei grandi magazzini, destinata ad attivare i segnalatori acustici ai varchi di uscita».


La violenza sulla cosa esercitata tramite rimozione dell'antitaccheggio ha natura funzionale, in quanto tale condotta, oltre a determinare sul piano strutturale una trasformazione oggettiva della cosa protetta, privata di una componente essenziale, sotto il profilo funzionale preclude lo scopo difensivo, rendendo inefficace il sistema antifurto.
Per questi motivi, con sentenza n. 207 del 23 novembre 2023, la Consulta dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 625, primo comma, n. 2), c.p., sollevate, in riferimento agli artt. 13, 25, secondo comma, e 27, terzo comma, Cost., dal Tribunale ordinario di Firenze,