Svolgimento del processo
1. B.G., D.S.C. e P.C. (quest’ultimo deceduto in corso di giudizio) hanno impugnato la cartella di pagamento notificata nel 2017, avente ad oggetto imposta di registro relativa alla sentenza del Tribunale di Massa n. 797/2009, riformata dalla Corte di appello di Genova con sentenza n. 1200 del 2013.
2. Il ricorso è stato accolto in primo grado.
3. L’appello del concessionario della riscossione è stato rigettato. Nella sentenza di appello si è evidenziato che l’importo dovuto quale imposta di registro in ordine all’atto giudiziario è stato quantificato con riferimento alla sentenza di primo grado, nonostante la già avvenuta riforma in appello ed il già intervenuto integrale adempimento del debito tributario da parte del condebitore solidale («Il secondo punto fondamentale è che la sentenza del Tribunale di Massa è stata parzialmente riformata dalla Corte di Appello di Genova e che sulla base di quest’ultima sentenza - che ha sostituito quella di primo grado - l’imposta di registro dovuta risulta essere pari a euro 17.405,00 che è stata richiesta a “O. s.p.a.” e da quest’ultima regolarmente pagata»).
1. Il concessionario della riscossione ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza di appello, formulando due motivi.
2. I contribuenti si sono costituiti con controricorso.
3. La causa è stata trattata all’adunanza camerale dell’8 novembre 2023.
Motivi della decisione
1. Con il presente ricorso la ricorrente ha denunciato: 1) la violazione degli artt. 7 della l. n. 212 del 2000 e 54, comma 5, del d.P.R. n. 131 del 1986, non sussistendo alcun vizio motivazionale della cartella impugnata, in considerazione della facile conoscibilità della sentenza a cui è collegata la pretesa tributaria, del contenuto vincolato della cartella, della indicazione di tutti gli elementi necessari, oltre che della operatività dei principio di cui all’art. 7 dello Statuto del contribuente solo per l’Amministrazione finanziaria e non anche per il concessionario, la cui cartella è adottata sulla base di un modello approvato con decreto direttoriale del Ministero delle Finanze; 2) la violazione, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod.proc.civ., dell’art. 54, comma 4, del d.P.R. n. 131 del 1986, nella parte in cui la sentenza ha affermato l’illegittimità della quantificazione dell’imposta in base all’importo del risarcimento liquidato in primo grado, ma ridotto con la sentenza di appello, atteso che, sino alla formazione del giudicato, la pretesa è dovuta in base alle sentenze emesse e l’eventuale riforma dà titolo solo ad eventuale conguagli.
2. Il secondo motivo è infondato e comporta l’assorbimento del primo, escludendo ogni possibilità di pretesa tributaria nel caso in esame.
Prima di passare all’esame del motivo, occorre premettere che la cartella impugnata, secondo quanto risulta dalla sentenza impugnata, non è stata preceduta da un avviso di liquidazione ex art. 54, comma 5, del d.P.R. n. 131 del 1986, e che, quindi, è il primo atto impositivo intervenuto (nella sentenza impugnata si fa, difatti, riferimento, conformemente alle allegazioni dei ricorrenti, non contestate da Equitalia Giustizia s.p.a., ad una cartella esattoriale non preceduta da un avviso di accertamento), per cui risultano ammissibili, ai sensi dell’art. 19, comma 3, d.lgs. n. 546 del 1992, i motivi relativi alla debenza del tributo.
2.1. L’art. 37 del d.P.R. n. 131 del 1986 stabilisce che «gli atti dell'autorità giudiziaria in materia di controversie civili che definiscono anche parzialmente il giudizio, i decreti ingiuntivi esecutivi, i provvedimenti che dichiarano esecutivi i lodi arbitrali e le sentenze che dichiarano efficaci nello Stato sentenze straniere, sono soggetti all'imposta anche se al momento della registrazione siano stati impugnati o siano ancora impugnabili, salvo conguaglio o rimborso in base a successiva sentenza passata in giudicato; alla sentenza passata in giudicato sono equiparati l'atto di conciliazione giudiziale e l'atto di transazione stragiudiziale in cui è parte l'amministrazione dello Stato». Tale disposizione comporta, quindi, la possibilità di esigere l’imposta di registro anche in ordine ad atto giudiziario non definitivo e, quindi, provvisorio e, cioè, in ordine ad un atto giudiziario ancora impugnabile o già effettivamente impugnato, salva la doverosità della restituzione e/o del conguaglio in caso di eventuale annullamento o riforma - restituzione o conguaglio che sono, però, differiti al momento del giudicato. Da ciò non può, però, derivare anche la possibilità e conseguente legittimità di pretendere l’imposta di registro in ordine ad un atto giudiziario che non sia semplicemente impugnabile o impugnato, ma che sia stato già riformato e, quindi, non più esistente, come è avvenuto nel caso di specie, in cui l’atto impugnato è stato notificato nel 2017, quando la sentenza a cui si riferisce (sentenza del Tribunale di Massa n. 797 del 2009) era già stata riformata (dalla sentenza della Corte di Appello di Genova n. 1200 del 2013): in tale ipotesi, difatti, è venuto meno il presupposto d’imposta. Tale principio è già stato enunciato (sia pure a livello di obiter) in un precedente di questa Corte (Cass., Sez. 5, 8/07/2020, n. 14281), in cui si legge: «la legittimità dell'avviso di liquidazione dell'imposta di registro su un atto giudiziario non definitivo va valutata in base alla antecedenza di detto avviso rispetto al provvedimento che riforma l'atto in base al quale esso (avviso) sia stato emanato». Invero, l’art. 37 d.P.R. n. 131 del 1986 si limita a consentire la pretesa dell’imposta di registro in ordine ad un atto giudiziario non ancora definitivo, ma pur sempre presente nell’ordinamento giuridico, ma non può, invece, rendere legittima la pretesa tributaria in ordine ad un atto giudiziario che oramai non esiste più, essendo già stato riformato (e, quindi, sostituito) o annullato. Una diversa conclusione contrasterebbe con la natura dell’imposta di registro quale imposta d’atto, che deve necessariamente collegarsi ad un atto esistente, come confermato dalla debenza della restituzione e del conguaglio in caso di tributo preteso in ordine ad un atto non definitivo e successivamente annullato o riformato con provvedimento definitivo.
Il motivo va, quindi, rigettato in applicazione del seguente principio: «in tema d'imposta di registro ex art. 37 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 sugli atti dell'autorità giudiziaria, il provvedimento è soggetto ad imposta e può, quindi, essere emesso l’avviso di liquidazione ex art. 54, comma 4, d.P.R. n. 131 del 1986 anche se al momento della registrazione può ancora essere impugnato o è stato impugnato, ma non anche ove sia già stato riformato e/o annullato e sia conseguentemente venuto meno il presupposto di imposta».
3. Solo per completezza deve rilevarsi che, come risulta dalla sentenza impugnata, il debito tributario (nella misura dovuta in base alla sentenza di riforma) risulta già adempiuto e, quindi, estinto dal coobbligato solidale.
4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente a rifondere, in favore della parte controricorrente, le spese di lite, che liquida in complessivi euro 4.200,00, oltre euro 200,00 per spese vive, spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge;
ai sensi dell'articolo 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'articolo 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.