Home
Network ALL-IN
Quotidiano
Specializzazioni
Rubriche
Strumenti
Fonti
14 dicembre 2023
Sanzione disciplinare per l’assistente di polizia che diffonde su WhatsApp un video in cui corre nudo

Tramite la nota piattaforma, invia ad alcuni amici un filmato in cui viene ripreso mentre corre nudo di sera tra la neve in un bosco. Secondo il Consiglio di Stato, tale comportamento è idoneo a determinare un discredito per la Polizia di Stato.

La Redazione
Il Capo della Polizia di Stato applicava nei confronti di Tizio, assistente-capo coordinatore, la sanzione disciplinare della deplorazione, motivata dal fatto che su WhatsApp era circolato un video in cui l'uomo era visibile mentre correva nudo di sera tra la neve in un bosco. Presentato ricorso da parte del poliziotto, il TAR per il Friuli-Venezia Giulia lo rigettava.
 
La questione giunge così davanti al Consiglio di Stato. In tale sede, Tizio, tra più motivi di ricorso, deduce l'assenza di disvalore nella sua condotta. In particolare, evidenzia egli di non aver «fatto nulla di male», essendosi limitato a partecipare, all'estero, ad una competizione sportiva “estrema”; attività che si è, tra l'altro, svolta «nell'ambito della propria vita privata, al di fuori dell'orario di servizio e senza in alcun modo palesare né la propria identità né la propria appartenenza alla Polizia». Inoltre, il video in questione è stato girato solo a pochi intimi amici, che improvvidamente lo hanno poi diffuso senza il suo consenso.
 
Con sentenza n. 10177 del 28 novembre 2023, la sezione Seconda dichiara tali censure infondate.
 
Nel caso di specie, l'Amministrazione, tramite una motivazione congrua e aderente ai fatti di causa, qua da condividere, ha valorizzato elementi che «effettivamente militano a favore di una predestinazione del video alla visione di soggetti terzi, fin dal momento della sua ripresa, come l'essersi il ricorrente volontariamente auto-filmato e il suo rivolgersi ad un ipotetico pubblico di spettatori», cosicché la condotta dell'interessato è stata reputata riconducibile all'elenco di fattispecie punibili con la deplorazione ex art. 5, comma 1, del D.P.R. n. 737/1981. L'elemento unicamente preso in considerazione è stato, infatti, la predestinazione del video a soggetti terzi, che non può che non deporre per un intento goliardico ed esibizionistica, incompatibile con «il riserbo e la compostezza che ogni appartenente alla Polizia di Stato dovrebbe avere» e rivelante «un atteggiamento in grado di urtare la riservatezza ed il pudore».
 
A tal riguardo, irrilevanti sono le deduzioni fatte dal ricorrente ricorrente sulle ragioni (competizione in uno sport “estremo”) e sulla percezione della nudità in alcuni contesti culturali. 
Parimenti, non conta il fatto che l'attività sportiva attiene alla sfera privata e che la condotta non si sia svolto in servizio, giacché, qualora un'attività ovvero un comportamento o un atteggiamento vengano divulgate, esse non appartengono più alla sfera privata. In ogni caso, i contegni assunti nella sfera privata dagli appartenenti alle forze dell'ordine ben posso assumere rilevanza disciplinare, in quanto «il personale anche fuori servizio deve mantenere condotta conforme alla dignità delle proprie funzioni».
Da ultimo, il discredito alla Polizia di Stato può determinarsi anche tramite la visione del filmato da parte di chi conosca personalmente il protagonista e in particolar modo i suoi colleghi, evidenziato peraltro che «sotto questo profilo non giova la valorizzata “notorietà” locale dello stesso ricorrente, più volte distintosi con azioni meritevoli di menzione sulla stampa locale».