Si tratta di cappelli e scaldacollo recanti il marchio “D10s”. La Cassazione ha respinto il ricorso contro la misura cautelare, rilevando come dalla documentazione allegata risulti l'esistenza di un marchio comunitario registrato regolarmente.
Il
Contro tale pronuncia propone ricorso per cassazione il difensore dell'indagato, ritenendo insussistente il fumus commissi delicti.
Con la sentenza n. 47652 del 28 novembre 2023, la Cassazione dichiara manifestamente infondato il ricorso, richiamando l'orientamento giurisprudenziale secondo cui in tema di sequestro preventivo o probatorio, è ammesso il ricorso per cassazione solo per violazione di legge, dovendosi ricomprendere in tale nozione gli errores in procedendo, gli errores in iudicando ed i vizi della motivazione a tal punto radicali da rendere l'apparato argomentativo a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza.
Ora, nel caso di specie non può dirsi sussistente un vizio di motivazione, considerato che la rappresentazione dell'avvenuta registrazione del marchio si era fondata su un elemento comunque legittimamente acquisito agli atti delle indagini, ossia un documento proveniente dal legale rappresentante delle aziende che si assumono titolari del diritto di autore. Pertanto è legittimo il sequestro probatorio emesso sulla base della notitia criminis acquisita in precedenza allo scopo di accertare i termini esatti della condotta denunciata o ipotizzata per valutarne non solo la contrarietà all'ordinamento giuridico, ma anche l'esatta qualificazione giuridica.
Legittimo allo stato, dunque, il sequestro del materiale che si assume essere contraffatto per approfondire il tema nel corso delle indagini.
Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza (ud. 25 ottobre 2023) 28 novembre 2023, n. 47652
Svolgimento del processo
1. Il Tribunale della libertà di Napoli, con ordinanza in data 30 maggio 2023, respingeva l'istanza di riesame avanzata nell'interesse di (omissis) (omissis) avverso il decreto di sequestro probatorio emesso dal P.M. di Napoli l'11-5-2023 avente ad oggetto 93 cappelli e 53 scaldacollo recanti il marchio(omissis).
2. Avverso detta ordinanza proponeva ricorso per cassazione il difensore dell'indagato, Avv.to I., chiedendo, con distinti motivi qui riassunti ex art. 173 disp.att. cod.proc.pen.:
- violazione di legge e vizio radicale della motivazione in quanto le risultanze indiziarie raccolte nel corso delle indagini non consentivano di ritenere sussistente il fumus commissi delicti ovvero l'astratta configurabilità degli illeciti ipotizzati in riferimento al segno l'elaborato sui contenuti del quale si fondava la decisione impugnata non era qualificabile come documento non essendo identificata compiutamente la fonte del contenuto informativo dell'atto; l'ordinanza impugnata appariva priva di motivazione in ordine alla doglianza devoluta al tribunale quanto alla natura di marchio registrato del segno oggetto di contestazione riprodotto negli oggetti sequestrati al ricorrente anche in relazione al presunto·diritto di privativa spettante al preteso titolare; in mancanza di tali presupposti i reati non erano ipotizzabili; assenza totale di motivazione in ordine alla doglianza circa la brevettabilità di un segno o di un acronimo inequivocabilmente evocativo di una figura universalmente nota trattandosi di denominazione riferibile al fuoriclasse argentino (omissis) avuto riguardo alle previsioni del codice della proprietà industriale;
- violazione di legge, motivazione mancante e comunque apparente in relazione al fumus in quanto il contenuto dell'elaborato posto a fondamento del provvedimento di sequestro da un soggetto qualificatosi legale rappresentante dell'impresa che avrebbe depositato la domanda di registrazione del marchio veniva qualificato come documento benché non fosse certa l'identificazione della fonte conoscitiva di provenienza della prova. Invero il documento per essere ritenuto tale deve risultare materialmente formato fuori dal procedimento mentre, nel caso di specie, il sedicente legale rappresentante della persona giuridica aveva predisposto l'elaborato su richiesta della polizia giudiziaria delegata; pertanto la dichiarazione scritta riportante le affermazioni del sedicente titolare del diritto di privativa non risultava acquisita nelle forme prescritte per l'atto di indagine con conseguente nullità del provvedimento impugnato.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è manifestamente infondato e deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile; ed invero nel caso di specie va richiamato l'orientamento secondo cui in materia di sequestro preventivo o probatorio il ricorso per cassazione è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli "errores in iudicando" o "in procedendo", sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice. (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Rv. 239692 - 01). E nel caso di specie la totale apparenza della motivazione non può dirsi sussistere anche in relazione all'elemento contestato stante che la rappresentazione dell'avvenuta registrazione del marchio è stata fondata su un elemento comunque legittimamente acquisito agli atti delle indagini trattandosi di documento proveniente dal legale rappresentante delle aziende che si assumono titolari del diritto d'autore, al quale peraltro risultano allegati anche gli atti di registrazione comunitaria del marchio.
Deve pertanto ricordarsi come sia stato affermato che è legittimo il sequestro probatorio, emesso sulla base di una "notitia criminis" precedentemente acquisita, per accertare gli esatti termini della condotta denunciata o ipotizzata, al fine non solo di valutarne l'antigiuridicità ma anche la sua esatta qualificazione giuridica (Sez. 3, n. 24846 del 28/04/2016, Rv. 267195 - 01).
Legittimo appare pertanto, quanto meno allo stato, il sequestro del materiale che si assume contraffatto al fine di approfondire tale tema nel prosieguo delle indagini.
In conclusione; l'impugnazione deve ritenersi inammissibile a norma dell'art: 606 comma terzo cod.proc.pen.; alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell'art. 616 cod.proc.pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in € 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.