Con il D.L. n. 69/2013, l'ordinamento ha previsto la pubblicità mediante trascrizione degli accordi di mediazione che accertano l'usucapione con la sottoscrizione del processo verbale autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato.
La vicenda trae origine dalla richiesta dell'attuale ricorrente di vedersi accertato il diritto di proprietà per usucapione di un immobile che il medesimo assumeva di aver posseduto “uti dominus” da vent'anni, per avergli la proprietaria trasferito il possesso, avendo deciso di venderglielo.
La convenuta resisteva alla domanda...
Svolgimento del processo
1. M.C., nel 2011, convenne in giudizio M.T.L. perché fosse accertato il proprio diritto di proprietà per usucapione d’un immobile che l’attore assumeva di avere posseduto “uti dominus” sin dall’1/3/1991, per avergli la proprietaria trasferito il possesso, avendo deciso di venderglielo.
La convenuta aveva resistito alla domanda eccependo che la controparte, dopo avere stipulato con la medesima un contratto preliminare di compravendita il 22/10/1992, era venuta meno all’obbligo di corrispondere il corrispettivo pattuito di € 340.000,00. All’esito dell’esperito tentativo di mediazione e conciliazione (sollecitato dal Tribunale), le parti rilasciarono precisazione delle conclusioni congiunta, con la quale dichiararono essere rimasto accertato l’usucapione dell’attore, salvo l’obbligo per costui di rimborsare le somme corrisposte per ICI dalla convenuta.
2. La Corte d’appello di Roma, nel contraddittorio con l’interveniente M.S. – acquirente dell’immobile, in base al decreto giudiziale n. 1752/2014, all’esito di procedimento espropriativo promosso a carico della L. nel 1996 – e nella contumacia della L., rigettò l’impugnazione del C..
2.1. Questo, in sintesi, il ragionamento del Giudice di secondo grado.
- non risultava risolutivo l’asserto a mente del quale si sarebbe trattato di possesso, in quanto la consegna era stata effettuata in epoca (marzo 1991) antecedente alla stipula del contratto preliminare (ottobre 1992), e quindi, quanto meno da quest’ultima data, si era trattato di una mera detenzione qualificata.
3. M.C. propone ricorso avverso la sentenza d’appello sulla base di tre motivi. M.S. resiste con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie e il P.G., conclusioni scritte.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1140, 1141, 1142, 1158, 1165, 2697, 2943 e 2944 cod. civ.
Secondo l’assunto impugnatorio la Corte locale aveva errato a non apprezzare il decorso del possesso utile all’usucapione sin dal marzo 1991, nonostante lo stesso fosse avvenuto inequivocamente, con modalità pacifiche e pubbliche e si fosse protratto per il ventennio di legge, non quale effetto anticipato derivante dal preliminare, ma prima della stipula di esso contratto, il quale, per contro, prevedeva la consegna solo con la trascrizione ipotecaria, in relazione agli effetti cambiari che il promissario acquirente si era obbligato a rilasciare e, anzi, in altra parte dello strumento, solo con il rogito notarile. Le cambiali, per il residuo prezzo di € 216.00,00, erano state emesse in favore della s.r.l. S. e non della venditrice o del suo procuratore (la vicenda era poi sfociata in una condanna penale a carico di B.G., il quale si era appropriato della somma di denaro ricavata dallo sconto bancario dei titoli).
Inoltre, viene soggiunto, che non poteva ipotizzarsi rinuncia all’usucapione, poiché l’ “animus possidendi” non impone l’intimo convincimento di essere proprietario, bensì consiste nell’intenzione di comportarsi come tale; quindi la stipula del preliminare <<non degrada il proprio possesso (ad usucapionem) in detenzione qualificata>>.
2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione ed errata applicazione dell’art. 184 cod. proc. civ., stante che la L. aveva <<rinunciato alla propria eccezione afferente l’efficacia impeditiva del diritto rivendicato dall’attore per effetto della sottoscrizione del contratto preliminare (…) attraverso la formulazione delle conclusioni congiunte delle parti all’udienza di precisazione>> e, quindi, il Giudice non avrebbe potuto fondare la propria decisione su una tale eccezione.
3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione ed errata applicazione degli artt. 2, d. lgs. n. 28/2010 e 115 cod. proc. civ.
Il verbale di conciliazione aveva il valore di contratto di accertamento diretto a rimuovere l’incertezza in ordine ai fatti posti a fondamento dell’acquisto a titolo originario e, quindi, non poteva che avere ad oggetto il possesso ad “usucapionem”.
Le parti <<erano tornate in sede giudiziale>> al solo fine di ricezione delle già raggiunte risultanze con pronuncia valevole “erga omnes”.
4. Esaminati congiuntamente i proposti motivi, tra loro osmotici e correlati, il ricorso, nel suo insieme deve essere rigettato, sia pure con diversa motivazione, nel senso di cui appresso correggendosi la motivazione della Corte d’appello.
4.1. Sono note le dispute dottrinarie e i contrasti giurisprudenziali a riguardo dell’ammissibilità del negozio d’accertamento, tuttavia non occorre prendere specifica posizione sul punto.
L’art. 5, co. 1, d. lgs. n. 28/010, ora art. 5, co. 1bis (dopo che la Corte cost., con la sentenza n. 272/2012, dichiarò incostituzionale, per eccesso di delega, l’articolo 5, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 - Attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali -, l’istituto venne reintrodotto dal legislatore con l’art. 84, co. 1, d. l. n. 69/2013, conv. nella l. n. 98/2013) dispone l’obbligo del tentativo di conciliazione, fra le altre, in materia di diritti reali.
Il terzo comma dell’art. 11 della l. n. 28/2010 prevede che <<Se è raggiunto l'accordo amichevole di cui al comma 1 ovvero se tutte le parti aderiscono alla proposta del mediatore, si forma processo verbale che deve essere sottoscritto dalle parti e dal mediatore, il quale certifica l'autografia della sottoscrizione delle parti o la loro impossibilità di sottoscrivere. Se con l'accordo le parti concludono uno dei contratti o compiono uno degli atti previsti dall'articolo 2643 del codice civile, per procedere alla trascrizione dello stesso la sottoscrizione del processo verbale deve essere autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato>>.
La domanda del C. venne proposta nel 2011, quindi prima dell’entrata in vigore del n. 12bis dell’art. 2643 cod. civ. e proprio al fine, come evidenziato dallo stesso ricorrente, di ovviare al prevalente indirizzo giurisprudenziale che negava la trascrivibilità dell’accordo conciliativo mediante il quale vengono riconosciuti sussistere i presupposti per l’usucapione.
Riesce difficile negare, in un quadro controverso, sia in dottrina che in giurisprudenza, l’effetto di trascinamento interpretativo procurato dall’introduzione dell’ipotesi specifica di trascrizione sopra evidenziata, in uno al rinvio alle ipotesi di trascrizione di cui all’art. 2643 cod. civ., operato dal terzo comma dell’art. 11 della l. . 28/2010. Se è pur vero che al tempo della domanda prevaleva l’indirizzo che negava la trascrivibilità di un tale accordo, l’introduzione del n. 12bis pone la questione sotto una luce diversa della quale non può non tenersi conto.
A proposito della valenza della nuova ipotesi di negozio soggetto a trascrizione già dai primi commenti è dato cogliere lo smarrimento nel dovere equiparare l’effetto della trascrizione di un acquisto a titolo originario a quelli a titolo derivativo e cioè che la collocazione topografica della fattispecie di nuova introduzione imponga di assegnare a una tale trascrizione l’effetto di pubblicità dichiarativa, con efficacia “erga omnes” (art. 2644 cod. civ.), invece che nei solo confronti del soggetto contro il quale una tale trascrizione venga operata, mettendo così a serio rischio la stabilità dei traffici immobiliari.
Si è anche giunti a ipotizzare l’incostituzionalità della norma per manifesta irragionevolezza e violazione del principio d’uguaglianza in relazione all’art. 2651 cod. civ. Quest’ultima disposizione, infatti, assegna alla trascrizione della sentenza dichiarativa dell’usucapione, natura di mera pubblicità notizia.
Tutto ciò premesso al fine di opportuno inquadramento deve osservarsi nello specifico quanto appresso.
4.2. Poiché al tempo della domanda non era stato ancora introdotto il n. 12bis all’art. 2643 cod. civ. l’accordo non fu trascritto e, di conseguenza, non occorre qui ragionare a riguardo dell’effetto di una tale trascrizione; effetto, come si è accennato, alquanto controvertibile.
Si è sopra ricordato che la Corte di Roma ha rigettato l’impugnazione in quanto <<la maturazione dell’usucapione deve essere necessariamente accertato in sede giudiziale>>.
L’affermazione non può essere condivisa per due ordini di ragioni. Secondo principio di diritto da tempo consolidato nella giurisprudenza di questa Corte (si veda, ex multis, Cass. nn. 7853/2018, 2485/2007) colui che reputi di essere divenuto proprietario per usucapione può, spendendo una tale qualità, disporre del bene, anche mediante atto notarile, non affetto, pertanto, da nullità per tale ragione, fermo restando, ovviamente, la responsabilità nei confronti dell’acquirente, ove l’affermazione dell’acquisto a titolo originario venga a risultare insussistente e quella (anche disciplinare) del notaio rogante ove sia venuto meno all’obbligo di informare adeguatamente l’acquirente del rischio di un siffatto acquisto (cfr. Cass. nn. 32147/2018, 7485/2007 cit.).
Deve, di poi, soggiungersi, ribadendo quanto sopra anticipato, che l’ordinamento si è indirizzato nel senso di riconoscere l’interesse, sottostante al negozio conciliativo dichiarativo dei presupposti dell’usucapione, meritevole di tutela. Né, avversativamente vale opinare che la norma, che in tal senso ha assunto significato rilevante, risulta essere stata introdotta in epoca successiva all’accordo raggiunto dal C. con la L..
Invero, l’interprete non può sfuggire al dovere di tener conto del complessivo assetto ordinamentale vigente. Né, sempre avversativamente, può investirsi di significato dirimente la regola della non retroattività della legge (art. 11 delle preleggi): qui non è in gioco l’applicazione di un istituto generato da una legge posteriore, bensì si tratta di ricostruire il complessivo sistema ordinamentale apprezzando, nel loro insieme, i “mattoni” significanti.
Per le esposte ragioni non può condividersi la motivazione resa dalla Corte di Roma, che deve essere corretta ai sensi dell’art. 384, u.c., cod. proc. civ., con il principio di diritto sopra enunciato.
4.3. La domanda e, di conseguenza il ricorso, non meritano di essere accolti per altre ragioni.
Così come l’alienazione, il cui titolo sia costituito dall’affermazione del venditore di essere divenuto proprietario a titolo originario per usucapione, sia pure trascritta, non resiste alla legittima pretesa del titolare che risulti di non avere perduto la proprietà per usucapione, allo stesso modo l’accordo conciliativo non può frustrare il diritto del terzo acquirente estraneo a un tale negozio. Ipotesi, quest’ultima, nella quale qui ci si imbatte, avendo come già detto, la S. acquistato in sede di procedura espropriativa ai danni della L..
A parte le considerazioni svolte è di tutta evidenza che la soluzione opposta presterebbe il fianco ad agevoli manovre fraudolente ai danni del terzo acquirente, ancor più probabili ove l’usucapito, gravato di debiti, abbia in corso procedura espropriativa, come nel caso.
È appena il caso di ribadire che l’argomento risolutivo di cui sopra prescinde del tutto dalla trascrizione della conciliazione, che al tempo, era assai dubbio potesse effettuarsi in assenza di specifica norma, introdotta solo successivamente. Perciò ci si asterrà dall’indugiare oltre nell’esaminare la portata e gli effetti della nuova previsione di trascrizione, i quali, come si è anticipato, appaiono controvertibili.
4.4. Val la pena, infine, soggiungere che, la diversità di motivazione adottata da questa Corte non impone stimolare il contraddittorio, versandosi in apprezzamenti squisitamente ed esclusivamente giuridici. Per contro, l'obbligo del giudice di indurre il contraddittorio sulle questioni rilevate d'ufficio, non riguarda quelle di diritto, bensì quelle di fatto (ex plurimis Sez. 2, n. 1617 del 2022).
5. La complessità e, in parte novità, delle questioni affrontate consiglia l’integrale compensazione delle spese del giudizio di legittimità.
6. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall'art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e compensa per intero fra le parti le spese.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall'art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.