
Si configura infatti una responsabilità di tipo contrattuale che fa scattare il risarcimento dei danni con la prova del danno patito.
La vicenda ha inizio con la richiesta dell'odierno ricorrente di accertare l'inadempimento contrattuale del Patronato al quale egli si era rivolto per gestire la sua domanda di pensione di anzianità con conseguente condanna al risarcimento dei danni per una somma pari alle 27 mensilità che egli avrebbe percepito se solo il Patronato avesse gestito in modo diligente il mandato affidato.
Il Tribunale di Pordenone rigettava la domanda, sostenendo innanzitutto che il rapporto intercorrente tra le parti si inquadrasse nel mandato gratuito, e che dunque la colpa dovesse essere valutata con minor rigore, e poi che il Patronato avesse svolto tutte le attività necessarie per portare a compimento l'incarico ricevuto e con la diligenza prescritta.
A seguito di gravame, la Corte d'Appello confermava la pronuncia di primo grado.
La questione viene allora prospettata dinanzi alla Corte di Cassazione.
Con l'ordinanza n. 34475 dell'11 dicembre 2023, la Cassazione dichiara il ricorso fondato, rilevando come sulla base della consolidata giurisprudenza di legittimità, gli Istituti di Patronato assumano verso i propri assistiti una responsabilità di tipo contrattuale che si traduce nel mandato loro conferito con il quale vengono abilitati al compimento di tutti gli atti necessari per conseguire le prestazioni, accompagnato da un pieno potere di rappresentanza.
Proprio in virtù della natura dell'attività svolta, la diligenza ad essi richiesta deve essere valutata ai sensi dell'
- Non avesse verificato e sistemato la posizione contributiva del ricorrente prima di proporre la sua domanda di pensione;
- Non avesse specificato nella domanda di pensione che essa avveniva in regime di “totalizzazione”;
- Fosse rimasto inerte per 2 anni circa in seguito al rigetto della prima domanda di pensione;
- Avesse lasciato che la posizione contributiva del ricorrente fosse controllata e sistemata da altro Patronato cui l'interessato si era appositamente rivolto.
Quanto all'onere probatorio, poi, gli Ermellini hanno evidenziato che, a fronte dell'inadempimento lamentato dall'attore, è il convenuto ad essere chiamato a dimostrare di avere esattamente dato corso alla prestazione lui affidata ovvero la non imputabilità a sé dell'inidoneità della stessa.
Anche in tal senso, la Corte territoriale non ha fatto applicazione corretta del suddetto orientamento giurisprudenziale, dunque gli Ermellini cassano la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d'Appello.
Svolgimento del processo
1. Nel 2015 M. S. conveniva davanti al Tribunale di Pordenone (omissis) chiedendo accertarsi l’inadempimento contrattuale dell’Istituto convenuto, con conseguente condanna dello stesso a titolo di risarcimento danni al pagamento in suo favore della somma di euro 55.942,92, pari alla somma delle ventisette mensilità di pensione di anzianità, che aveva perso a causa del grave comportamento omissivo del Patronato nella gestione del mandato.
A fondamento della domanda deduceva: a) che aveva conferito mandato al Patronato “per la presentazione di domanda di pensione di anzianità”; il Patronato aveva presentato in data 30 giugno 2011 l’istanza, che in data 17 agosto 2011 era stata tuttavia respinta dall’Inps per carenza contributiva; b) nelle more aveva presentato, sempre per il tramite del Patronato E., una domanda di riscatto per la copertura assicurativa del periodo 3 settembre 1995 -31 ottobre 1995 (cioè due mesi) nella Gestione Separata, che invece era stata accolta; c) in data 27 luglio 2013 il Patronato aveva replicato al provvedimento dell’Inps del 17 agosto 2011, chiedendo all’Istituto il riesame della domanda di pensione del 30 giugno 2011, adducendo l’avvenuto riscatto dei due mesi di contributi nella Gestione separata e precisando per la prima volta che la prestazione avrebbe dovuto essere liquidata in regime di totalizzazione; d) l’Inps con provvedimento del 6 agosto 2013 aveva respinto tale ultima istanza, che veniva considerata nuova domanda, sempre per parenza del requisito contributivo; e)a quel punto aveva revocato il mandato al Patronato E. e si era rivolto al Patronato I., che, previa verifica della sua posizione assicurativa, si era avveduto che vi era una sovrapposizione di alcuni periodi assicurativi risalenti agli anni 1996-1997, con conseguente riduzione del totale di contributi da computare e che nell’estratto conto previdenziale, per l’anno 2005, era indicato il solo montante contributivo (pari a circa 40 mila euro) mentre mancava il corrispondente accredito contributivo (pari a 52 settimane); f) il Patronato I., effettuate le opportune rettifiche, aveva richiesto all’Inps di riesaminare la domanda, che veniva accolta con provvedimento del 20 gennaio 2014 e con decorrenza dal 1 agosto 2013; g) che già la domanda 30 giugno 2011 sarebbe stata accolta, se in essa fosse stato precisato che si intendeva richiedere la totalizzazione e se comunque detta domanda fosse stata correttamente istruita e gestita dal Patronato, con la conseguenza che avrebbe potuto attingere alla pensione di anzianità con decorrenza dal 1 luglio 2011.
Si costituiva il Patronato E. contestando la domanda attorea in fatto e in diritto. In particolare, rilevava che il S., alla data del 30 giugno 2011, versava in una situazione contributiva che comunque non gli avrebbe permesso di accedere alla pensione di anzianità (salvo riscatto dei contributi maturati nella gestione separata) e neppure di presentare una domanda di totalizzazione.
La causa veniva istruita mediante c.t.u. diretta a verificare se vi fosse stata negligenza nella presentazione della richiesta di pensione all’INPS.
Il Tribunale di Pordenone con sentenza n. 818/2018 rigettava la domanda, così argomentando:
a) il rapporto intercorso tra le parti andava inquadrato nel mandato, ma, trattandosi di mandato gratuito, la colpa andava valutata con minor rigore;
b) il Patronato aveva svolto tutte le attività necessarie per portare a compimento l’incarico ricevuto e non poteva imputarsi allo stesso di non avere presentato la domanda di pensione originaria in regime di totalizzazione, in quanto era risultato dalla espletata ctu e dalla acquisita documentazione che, alla data del giugno 2011, il S. non avrebbe comunque potuto ottenere la pensione di anzianità in regime di totalizzazione e, d’altra parte, la domanda di pensione da lui presentata il 30 giugno 2011 avrebbe dovuto essere intesa dall’Inps come domanda di pensione da valutarsi anche secondo il regime di totalizzazione;
c) il Patronato aveva diligentemente compiuto tutte le attività che poteva compiere e, in particolare, una volta accolta la domanda di riscatto, aveva chiesto il riesame della domanda originaria con attribuzione della pensione con decorrenza dalla data della domanda.
Avverso la sentenza del giudice di primo grado veniva proposta impugnazione dal S..
Si costituiva anche nel giudizio di appello il Patronato che chiedeva l’integrale rigetto della impugnazione ex adverso proposta.
La Corte di appello di Trieste con sentenza n. 266/2020, rigettando l’appello, confermava integralmente la sentenza di primo grado, condannando il S. alla rifusione delle spese processuali.
In particolare, secondo la corte territoriale, al tempo della presentazione, non vi era un obbligo di indicare nella domanda in modo espresso il regime della totalizzazione e d’altra parte, la domanda aveva significato solo in via di totalizzazione.
In conclusione, era risultato provato che il Patronato aveva gestito con diligenza la pratica e non era emerso comportamento diverso al quale lo stesso avrebbe dovuto attenersi.
2. Avverso la sentenza della corte territoriale ha proposto ricorso il S..
Ha resistito con controricorso il Patronato.
Il Difensore del Patronato ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Il ricorso del S. è affidato a due motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione di legge (artt. 1710 e 1176 secondo comma c.c.; art. 7 della legge n. 152 del 2001; art. 3 comma primo del d. lgs. n. 42/2006) nella parte in cui la corte territoriale ha effettuato una errata valutazione della diligenza richiesta all’Istituto di Patronato nell’esecuzione del mandato, mostrando di non conoscere le norme ed i principi che regolano l’istituto della totalizzazione dei periodi contributivi.
Sostiene che, essendo indubbia la natura contrattuale che assume il Patronato nei confronti dei propri assistiti, la diligenza del buon padre di famiglia, richiesta a tutti i debitori di un’obbligazione dall’art. 1176 secondo comma c.c. (e nello specifico al mandatario dall’art. 1710 c.c.), va valutata con riguardo alla natura dell’attività esercitata. Con riferimento all’attività svolta dai Patronati in favore dei lavoratori, pensionati ecc. ai sensi dell’art. 7 della legge n. 153 del 2001, la minima diligenza richiesta avrebbe comportato la verifica e l’eventuale sistemazione della posizione contributiva del mandante prima della proposizione della domanda di pensione, nonché la specificazione, all’atto della presentazione della domanda di pensione, che la stessa avveniva in regime di totalizzazione come espressamente richiesto dall’art. 3 del d. lgs. n. 42/2006.
Deduce che, secondo la giurisprudenza costituzionale e di legittimità, il regime della totalizzazione (introdotto in via generale con l’art. 71 della legge n. 388 del 2000) è speciale ed alternativo rispetto ad altre forme, già esistenti, di cumulo e/o ricongiunzione via via emanate nel tempo. In siffatto sistema, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito e dal ctu, “la totalizzazione è conseguibile a domanda del lavoratore” (art. 3 comma primo, d. lgs. n. 42/2006), che deve al riguardo esprimere una specifica volontà in tal senso.
1.2. Con il secondo motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione di legge (art. 2697 in relazione agli artt. 1218 e 1227 c.c.; art. 115 c.p.c.) nella parte in cui la corte territoriale non ha preso atto che nessuno aveva mai messo in dubbio: né la fonte negoziale (mandato) sulla base della quale il S. aveva contestato al Patronato l’inadempimento dei proprio obblighi, né il mancato compimento da parte del Patronato delle attività di verifica della posizione contributiva del S. (attività poi compiuta dal Patronato I.), né che E. avesse presentato la prima domanda di pensione senza specificare l’opzione di totalizzazione, né che se dette attività fossero state compiute prima del giugno 2021, la domanda sarebbe stata accolta con decorrenza dal primo luglio 2011; né l’esistenza del danno.
Sostiene il ricorrente che la corte di merito, se avesse preso atto delle suddette circostanze, avrebbe condannato senz’altro il Patronato al risarcimento del danno in favore del S. (sul quale invece ha fatto financo ricadere la colpa dell’accaduto, imputandogli di non aver proposto ricorso avverso il diniego dell’Inps e di aver preferito rivolgersi ad altro Patronato , che gli faceva ottenere l’accoglimento della seconda domanda presentata da E., nel quale vi era riferimento esplicito alla totalizzazione). Peraltro, il patronato, avendo ricevuto mandato di rappresentanza da parte del S. nei confronti dell’Inps, poteva tranquillamente proporre ricorso amministrativo avverso il diniego indipendentemente dall’autorizzazione del S..
2. Il ricorso è fondato.
2.1. Fondato è il primo motivo.
Occorre premettere che l’art. 7 della legge n. 152 del 2001 attribuisce agli Istituti di patronato e di assistenza sociale l’esercizio di attività di informazione, di assistenza e di tutela, anche con poteri di rappresentanza, a favore dei lavoratori dipendenti e autonomi, dei pensionati, dei singoli cittadini italiani, stranieri e apolidi presenti nel territorio dello Stato e dei loro superstiti e aventi causa per il conseguimento in Italia e all’estero delle prestazioni di qualsiasi genere in materia di sicurezza sociale, di immigrazione e emigrazione, previste da leggi, regolamenti, statuti, contratti collettivi ed altre fonti normative, erogate da amministrazioni ed enti pubblici, da enti gestori di fondi di previdenza complementare o da Stati esteri nei confronti dei cittadini italiani o già in possesso della cittadinanza italiana, anche se residenti all’esterno. In tale attività rientra anche l’informazione e la consulenza ai lavoratori e ai loro superstiti e aventi causa relative all’adempimento da parte del datore di lavoro degli obblighi contributivi e della responsabilità civile anche per eventi infortunistici.
Ciò posto, occorre aggiungere che, secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr. tra le tante, Cass. n. 18057/2018, n. 18814/2008 e 17997/2002) gli Istituti di Patronato assumono, nei confronti dei propri assistiti, una responsabilità contrattuale: il mandato conferito dagli assistiti abilita i suddetti Istituti a compiere tutti gli atti necessari per il conseguimento delle prestazioni, nonché attribuisce ad essi un pieno potere di rappresentanza.
Orbene, in considerazione alla specifica natura dell’attività esercitata, la diligenza richiesta agli Istituti di Patronato nell’adempimento del mandato va valutata ai sensi dell’art. 1176 secondo comma c.c.
Tale principio di diritto non è stato tenuto applicato dalla corte territoriale nella parte in cui la stessa ha ritenuto che il Patronato aveva gestito con diligenza la pratica:
- nonostante che il Patronato E.: a) non aveva verificato e “sistemato” la posizione contributiva del S., prima della proposizione della domanda di pensione; b) non aveva specificato, all’atto della presentazione della pensione, che la stessa avveniva in regime di “totalizzazione” (come richiesto dall’art. 3 comma primo del d. lgs. N. 42/2006); c) era rimasto inerte per circa due anni, dopo il rigetto della prima domanda di pensione (agosto 2011), essendosi attivato soltanto nel luglio del 2013 per presentare una richiesta di riesame;
- e nonostante che tale richiesta di riesame – che conteneva la specificazione che si trattava di pensione richiesta in regime di totalizzazione (e che per questa ragione veniva considerata dall’Inps come una nuova domanda di pensione) - è stata accolta dall’Inps soltanto dopo che la posizione contributiva del S. era stata controllata e sistemata da altro Patronato (al quale il S. si era nelle more rivolto).
2.2. Fondato è anche il secondo motivo.
Al riguardo, occorre ricordare che le Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n. 13533 del 2001 hanno affermato il seguente principio di diritto, fin qui sempre seguito dalla successiva giurisprudenza di legittimità:<<In tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento, ed eguale criterio di riparto dell'onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l'adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell'eccezione di inadempimento ex art. 1460 (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l'altrui inadempimento, ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell'obbligazione). Anche nel caso in cui sia dedotto non l'inadempimento dell'obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell'inesattezza dell'adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell'obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando ancora una volta sul debitore l'onere di dimostrare l'avvenuto, esatto adempimento>>.
Pertanto, secondo costante insegnamento di questa Corte, il riparto dell’onere probatorio in materia di inadempimento contrattuale, prevede che, a fronte dell’inadempimento lamentato dall’attore, il convenuto deve dimostrare di aver esattamente dato corso alla prestazione affidatagli ovvero la non imputabilità a sé dell’inidoneità della stessa.
Anche di tale costante orientamento della giurisprudenza di legittimità la corte territoriale di merito non ha fatto corretta applicazione nella parte in cui:
-da un lato, non ha considerato che, a fronte dell’inadempimento lamentato dall’attore (nella specie, quale mandante), il Patronato convenuto (quale mandatario) avrebbe dovuto dimostrare di avere esattamente dato corso alla prestazione affidatagli, ovvero la non imputabilità a sé dell’inidoneità della stessa;
- e, dall’altro, ha affermato che <<dirimente è stato il comportamento di S. che, non seguendo i suggerimenti del Patronato di proporre ricorso avverso il diniego dell’Inps, ha preferito rivolgersi ad altro Patronato, ottenendo la conferma dell’assegnazione della pensione dalla data della seconda domanda di riesame presentata dall’E.>>.
Anche a non voler considerare che il Patronato, in virtù del ricevuto mandato di assistenza e rappresentanza, avrebbe potuto presentare ricorso amministrativo avverso entrambi i dinieghi dell’Inps, senza alcuna autorizzazione da parte del S., resta il fatto che il Patronato non ha provato che un eventuale ricorso avesse ragionevoli possibilità di essere accolto. Anzi, quanto al primo diniego, è un dato di fatto che la prima domanda di pensione presentata da E. non conteneva la specificazione dell’opzione per la totalizzazione, mentre l’opzione per tale regime di pensione deve essere manifestato in modo esplicito ex art. 3 comma primo, d. lgs. n. 42/2006 e non può essere lasciato all’interpretazione dell’Ente gestore. Quanto al secondo diniego, non può dirsi provato l’errore dell’Inps nel considerare nuova la domanda: sia perché successiva di circa due anni rispetto alla prima; sia perché, contrariamente alla prima, conteneva esplicito riferimento alla totalizzazione.
D’altronde, anche se fosse stato provato che l’Istituto aveva suggerito al S. di proporre ricorso avverso il primo diniego della domanda di pensione, la mancata impugnazione del S. resterebbe comunque estranea all’area della impossibilità della prestazione per causa non imputabile (che il Patronato avrebbe dovuto provare per essere esente da responsabilità): sarebbe illogico escludere il diritto del S. ad essere risarcito dal Patronato per il danno subito per effetto dell’inadempimento contrattuale di quest’ultimo, sul presupposto che lo stesso S. avrebbe potuto evitare detto danno (conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento contrattuale del Patronato), presentando ricorso amministrativo avverso il diniego dell’INPS.
In definitiva, il S., che aveva conferito al Patronato mandato di presentare la domanda di pensione, ha provato la fonte negoziale del proprio diritto all’adempimento, ha allegato l’inadempimento del Patronato ed ha provato il danno che ha subito per effetti di tale inadempimento (la perdita di 27 mensilità di pensione dalla data in cui la stessa avrebbe potuto avere decorrenza se fosse stata correttamente presentata); mentre il Patronato non provato che il danno avrebbe potuto essere evitato mediante la proposizione del ricorso (nel senso che questo avrebbe avuto ragionevoli possibilità di essere accolto). Quanto precede fermo restando il fatto che il Patronato, pur potendo proporre ricorso amministrativo indipendentemente dall’autorizzazione del S., tanto non ha fatto.
3. Per le ragioni che precedono, assorbiti ogni altra questione e diverso profilo, dell’impugnata sentenza s'impone la cassazione in relazione, con rinvio alla Corte d'Appello di Trieste, che in diversa composizione procederà a nuovo esame, facendo dei suindicati disattesi principi applicazione.
Il giudice del rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione nei termini di cui in motivazione. Cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte di Appello di Trieste, in diversa composizione.