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Svolgimento del processo
1. La Corte d'appello di Salerno, con sentenza pronunciata l'11 gennaio 2022, ha confermato la sentenza del 25 gennaio 2021 del E.G. dell'udienza preliminare del Tribunale di Nocera Inferiore che aveva condannato E.G. alla pena di due anni e due mesi di reclusione per il reato di cui agli artt. 81, secondo comma, cod. pen., 640, secondo comma, n. 1, cod. pen., 7 ci.I. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, perché, al fine di ottenere indebitamente il beneficio economico di cui all'art. 3, comma 1, lett. a), ci.I. n. 4 del 2019 (reddito di cittadinanza), con artifici e raggiri consistiti nell'attestare falsamente, nella dichiarazione sostitutiva unica (DSU) presentata ai fini ISEE, un valore del proprio patrimonio immobiliare inferiore a quello reale, induceva in errore l'INPS che gli erogava, in forza di tale dichiarazione, la somma di euro 4.431,78 a titolo di integrazione del reddito familiare riferito all'anno 2019, così procurandosi l'ingiusto profitto derivante dalla indebita percezione del sussidio. Il fatto è contestato come commesso in Nocera Inferiore in data 1 marzo 2019 con permanenza fino al 20 dicembre 2019.
La Corte di appello ha ritenuto fondata l'ipotesi accusatoria sul presupposto che il perfezionamento della fattispecie delittuosa di cui all'art. 7, cit., si realizza per il solo fatto di avere portato all'attenzione dell'amministrazione erogatrice del reddito di cittadinanza dati non veritieri (l'omissione, nella specie, riguardava la comproprietà da parte dell'imputato di alcuni terreni con la propria moglie), a nulla rilevando la circostanza, prospettata dalla difesa, che la dichiarazione parzialmente non veritiera non aveva alterato i termini economici dei limiti reddituali per l'ottenimento del beneficio.
2. L'imputato ha proposto ricorso per cassazione articolando, per il tramite del difensore di fiducia, tre motivi.
2.1. Con il primo motivo deduce la violazione degli artt. 7 ci.I. n. 4 del 2019, 42 e 43 cod. pen., e il vizio di motivazione in relazione alla mancanza dell'elemento soggettivo del reato, non sussistendo alcuna prova che consenta di ritenere che l'intenzione dell'imputato fosse stata quella di ottenere, attraverso la falsa dichiarazione, un beneficio altrimenti non dovuto, considerato che, anche dichiarando il valore immobiliare omesso, egli avrebbe comunque avuto diritto al sussidio. Secondo il ricorrente, il reato di cui all'art. 7, comma 1, ci.I. n. 4 del 2019, afferma, è di pura condotta e a dolo specifico. Censura, quindi, la sentenza impugnata per aver messo in diretta correlazione l'incompleta dichiarazione ISEE con il fine di ricevere il reddito di cittadinanza, senza aver compiuto i necessari approfondimenti in ordine alla consapevolezza e volontarietà della contestata omissione. Richiama, ad ogni buon conto, la diversa interpretazione della norma seguita dalla Corte di cassazione che, in un caso analogo, ha ritenuto che la rilevanza penale della condotta, dovendosi informare al principio dell'offensività concreta, sussista solo quando l'intenzione dell'agente sia quella di conseguire, attraverso dichiarazioni false o incomplete, un beneficio altrimenti non dovuto. Aggiunge che la Corte di appello non ha nemmeno indicato le ragioni della affermata analogia tra il reato di cui all'art. 7 d.l. n. 4, cit., e quello di cui all'art. 95 d.P.R. n. 115 del 2002, che sanziona la falsità o le omissioni nelle dichiarazioni richieste ai fini della ammissione al beneficio del patrocinio c1 spese dello Stato, benché si tratti di procedimenti diversi; il secondo, infatti, è caratterizzato da due fasi (ammissione al beneficio e liquidazione) assenti nel caso di ammissione al reddito di cittadinanza. La sentenza impugnata, osserva, non tiene conto della diversità strutturale dei due reati e sul dolo specifico (che qualifica il reato per il quale si procede) non afferma alcunché, essendosi limitata a sostenere che l'imputato ha commesso il reato per il sol fatto di aver indicato una falsa consistenza del proprio patrimonio immobiliare. In tal modo, prosegue, la Corte territoriale ha abdicato al proprio compito cli ricostruire compiutamente il fatto incorrendo in un vizio motivazionale.
2.2. Con il secondo motivo deduce la violazione dell'art. 640, secondo comma, n. 1, cod. pen., e il vizio di motivazione in ordine alla sussistenza degli artifici e dei raggiri. Osserva che, essendo demandata all'amministrazione la verifica del possesso dei requisiti in capo all'istante per la concessione del beneficio reddituale, la dichiarazione ai fini ISEE non era idonea a produrre automaticamente alcuna conseguenza in ordine all'erogazione del reddito richiesto, rientrando tra i poteri dell'autorità erogante quello di rigettare lc1 domanda all'esito delle necessarie verifiche sulla completezza dei dati indicati.
2.3. Con il terzo motivo deduce la violazione dell'art. 177 cod. civ. e il vizio di motivazione, in quanto la mancata menzione delle quote in comproprietà con il coniuge non può costituire omissione rilevante, trattandosi di beni che non rientrano nel patrimonio personale del dichiarante. Lamenta che la relativa questione, già non adeguatamente affrontata dal E.G. dell'udienza preliminare di Nocera Inferiore, non aveva formato oggetto di specifico in esame da parte della Corte di appello di Salerno.
3. Con successiva memoria, trasmessa all'esito della requisitoria del Sostituto Procuratore generale contenente la richiesté,1 di annullamento con rinvio, la difesa ha ulteriormente sviluppato i primi due motivi di ricorso. In relazione al primo, osserva che intanto può ritenersi configurabile l'elemento intenzionale del reato di cui all'art. 7 comma 1, d.l. n. 4, cit., in quanto non sussistano le condizioni in capo all'istante per accedere al beneficio e si vero;i perciò in un'ipotesi di illegittimo godimento del bene, venendo altrimenti meno l'obbligo di trasmissione delle verifiche compiute dagli organi amministrativi all'autorità giudiziaria. In relazione al secondo motivo rileva che, in mancanza di un danno peI· l'amministrazione causalmente collegato alla dichiarazione non veritiera, non possa ravvisarsi il reato di truffa, essendo stata l'erogazione del n ddito di cittadinanza riconosciuta all'imputato in ragione delle sue effettive condizioni economiche.
Ha concluso, quindi, chiedendo l'accoglimento del ricorso o la rimessione alle Sezioni Unite della questione relativa alla configurabilità del n2ato di cui all'art. 7 d.l. n. 4 del 2019, in presenza di dichiarazione non veritiera allorquando sussistano comunque i requisiti per l'ammissione al beneficio.
4. La Terza Sezione penale, con ordini3nza n. 2588 d12ll'll ottobre 2022 (depositata il 20 gennaio 2023), rilevata l'esistenza di un contrasto giurisprudenziale sulla questione posta con il primo motivo, ha rimesso il ricorso alle Sezioni Unite.
L'ordinanza muove dalla premessa che nella richiesta volta a ottenere il reddito di cittadinanza possono in astratto verificarsi tre distinte ipotesi: a) il mendacio per totale assenza di requisil:i; b) il mendacio finalizzato al conseguimento di un beneficio maggiore rispE:itto al dovuto; c) il mendacio che non incide sul diritto a ottenere il sussidio né sull'ammontare del beneficio. La Sezione rimettente dà quindi conto dell'esistenza di due opposti orientamenti della giurisprudenza di legittimità in merito alla interpretazione del primo comma dell'art. 7 d.l. n. 4 del 2019. Secondo un primo indirizzo, integrano il delitto in esame le false indicazioni od omissioni di informazioni dovute!, anche parziali, dei dati di fatto riportati nell'autodichiarazione finalizzata all'ottenimento del reddito di cittadinanza, indipendentemente dalla sussistenza delle condizioni di reddito per l'ammissione al beneficio. Alla stregua di un secondo orientamento, invece, il delitto è configurabile solo quando le condotte di mendacio siano finalizzate a conseguire il beneficio del reddito di cittadinanza e il richiedente in concreto non ne abbia diritto o ne abbia diritto in misura minore. Sarebbero, pertanto, penalmente rilevanti le false dichiarazioni solo nel caso in cui la percezione del sussidio risulti indebita nell'ano nel quantum.
Il primo orientamento ricostruisce la fattispecie di cui all'art. 7, cit., come reato di pericolo astratto e la riconduce ad una species del genus del reato di falso; il secondo orientamento, che fa leva sul dolo i;pecifico, allinea la fattispecie a quella dei reati di pericolo concreto in quanto richiede, quale ulteriore elemento per il suo perfezionamento, l'indebito arricchimento dell'agente.
5. La Prima Presidente, con decreto del 30 gennaio 2023, ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite, fissando per la trattazione la data de?! 13 luglio 2023.
A seguito di tempestiva richiesta del difensore, con decreto del 14 marzo 2023 la Presidente ha disposto la trattazione orale:: del ricorso ai sensi degli artt. 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, e successive modifiche.
6. Con memoria del 28 giugno 2023 l'.,!l.vvocato generale ha anticipato le ragioni del sostegno al secondo indirizzo, ulteriormente illustrate in sede di discussione.
Osserva che il delitto di cui all'art. 7, comma 1, ci.I. n. 4 del 2019, si colloca nel solco dei reati di falso pur presentando indubbi profili di i;pecificità quanto a condotte, elemento soggettivo, ecc. ecc., rispetto ai falsi nelle dichiarazioni sostitutive sanzionate ai sensi del combinato 1jisposto di cui açili artt. 76 d.P.R. n. 445 del 2000 e 483 e segg. cod. pen. Il dolo specifico, richiesto ai fini della perfezione del reato di cui all'art. 7, cit., costituisce un inedito nella materia dei reati di falso svolgendo una funzione selettiva tipizzante che esclude dall'ambito del penalmente rilevante le condotte inidonee al raggiungimento dello scopo che l'agente si è prefisso (nello specifico, l'indebita percezione del beneficio), qualificando il delitto come reato di pericolo concreto. La diversità strutturale del reato di cui all'art. 95 d.P.R. n. 115 del 2002, e quello di cui all'art. 7 ci.I. n. 4 del 2019, non consente - aggiunge - l'operazione ermeneutica sulla quale fa leva il primo indirizzo. Il delitto di cui all'art. 7 richiede un quid plur-is (il dolo specifico che qualifica la condotta) che l'art. 95, d.P.f<:. n. 115, cit., non richiede essendo sufficiente, ai fini della sua integrazione, la consapevolezza e la volontà di dichiarare il falso, senza che rilevi lo scopo cr1e l'agente si è prefisso.
Motivi della decisione
1. La questione di diritto per la quale il ricorso è stato rimesso alle Sezioni Unite è la seguente: "Se le omesse o false indicazioni di informazioni contenute nell'autodichiarazione finalizzata all'ottenimento del reddito di cittadinanza integrino il delitto di cui all'art. 7 del d.l. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito in I. 28 marzo 2019, n. 26, indipendentemente dall'effettiva sussistenza o meno delle condizioni patrimoniali stabilite per l'ammissione al beneficio".
2. Il d.l. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito con modificazioni dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, ha istituito il «reddito di cittadinanza» (di 5,eguito Rdc) definito dall'art. 1 quale «misura fondamentale di politica attiva del lavoro a garanzia del diritto al lavoro, di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all'esclusione sociale, nonché diretta a favorire il diritto all'informazione, all'istruzione, alla formazione e alla cultura attraverso politiche volte al sostegno economico e all'inserimento sociale dei soggetti a rischio di emarginazione nella società e nel mondo del lavoro».
Beneficiari del Rdc sono i nuclei familiari in possesso, cumulativamente, dei requisiti soggettivi ed economici indicati dall'art. 2, comma 1, lett. a), b), e) e c bis). Tali requisiti devono essere in possesso del richiedente (e del suo nucleo familiare) al momento della domanda e per tutta la durata di erogazione del beneficio stesso.
Il Rdc decorre dal mese successivo a quello della richiesta. Il suo valore mensile è pari ad un dodicesimo del valore calcolato su base annua (art. 3, commi 1 e 5) ed è riconosciuto per tutto il periodo durante il quale il beneficiario si trova nelle condizioni previste all'art. 2 (art. 3, comma 6), condizioni la cui variazione deve essere comunicata all'INPS nei termini e:: modi indicati dagli artt. 3, commi 8 e ss., e 5, comma 1.
La domanda, redatta su modulo approvato dall'INPS, può essere presentata presso gli uffici postali, i Centri di assistenza fiscale (CAF) o gli istituti di patronato (art. 5, comma 1). Con la domanda il richiedente autocertifica il possesso dei requisiti richiesti per il Rdc (art. 5, comm2I 5); se tali requisiti sono già stati dichiarati dal nucleo familiare ai fini ISEE, la domanda di Rdc dE ve essere associata dall'INPS alla corrispondente dichiarazione unica sostitutiva.
Il beneficio è riconosciuto se ne ricorrono le condizioni.
A tal fine, la domanda deve essere comunicata all'INPS entro dieci giorni lavorativi dalla richiesta; nei successivi cinque giorni lavorativi l'INPS verifica il possesso dei requisiti per l'accesso al Rdc sulla base delle informazioni disponibili nei propri archivi e in quelli delle amministrazioni titolari dei dati (anagrafe tributaria, il PRA e le altre amministrazioni pubbliche detentrici dei dati). I Comuni devono a loro volta accertare il possesso dei requisiti di residenza e soggiorno di cui all'art. 2, comma 1, lett. a) (art. 5, comrTii 3, 4, 4-bis, 4-ter, 4-quater).
Il Rdc deve essere riconosciuto, al più tardi, entro la fine del mese successivo alla trasmissione della domanda all'INPS (art. 5, comma 3), ma il pagamento delle somme può essere sospeso per non più di centoventi giorni in attesa delle verifiche anagrafiche che l'INPS può richiedere ai Comuni. Decorso tal,e termine senza che il Comune abbia fornito i dati richiesti, il pagamento delle somme è comunque disposto (comma 4-quater, aggiunto, insieme con i commi 4-bis, 4-ter e 4- quinquies, dalla legge 30 dicembre 2021, n. 234, che ha modificato anche il comma 4).
I requisiti reddituali e patrimoniali si considerano posseduti per tutta la durata della attestazione ISEE in vigore al momento della domanda e sono verificati nuovamente solo in caso di presentazione di nuova dichiarazione sostitutiva unica (di seguito DSU). Gli altri requisiti si considi: rano posseduti sino a quando non intervenga comunicazione contraria da parte clelle amministrazioni competenti alla loro verifica. In tal caso, l'erogazione del beneficio deve essere interrotta a decorrere dal mese successivo alla comunicazione stessa E! revocata (art. 5, comma 5).
Il beneficiario del Rdc deve in ogni caso comunicare, nei termini stabiliti dall'art. 7, comma 2, le variazioni del reddito o del patrimonio, quand'anche provenienti da attività irregolari, e fornire le informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del beneficio stesso.
Resta in ogni caso fermo il potere dell'INPS di VE!rificare i requisiti autocertificati in domanda ai sensi dell'art. 71 d.P.R. n. 44 5 del 2000 (art. 5, comma 5).
I commi 4, 5, 6, 7 e 8 dell'art. 7 disciplinano i casi della revoca e della decadenza del beneficio.
La revoca è disposta sia in caso di condanna per uno dei reati di cui all'art. 7, commi 1 e 2, o per uno dei reati indicati dal comma 3 del mede simo articolo (il cui elenco è stato incrementato dalla legge n. 234 del 2021 a decorrere dal 1 gennaio 2022), sia quando l'amministrazione erogante accerta la non corrispondenza al vero delle dichiarazioni e delle informazioni poste a fondamento dell'istanza ovvero l'omessa successiva comunicazione di qualsia:',i intervenuta va1•iazione del reddito, del patrimonio e della composizione del nucleo familiare dell'istante. La revoca ha efficacia retroattiva ed il beneficiario è tenuto alla restituzione di quanto indebitamente percepito.
La decadenza dal Rdc è invece disposta quando, alternativamente: (i) anche uno solo dei componenti il nucleo familiare non dichiara la immediata disponibilità al lavoro o, comunque, viola gli obblighi assunti in sede di sottoscrizione del patto per il lavoro e il patto per l'inclusione sociale cl1e, a norma dell'art. 4, condizionano l'erogazione del beneficio (art. 7, commi 5, le::tt. a, b, e, d, h, 7, lett. e, 8, lett. b, 9, lett. d); (ii) il beneficiario non comunica, ai sensi dell'a1t. 3, comma 9, le variazioni della condizione occupazionale nelli, forme dell'avvio di un'impresa o di lavoro autonomo da parte di uno o più componenti il nucleo familiare nel corso dell'erogazione del Rdc o effettua comunicazioni mendaci producendo un beneficio economico maggiore (art. 7, lett. f); (iii) non presenta una DSU aggiornata in caso di variazione del nucleo familiare (art. 7, lett. g); (iv) il nucleo familiare abbia percepito il beneficio economico del Rdc in misura maggiore rispetto a quanto sarebbe spettato, per effetto di dichiarazionei mendace in secle di DSU o di altra dichiarazione nell'ambito della procedura di richiesta del beneficio, ovvero per effetto dell'omessa presentazione delle prescritte comunicazioni, fermo restando il recupero di quanto versato in eccesso (comma 6).
In termini generali, si può sin d'ora anticipare che la revoca consegue all'accertamento della mancanza originaria dei requisiti richiesti per l'erogazione del Rdc; la decadenza costituisce, invece, una sanzione in caso di violazione degli obblighi alla cui osservanza è condizionata l'erogazione del beneficio oppure il conseguimento del beneficio in misura maggiore del dovuto.
Nei casi di dichiarazioni mendaci e di conseguente 21ccertato illegittimo godimento del Rdc, i Comuni, l'INPS, l'.Ll,genzia delle entrate, l'Ispettorato nazionale del lavoro (INL), preposti ai controlli e alle verifiche, trasmettono, entro dieci giorni dall'accertamento, all'autorità giudiziaria la documentazione completa del fascicolo oggetto della verifica (art. 7, comma 14).
In questo contesto normativo si inseriscono i reati previsti dall'art. 7, commi 1 e 2, che puniscono con la reclusione da due a sei anni chi, al fine di ottenere indebitamente il Rdc, rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere ovvero omette informazioni dovute (comma l} e con la reclusione da uno a tre anni chi, fruendo già del benel'icio, non comunica le variazioni del reddito o del patrimonio (anche se provenienti da attività irregolari) e le altre informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del beneficio stesso nei termini previsti dall'art. 3, commi B, ultimo periodo, 9 e 11.
Prima di esaminare i due orientamenti che hanno dato vita al contrasto ermeneutico rimesso all'esame delle Sezioni Unite, è opportuno dar conto del fatto che l'art. 1, comma 318, legge 29 dicembre 2022, n. 197, ha abrogato l'art. 7 ci.I. n. 4 del 2019, a decorrere, però, dal 1 gennaio 2024. La fattispecie incriminatrice è, perciò, tutt'ora in vigore. Il legislatore, peraltro, nell'introdurre il cd. <<assegno di inclusione» (misura di sostegno economico e di inclusione sociale e professionale destinata a sostituire integrai mente il Rdc e definita dall'art. 1, comma 1, decreto-legge 4 maggio 2023, n. 48, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 luglio 2023, n. 85, «quale misura nazionale di contrasto alla povertà, alla fragilità e all'esclusione sociale delle fasce deboli attraverso percorsi di inserimento sociale, nonché di formazione, di lavoro E' di politica attiva del lavoro»), ha contestualmente ed espressamente previsto che al Rdc continuano ad applicarsi le disposizioni di cui all'art. 7 ci.I. n. 4 del 2019 vigenti alla data in cui il beneficio è stato concesso, per i fatti commessi fino al 31 dicembre 20.23.
3. Secondo un primo orientamento, inteqrano il delitto di cui all'art. 7, comma 1, ci.I. n. 4 del 2019, le false indicazioni od omissioni di informazioni dovute, anche parziali, dei dati di fatto riportati nell'autodichiarazione finalizzata all'ottenimento del "Reddito di cittadinanza", indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l'ammissione al beneficio.
Tale principio è stato affermato per la prima volta da Sez. 3, n. 5289 del 25/10/2019, dep. 2020, Sacco, Rv. 278573 e Sez. 3, n. 5290 del 25/10/2019, dep. 2020, Sciortino, non mass., e successivamente ribadito da Sez. 2, n. 2402 del 05/11/2020, dep. 2021, E.G., non mass.; Sez. 3, n. 33808 del 21/04/2021, Casà, non mass.; Sez. 3, n. 33431 del 09/09/2021, Sferlazza, Rv. 281814, non mass. sul punto; Sez. 3, n. 30303 del 15/09/2020, Colombo, non mass.; Sez. 3, n. 5309 del 24/09/2021, Iuorio, non mass. Secondo questo indirizzo la disciplina sc1nzionatoria del Rdc è correlata, nel suo complesso, al generale "principio antielusivo" che si incardina sulla capacità contributiva ai sensi dell'art. 53 Cost., la cui ratio risponde al più generale canone di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost.; pertanto, la punibilità del reato di condotta viene correlata, ben oltre il pericolo di profitto ingiusto, al dovere di lealtà del cittadino verso le istituzioni dalle quali riceve un beneficio economico. Ne consegue che le due fattispecie incriminatrici citate trovano applicazione indipendentemente dall'accertamento dell'effettiva sussistenza delle condizioni per l'ammissione al beneficio e, in particolare, dal superamento delle soglie di legge.
Tale conclusione non sarebbe smentita dal fatto che, per l'integrazione del reato di cui al primo comma, è richiesto il fine di ottenere indebitamente il beneficio o che le informazioni omesse oggetto del secondo comma sia no quelle «dovute e rilevanti ai fini della revoca o riduzione del beneficio». Entrambi i riferimenti - si osserva - devono essere intesi come diretti a qualificare i dati che sono in sé rilevanti ai fini del controllo, da parte cllell'amministrazione erogante, sulla sussistenza dei presupposti per la concessione e il mantenimento del beneficio e a differenziarli da quelli irrilevanti, senza elle possa essere lasciata al cittadino beneficiario la scelta su cosa comunicare e cosa omettere. Ciò perché, si ribadisce, il legislatore ha inteso creare un meccanismo di riequilibrio sociale, quale il reddito di cittadinanza, il cui funzionamento presuppone necessariamente una leale cooperazione fra cittadino e amministrazione, che sia ispirata alla massima trasparenza, come emerge anche dai succes5ivi commi dell'art. 7, che disciplinano, non a caso, un'ampia casistica di fattispecie di revoca, decadenza e sanzioni amministrative.
A conforto di questa conclusione, Sez. 3, Sacco, cit., richiama i princ1p1 elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in ordine alla fattispecie penale di cui all'art. 95 d.P.R. n. 115 del 2002, in materia di patrocinio a spese dello Stato. Viene richiamato, in particolare, il principio affermato da Sez. U, n. 6591 del 27/11/2008, dep. 2009, Infanti, Rv. 242152 - 01, secondo cui integrano il delitto di cui all'art. 95 d.P.R. n. 115 del 2002 le false indicazioni o le omissioni anche parziali dei dati di fatto riportati nella dichiarazione sostitutiva di certificazione o in ogni altra dichiarazione prevista per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle conclizioni di reddito per l'ammissione al beneficio.
Orbene, annota Sez. 3, Sacco, la disciplina fissata dall'art. 7 d.l. n. 4 del 2019, non si differenzia in maniera essenziale da quella dell'art. 91:i d.P.R. n. 115 del 2002, in quanto entrambe appaiono dirette a sanzionare la violazione del dovere di lealtà del cittadino verso l'amministrazione che eroga una provvidenza in suo favore e non prevedono, perciò, la necessità di accertare la sussistenza in concreto dei requisiti reddituali di legge.
Conclusivamente, il reato di cui all'art. 7, cit., è, secondo questo indirizzo, un reato di condotta e di pericolo, in quanto diretto a tutelar,2 l'amministrazione contro mendaci e omissioni circa l'effettiva situazione patrimoniale e reddituale da parte dei soggetti che intendono accedere o 9ià hanno fatto accesso al "reddito di cittadinanza" (Sez. 3, Iuorio). Sicché il reato risulterebbe integrato nel caso di mendacio per totale assenza di requisiti o nel caso di mendacio per ottenere un beneficio maggiore rispetto al dovuto o, infine, nel caso di mendacio non incidente sul diritto a ottenere il sussidio né sull'ammontare del beneficio; in tutti questi casi, infatti, viene leso il patto di leale cooperazione tra cittadino e Stato.
4. Un diverso orientamento, inaugurato da Sez. 3, n. 44366 del 15/09/2021, Gulino, Rv. 282336-01, e ribadito da Sez. 2, n. 29910 del 08/06/2022, Pollara, Rv. 283787, ritiene, invece, che integrano il delitto di cui all'art. 7 ci.I. n. 4 del 2019, soltanto le false indicazioni o le omissioni strumentali al conseguimento del beneficio cui altrimenti l'agente non avrebbe diritto.
Nel prendere consapevolmente le distanze dal primo orientamento, la suddetta pronuncia di Sez. 3, Gulino ritiene errata l'opzione ermeneutica che si basa sul parallelismo della fattispecie incriminatrice dell'art. 7 ci.I. n. 4 del 2019, che riguarda il reddito di cittadinanza, con la fattispecie di cui all'art. 95 d.P.R. n. 115 del 2002, che riguarda il diverso istituto del gratuito pat-ocinio a spese dello Stato. Si afferma che, nel prevedere le sanzioni penali in caso di falsità delle (o omissioni nelle) dichiarazioni sostitutive di certificazione ovvero nelle altre dichiarazioni cui la disposizione fa riferimento, l'art. 95 d.P. R. n. 115, cit., mai richiama, come invece espressamente prevede l'art. 7 ci.I. n. 4 del 2019, il fatto che attraverso tali falsità od omissioni si sia perseguito il fine di accedere "indebitamente" ad un beneficio. Con tale avverbio, si osserva, il legislatore ha inteso fare riferimento non tanto ad una volontà di accesso al beneficio messa in atto non iure, in assenza, cioè, degli elementi formali che ne avrebbero consentito l'erogazione, quanto ad una volontà diretta ad un conseguimento di esso contra jus, in assenza, cioè, degli elementi sostanziali per il suo riconoscimento; il riferimento alla natura indebita del beneficio sottende, appunto, secondo Sez. 3, Gulino, la mancanza degli elementi per la instaurazione del rapporto "obbligatorio" sostanziale a carico dello Stato. Ragionando diversamente si giungerebbe alla conseguenza di sanzionare penalmente la violi3zione di un obbligo privo di concreta offensività, laddove, si osserva, appare più in linea con il principio di necessaria offensività del reato ritenere che con l'espressione <<al fine di ottenere indebitamente il beneficio» il legislatore abbia inteso tipizzare in termini di concretezza il pericolo che potrebbe derivi3re dalla falsità delle dichiarazioni presentate per il conseguimento del reddito di cittadinanza. La rilevanza penale della condotta sussiste, pertanto, nei soli ec1si in cui l'intenzione dell'agente sia quella di conseguire un beneficio altrimenti non dovuto.
In linea con la sentenza Gulino, Sez. 2, Pollara, cit., precisa che il dolo specifico richiesto al fine dell'integrazione del reato di cui all'art. 7 d.l. n. 4, cit., non può ridursi alla verifica dell'atteggiamento psicologico tenuto dal soggetto agente, indipendentemente dalla idoneità della condotta nel perseguire l'obiettivo descritto dalla norma (l'indebito ottenimento della prestazione), risultando più aderente ad una concezione del principio di offensività, coerente con i canoni costituzionali, una lettura della fattispecie i1ncriminatrice in termini di reato di pericolo concreto, dovendosi apprezzare la capacità della condotta ad incidere sulla rappresentazione falsata e astrattamente idonea ad attribuire all'agente il possesso di requisiti mancanti per fruire della misura in esame. Il dolo specifico assolve, nella presente fattispecie e coerenltemente con una delle sue funzioni tipiche, il compito di restringere l'area della penale rilevanza alle sole condotte finalizzate all'ottenimento di un beneficio altrimenti non dovuto. Il nesso funzionale tra le condotte lato sensu fraudolente e l'effettiva indebita percezione del contributo economico trova conferma - secondo Sez. 2, Pollar21 - anche nel sistema dei controlli e delle verifiche delle istanze di accesso alla misura, atteso che l'obbligo di trasmissione all'autorità !Jiudiziaria della documentazione amministrativa contenente i risultati delle v1:rifiche condotte, posto a carico dei soggetti pubblici cui è affidata tale attività di vigilanza, è previsto per le ipotesi in cui dalle comprovate dichiarazioni mendaci sia derivato il «conseguente accertato illegittimo godimento del Rde>> (art. 7, comma 14, d.l. n. 4 deil 2019).
5. Le Sezioni Unite aderiscono al secondo orientamento.
L'argomento utilizzato dal primo orientamento per sostemire l'irrilevanza della sussistenza dei requisiti per ottenere il Rdc (e la conseguente superfluità del relativo accertamento) si fonda su un parallelismo (il confronto con l'art. 95 d.P.R. n. 115 del 2002) e su una individuazione del bene tutelato dalla norma incriminatrice (il dovere di lealtà del cittadino verso le istituzioni dalle quali riceve un beneficio economico) niente affatto convincenti.
L'art. 95 d.P.R. n. 115 del 2002, sanziona con la reclusicne da uno a cinque anni le falsità o le omissioni nella dichiarazione sostitutiva di certificazione, nelle dichiarazioni, nelle indicazioni e nelle comunicazioni previste, ai fini dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, dall'art. 79, comma 1, lett. b), e) e d). Si tratta, in particolare: delle informazioni relative alle generalità del richiedente il beneficio e dei componenti la sua famiglia e relativi codici fiscali (lett. b); delle informazioni relative alla sussistenza delle condizioni di reddito previste per l'ammissione al patrocinio, con specifica determinélzione del reddito complessivo valutabile a tali fini, determinato secondo le modalità indicate nell'art. 76 d.P.R. n. 115, cit. (lett. e); dell'impegno a comunicare, nella pendenza del processo, ogni variazione rilevante dei limiti di reddito (lett. d). Prevede inoltre che, se dal fatto consegue l'ottenimento o iI mantenimento dell'ammissione al patrocinio, la pena è aumentata.
Sul piano strutturale, mentre il reato di cui all'art. 95 d.P.R. n. 115 del 2002, richiede il dolo generico, quello di cui all'art. 7 ci.I. n. 4 del 2019, richiede il dolo specifico di ottenere indebitamente il Rdc, essendo irrilevante, ai fini della sussistenza del reato, l'effettivo conseguimento del beneficio; l'ottenimento o il mantenimento del patrocinio a spese dello Stato, quale conseguenza delle falsità od omissioni aggravano invece il reato di cui all'art. 95 cit.
La falsità nella dichiarazione sostitutiva 1ji cui all'art. 79, comma 1, lett. e), penalmente sanzionata dall'art. 95 d.P.R. n. 1.15 del 2002, inoltre, è correlata alla ammissibilità dell'istanza, non a quella del beneficio richiesto (così, in motivazione, Sez. U, n. 6591 del 27/11/2008, dep. 2009, [nfanti, cit.); le falsità e le omissioni sanzionate dall'art. 7, ci.I. n. 4 del 2019, riguardano invece i requisiti di ammissione e mantenimento del beneficio.
Divergono profondamente, inoltre, i contesti procedimentali nei quali due reati sono collocati.
La procedura prevista per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato nel processo penale è informata alla massima celerità e snellezza, trattandosi di istituto finalizzato ad assicurare e a rendere effettivo il diritto di difesa nell'ambito di un processo penale pendente. Per questo motivo il E.G. che procede, verificata l'ammissibilità dell'istanza, entro dieci giorni dalla data di presentazione dell'istanza stessa, ammette l'interessato al patrocinio dello Stato se, alla stregua della dichiarazione sostitutiva prevista dall'art. 79, comma 1, lett. e), d.P.R. n. 115 del 2002, ricorrono le condizioni di reddito cui l'ammissione al beneficio è subordinata (art. 96, comma 1, d.P.R. n. l..15 del 2002). La documentazione integrativa eventualmente richiesta dal E.G., ai sensi dell'art. 79, comma 3, può essere sostituita, in caso di impossibilità, da una dichiarazione sostitutiva di certificazione da parte dell'interessato (art. 94, comma 1, d.P.R. n. 115, cit.). Il E.G. può respingere l'istanza se, tenuto conto degli indicato1-i richiamati dall'art. 96, comma 2, ha motivo di credere che l'interessato non VE rsi nelle condizioni previste per l'ammissione al patrocinio; a tal fine, può trasmettere l'istanza (e la relativa dichiarazione sostitutiva) alla Guardia di finanza per le necessarie verifiche, ma deve comunque decidere nei dieci giorni successivi alla presentazione dell'istanza stessa. Quando si procede per uno dei delitti previsti dall'art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen., o nei confronti di persona proposta o sottoposta a misura di prevenzione, il E.G. deve preventivamente chied,=re al questore, alla Direzione investigativa antimafia e alla Direzione nazionale antimafia le informazioni necessarie e utili relative al tenore di vita dell'interessato, alle sue condizioni personali e familiari e alle attiviti economiche eventualmente svolte (art. 96, comma 3); ciò nondimeno la decisione deve essere adottata nei dieci giorni successivi alla presentazione dell'istanza (art. 96, comr1a 4). Normalmente i controlli sono effettuati dopo l'adozione del decreto di ammissione e se, a seguito degli accertamenti dell'ufficio finanziario competente, risulta che il beneficio è stato erroneamente concesso, l'ufficio finanziario stesso ne chiede la revoca (art. 98, ultimo comma, d.P.R. n. 115 del 2002). La revoca del de:::reto di ammissione è altresì obbligatoria nei casi stabiliti dall'art. 112, commi 1 e 2, d.P.R. n. 115, cit. Anche il procedimento finalizzato all'eventuale erogazione del Rdc deve essere definito in tempi brevi, ma non con quell'immediatezza richie::;ta per assicurare al non abbiente la difesa nel processo penale pendente, dovenclo essere effettuato, come visto, al più tardi, entro la fine del mese successivo alla trasmissione della domanda. Nel procedimento per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, i controlli preventivi sulla corrispondenza al vern dei dati comunicati con la domanda dell'interessato sono, per la maggior parte dei casi, eventuali, superabili anche con dichiarazione sostitutiva di certificazione, e cli certo non condizionano (perlomeno non nell'immediato) la decisione, considerato che il E.G. deve comunque assumere le proprie determinazioni entro dieci giorni :lalla presentazione dell'istanza. La domanda di Rdc è invece sottoposta ad una (sia pur minima) attività istruttoria finalizzata alla verifica del possesso dei req Jisiti per l'accesso al beneficio. È interessante, da questo punto di vista, notare come il legislatore imponga all'INPS la verifica del «possesso dei requisiti per l'accesso del Rdc» (art. 5, comma 3, ci.I. n. 4 del 2019) non di quelli dichiarati nella domanda o nella DSU cui la stessa faccia eventualmente riferimento.
Nel caso di ammissione al patrocinio a spese dello Stato nel processo penale i dati comunicati con la domanda assumono, dunque, un ruolo pressoché decisivo e ciò spiega l'evocazione del dovere di lealtà del cittadino verso le istituzioni dalle quali egli riceve un beneficio economico, dov1=re la cui violazione rende superflua la verifica della possibile sussistenza, in concreto, delle condizioni di ammissione al beneficio stesso.
Va peraltro rimarcato che la giurisprudenza più recente in tema di patrocinio a spese dello Stato nel processo penale ten1je a superare l' eccessivo rigore del principio affermato da Sez. U, Infanti, richiedendo, in caso di oqgettiva sussistenza delle condizioni di ammissione al beneficio, che il dolo gene1·ico del reato di cui all'art. 95 d.P.R. n. 115 del 2002, venga rigorosamente provato (Sez. 4, n. 35969 del 29/05/2019, Arietta, Rv. 276862-01; Sez. 4, n. 4623 de:I 15/12/2017, dep. 2018, Rv. 271949-01; Sez. 4, n. 45786 del 04/05/2017, Bonofiglio, Rv. 271051-01; Sez. 4, n. 21577 del 21/04/2016, Bevilacqua, Rv. 267307-01).
Le stesse Sezioni Unite, con sentenza n.. 14723 del 19/12/2019, dep. 2020, Pacino, Rv. 278871-01, hanno successivamente affermato il principio di diritto secondo il quale la falsità o l'incompletezza della dichiarazione sostitutiva di certificazione prevista dall'art. 79, comma 1, lett. e) d.P.R. n. 115 del 2002, non comporta, qualora i redditi effettivi non su perino il limite di legge, la revoca dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, che può eissere disposta solo nelle ipotesi espressamente disciplinate dagli artt. 95 e 112 d.P.R. n. 115 del 2002. È significativo notare che la pronuncia richiama, facendone argomento di decisione, l'indirizzo giurisprudenziale di cui al capoverso che precede in tema di prova rigorosa del dolo generico del reato di cui all'art. 95, cit.
In conclusione, la diversità strutturale clei due reati, quello di cui all'art. 95 d.P.R. n. 115 del 2002 e quello di cui all'art. 7 d.l. n. 4 del 2019, nonché dei relativi contesti procedimentali, l'uno (quello finalinato all'ammissione del patrocinio a spese dello Stato) informato alla massima i;peditezza, l'altro (quello finalizzato all'erogazione del Rdc) scandito da una sia pur minima istrutto1-ia che, in ogni caso, non contempla l'intervento "sostitutivo" del richiedente il beneficio il quale non può autocertificare le informazioni mancanti o carenti; il fatto, inoltre, che oggetto della condotta decettiva tipizzata dall'art. 95 d.P.R. n. 115, cit., sono le informazioni ritenute necessarie per la ammissibilità della domanda, mentre oggetto della condotta sanzionata dall'art. 7, comma 1, d.l. n. 4, cit., sono i dati essenziali alla erogazione stessa del beneficio, sono argomenti che ostano ad improbabili parallelismi essendo i termini di paragone incl iscutibilmente et:erogeni, tanto sotto il profilo strutturale, quanto sotto quello funzionale.
6. Non convince, inoltre, la teorizzazione di un «dovere cli lealtà del cittadino verso le istituzioni dalle quali riceve un beneficio economico>> richiamato, in particolare, da Sez. 3, Sacco, cit., da Sez. 3, n. 5290, Sciortino, e, più in generale, dalle sentenze che aderiscono all'orientamento qui disatteso.
Questo "dovere di lealtà", infatti, sem'Dra costituire il corrispettivo di un beneficio "graziosamente" concesso al cittadino, piuttosto che in forza di un diritto espressamente riconosciuto per legge sulla base di dati oggeti:ivi e verificabili.
Si tratta, pertanto, di una prospettiva che riduce il bene giuridico tutelato dall'art. 7 ci.I. n. 4 del 2019, a vuoto guscio privo di sostanza concreta che attrae a sé, rendendoli punibili, anche fatti del tutto inoffensivi. Il Rdc, infatti, è comunque riconducibile al rapporto tra amrninistrazione e società che, secondo l'impostazione costituzionale, non è un rapporto di imperio rna strumentale alla cura degli interessi di quest'ultima (Corte cost., sent. n. 341 clel 1994), sicché ciò che giustifica la sanzione penale non è la violazione di un generico "dovere di lealtà", bensì il fatto che il mendacio poss;:i ledere (o effettivamente leda) gli interessi pubblici alla cui tutela il beneficio economico è finalinato.
Il principio di necessaria offensività, costituzionalizzato dal combinato disposto di cui agli artt. 3, 13, primo, secondo e terzo comma, 25, secondo comma, e 27, primo e terzo comma, Cost., E:id espressamente riconosciuto anche dal legislatore ordinario (art. 49, secondo comma, cod. pen., ma, prima ancora, art. 2 cod. pen., nella parte in cui esclude la punibilità di un fatto che per la legge posteriore successiva non costituisce reato; art. 32, comma 1, lett. d), legge 24 dicembre 2012, n. 234, che, in materia di principi e criteri direttivi generali di delega per l'attuazione del diritto dell'Unione europea, dispone che le sanzioni penali, nei limiti, rispettivamente, dell'ammenda fino a 150.000 euro e dell'arresto fino a tre anni, sono previste, in via alternativa o congiunta, solo nei casi in cui le infrazioni ledano o espongano a pericolo interessi costituzionalmente protetti), pone un limite di rango costituzionale alla discrezionalit,3 del legislatore in materia di previsione delle fattispecie penalmente rilevanti. Il principio di offensività opera ininterrottamente «dal momento della astratta predisposizione normativa a quello della applicazione concreta da parte del E.G., con conseguente distribuzione dei poteri conformativi tra E.G. delle leggi e autorità giudiziaria, alla quale soltanto compete di impedire, con un prudente apprezzamento della lesività in concreto, una arbitraria ed illegittima dilatazione della sfera dei fatti da ricondurre al modello legale» (Corte cost., sent. n. 263 del 2000; ordinanza n. 30 del 2007; nello stesso senso anche Corte cost. sentenze n. 360 del 1995, n. 247 del 1997, n. 133 del 1992, n. 333 del 1991, n. 144 del 1991).
Ancor più recentemente, il E.G. del le leggi ha ribaci to che il principio di offensività «opera su due piani distinti. Da un lato, cioè, corne precetto rivolto al legislatore, diretto a limitare la repressione penale a fatti che, nella loro configurazione astratta, esprimano un contenuto offensivo di beni o interessi ritenuti meritevoli di protezione (offensività ''in astratto"); d2ill'altro, come criterio interpretativo-applicativo affidato al E.G., il quale, nella verifica della riconducibilità della singola fattispecie concreta al paradigma punitivo astratto, dovrà evitare che ricadano in quest'ultimo comportamenti privi di qualsiasi attitudine lesiva (offensività "in concreto")>> (Corte cost., sentenza n. 139 del 2023, che richiama le sentenze n. 211 del 2022, n. 278 e n. 141 del 2019, n. 109 del 2016, n. 265 del 2005, n. 263 del 2000, cit., e n. 360 del 1995). Peraltro, precisa la Corte, «il principio di offensività in astratto non implica che l'unico modello, costituzionalmente legittimo, sia quello del reato di danno. Rientra, infatti, nella discrezionalità del legislatore optare per forme di tutela anticipata, le quali colpiscano l'aggressione ai valori protetti nello stc1dio della semplice esposizione a pericolo, nonché, correlativamente, individuare la soglia di pericolosità alla quale riconnettere la risposta punitiva (sentenze n. 211 del 2022, n. 141 del 2019, n. 109 del 2016 e n. 225 del 2008): prospettiva nella quale non è precluso, in linea di principio, il ricorso al modello deil reato di pericolo presunto (sentenze n. 211 del 2022, n. 278 e n. 141 del 201.9, n. 109 del 2016, n. 247 del 1997, n. 360 del 1995, n. 133 del 1992 e n. 333 del 1991)».
Dunque, il generico "dovere di lealtà'•, posto a fonda mento dell'indirizzo ermeneutico qui disatteso, costituisce una giustificazione tautologica della potestà punitiva dello Stato (prohibitum quia prohibitum) che deve ceclere il passo di fronte a possibili spiegazioni alternative della penale rilevanza della condotta più aderenti al principio di offensività.
7. Il reato di cui all'art. 7 d.l. n. 4 del 2019, è reato di pericolo concreto a consumazione anticipata posto a presidio delle risorse pubbliche economiche destinate a finanziare il Rdc impedendone la dispersione a favore di chi non ne ha (o non ne ha più) diritto o ne ha diritto in misura minore. È reato posto a tutela del patrimonio dell'ente erogante e, in particolare, delle specifiche (e limitate) risorse destinate all'erogazione del beneficio ed al perseguimE!nto del fine pubblico ad esso sotteso.
A sostegno di tale conclusione militano vari argomenti, il primo dei quali ha natura letterale e riguarda l'interpretazione dell'avverbio "indebitamente" che qualifica il dolo specifico.
La lettura che propone l'indirizzo qui non accolto ne rende sostanzialmente inutile l'inserimento nella fattispecie; non si comprende, cioè, per quale ragione, venendo in rilievo il dovere di lealtà del cittadino verso le istituzioni, il legislatore non abbia ritenuto sufficiente il solo fine di ottenere il beneficio ma abbia ritenuto necessario il fine di ottenerlo "indebitaimente". Sarebbe stato sufficiente pretendere la consapevolezza della falsit3 delle informazioni date (o della doverosità di quelle omesse) per ritenere punibile la condotta posta in essere nella prospettiva del conseguimento del risultato. In altre parole, se il reato sussistesse a prescindere dall'effettivo diritto dell'interessato a ottenere il beneficio, l'avverbio "indebitamente" finirebbe per attribuire al dolo specifico lo stesso contenuto di quello generico: l'agente verrebbe punito perché rende dichiarazioni consapevolmente false (o scientemente omette informazioni dovute) nella prospettiva di conseguire il beneficio pur sapendo di rendere, a tal fine, dichiarazioni false o di omettere informazioni dovute.
Ben più coerente con il dato testuale è la soluzione che attribuisce all'avverbio "indebitamente" un contenuto autonomo che qualifica il dolo specifico diversificandolo rispetto alla mera consapevolezza della falsit,3 delle informazioni date (o omesse) per ottenere il beneficio.
L'altro argomento ha natura sistematica e riguarda il rapporto tra il reato di cui al primo comma dell'art. 7 d.l. n. 4 del 20:1.9, e quello di cui al secondo comma del medesimo articolo.
L'interpretazione qui accolta rende piC.1 armonico il rapporto tra le due fattispecie di reato sanzionate dal medesimo articolo. Non v'è dubbio, infatti, che l'omessa comunicazione delle variazioni del re:ddito o del patrimonio, nonché delle altre informazioni dovute ai fini della revoca o della riduzicne del beneficio è penalmente sanzionata, purché i dati non comunicati siano rilevanti. L'omessa comunicazione di dati non rilevanti costituisce puramente e semplicemente un fatto atipico che non reca alcuna offesa al patrimonio e agli interessi pubblici dell'ente erogante. L'indirizzo qui disatteso postula necessariamente la diversità dei beni tutelati dalle due fattispecie: il dovere di lealtà nei confronti dell'ente erogante, nel primo comma, e il patrimonio dE:ill'ente, nel secondo comma. Non si comprende perché tale dovere di lealtà dovrebbe cessare una volta ottenuto il beneficio e perché non permei di sé anche il compito del beneficiato di rendere edotto l'ente pubblico di ogni variazione delle condizioni che legittimano la persistente erogazione del Rdc. Si potrebbe obiettare che la "rilevanza" dell'informazione omessa (secondo comma) per evitare la revoca o la riduzione del beneficio non qualifica, ai sensi del primo comma, anc1e le informazioni omesse per ottenere il beneficio stesso. Questa obiezione non spiega, però, perché, in caso di decadenza dal beneficio nei casi previsti dal sesto comma dell'art. 7, l'ente debba recuperare solo «quanto versato in ecceisso» e non l'intero ammontare delle somme corrisposte a titolo di Rdc. Il sesto ,:omma dell'art. 7, infatti, prevede, quale specifico motivo di decadenza, la percezione del Rdc in misura maggiore rispetto a quanto sarebbe spettato al nucleo familiare «per effetto di dichiarazione mendace in sede di DSU o di altra dichiarazione nell'ambito della procedura di richiesta del beneficio, ovvero per e1fetto dell'omessa presentazione delle prescritte comunicazioni>>. Il legislatore ha dunque espressamente contemplato la possibilità che l'interessato ottenga il beneficio in misura maggiore del dovuto (anche) per effetto di dichiarazione mendace. Ma se venisse in rilievo il dovere di lealtà nei confronti dell'ente erogatore non si comprenderebbe il motivo per il quale la d,,:cadenza non determini il recupero totale di quanto versato, piuttosto che di <<quanto versato in eccesso>>. Tale conclusione consente di affermare che il reato previsto dal primo comma dell'art. 7, cit., sussiste anche quando l'agente agisce nella prospettiva di ottenere più del dovuto e di attribuire, dunque, all'avverbio "indebitamente/' un contenuto più ampio, non limitato alla sola prospettiva di ottenere il beni:ficio senza averne diritto, ma anche a quella di ottenere il beneficio in misura maggiore del dovuto. Il fatto che in quest'ultimo caso il legislatore abbia espressamente previsto «il recupero di quanto versato in eccesso», costituisce ulteriore prova che (anche) il bene tutelato dal primo comma dell'art. 7 è il patrimonio dell'ente, non già un generico dovere di lealtà nei suoi confronti. Tale conclusione ri:nde omogeneo (ed unico) il bene tutelato dalle due fattispecie di reato; le condotte ivi previste non costituiscono altro che modalità diverse di aggressione a tale unico bene in costanza della diversità del presupposto: la mancanza ciel beneficio (e la prospettiva di ottenerlo), nel primo caso; il suo godimento nel secondo.
Il minimo comune denominatore di entrambe le fattispecie penali, quella di cui al primo comma e quella di cui al secondo comma dell'art. 7 d.l. n. 4 del 2019, è dunque costituito dal patrimonio (o dalle risorse economiche) dell'ente e dal fine che con il suo utilizzo si intende perseguire. Il patrimonio non rileva come bene di proprietà ma come strumento per il raggiungiimento di determinati obiettivi; non rileva l'aspetto statico, bensì quello dinamico: sullo sfondo s'intravede l'interesse pubblico leso (anche solo potenzialmente) dall'azione di chi sottrae risorse per perseguirlo.
Per l'erogazione del Rdc (e della pensioni: di cittadinanza), infatti, sono state stanziate somme da iscrivere su apposito capitolo dello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali clenominato «Fondo per il reddito di cittadinanza>>, destinato ad essere alimentato,. almeno fino al 2022, con gli importi indicati dall'art. 12, comma 1, ci.I. n. 4 del 2019. Le somme sono trasferite annualmente all'INPS su apposito conto corrente di tesoreria centrale ad esso intestato, da cui sono prelevate le risorse necessarie per l'erogazione del beneficio da trasferire sul conto acceso presso Poste Italiane con cui è stipulata apposita convenzione. Con circolare del 20 marzo 2019, n. 4, l'INPS ha espressamente previsto che «[i]n caso di esaurimento delle risorse disponibili per l'esercizio di riferimento, con decreto del Ministro del Lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'Economia e delle finanze, da adottarsi entro trenta giorni dall'esaurimento di dette risorse, è ristabilita la compatibilità finanziaria mediante rimodulazione dell'ammontare del beneficio. Nelle more dell'adozione del suddetto decreto, l'acquisizione di nuove domande e IE:i erogazioni sono sospese>> (analoga previsione è contenuta nella circolare dell'Istituto del 5 luglio 2019).
L'indebita percezione (o fruizione) del Rclc, dunque, distrae le somme messe a disposizione per finanziarne l'erogazione a danno (diretto) dell'ente pubblico erogatore e (indiretto) di chi avrebbe diritto cl i godere del beneficio.
Deve escludersi che il reato di cui all'art. 7, comma 1, d.. n. 4 del 2019, sia posto a tutela della fede pubblica e che si risolva in un reato di falso.
Non necessariamente, del resto, il fatto che una fattispecie contempli, per la consumazione del reato, l'indicazione di dati falsi o il silenzio su fatti veri legittima tale conclusione: prova ne sia che il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti di cui all'art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, non è posto a tutela della fede pubblica bensì del dovere, costituzionalmente sancito, di concorrere alle spese pubbliche n ragione, ognuno, della propria capacità contributiva (art. 53, comma primo, Cost.). Ascrivere il delitto di cui all'art. 7 d.l. n. 4 del 2019, alla categoria dei reati contro la fede pubblica equivarrebbe a spostarne il disva1lore dall'evento alla condotta e a svuotare di senso l'avverbio "indebitamente'· che qualifica il movente tipizzato dell'azione (il dolo specifico).
La previsione del dolo specifico non costituisce, quindi, nel caso di specie, "un inedito nella materia del falso e, ancor piL.1, in quella dellE falsità nelle c.d. autodichiarazioni" (così il Procuratore generale nella sua memcria) perché il reato di cui all'art. 7, comma 1, d.l. n. 4 del 20:19, non si colloca nella tradizione sanzionatoria dei delitti di falso, né è norma speciale rispetto al reato di cui all'art. 76 d.P.R. n. 445 del 2000. La specifica previsione del finalismo della condotta decettiva è frutto della scelta del legislaton:! di anticipare la tutela penale al momento della domanda piuttosto che a quE:!llo dell'erogazione del beneficio e proietta il reato fuori dall'ambito della tutela della fede pubblica collocandola in quella dell'aggressione alle risorse dell'ente pubblico specificamente destinate all'erogazione del beneficio.
Il dolo specifico, in questo contesto, svolge una funzione selettiva tra condotte penalmente rilevanti e quelle che tali non sono, estromettenco dalla fattispecie quelle insuscettibili di mettere in pericolo 11 bene protetto. Se l'agente ha comunque diritto al beneficio, la non corrispondenza al vero delle informazioni a tal fine rese non qualifica il falso come "inutile", ma rende puramente e semplicemente atipica la condotta, dovendos.i escludere la natura indebita del beneficio stesso; viene meno, cioè, un elemento del fatto tipico. Il dolo specifico, nel caso di specie, non si limita a tipizzare il movente dell'azione ma assolve anche allo scopo di qualificare la condotta, costituendo, sul piano ogge:tivo, un elemento della fattispecie rivelatore dell'offesa che si intE:inde prevenire (e punire).
La prospettiva ermeneutica da cui muove il Procuratore generale, pur nell'identità delle conclusioni cui perviene, è, invece, radicalmente diversa perché muove dalla erronea premessa che il delitto clii cui all'art. 7, comma 1, cit., sia un reato contro la fede pubblica laddove, per le ragioni ampi2 mente illustrate, è delitto contro il patrimonio dell'ente che eroga il beneficio mettendo a repentaglio le risorse destinate ad alimentarlo.
L'anticipazione della tutela qualifica il delitto in questione come reato di pericolo concreto laddove l'interpretazione qu.i confutata lo qualifica come reato di pericolo astratto la cui declinazione applicativa, però, non potrebbe mai sfuggire alla verifica, in concreto, della idoneità della condotta tipica a ledere gli interessi tutelati dalla minaccia della sanzione penale: anche nei reati di pericolo presunto, il E.G. deve escludere la punibilità di fatti pure corrispondenti alla formulazione della norma incriminatrice, quando alla luce delle circostanze concrete manchi ogni (ragionevole) possibilità di produzione del danno (Corte cost., sent. n. 123 del 2023).
8. In conclusione, deve essere affermato il seguente principio di diritto: «Le omesse o false indicazioni di informazioni contenute nell'autodichiarazione finalizzata a conseguire il reddito di cittadinanza integrano il delitto di cui all'art. 7 d.l. 28 gennaio 2014 n. 4, conv. in legge 28 marzo 2019 n. 26 solo se funzionali ad ottenere un beneficio non spettante ovvero spettante in misura superiore a quella di legge».
9. In applicazione del principio di diritto, il primo motivo di ricorso è fondato e assorbente.
Aderendo all'indirizzo ermeneutico qui disatteso, la Corte di appello ha omesso di accertare se, ed in che misura, l'infedele rappresentazione della consistenza del patrimonio immobiliare del ricorrente poteva incidere sull'an o sul quantum del beneficio richiesto (ed ottenuto). Né dalla IE!ttura delle sentenze di primo e di secondo grado emerge l'irrilevanza della falsità e la persistente sussistenza delle condizioni per ottenere comunque il beneficio. La contraria postulazione difensiva non trova riscontro, né è scrutinabile in questa sede di legittimità mediante l'accesso al contenuto del fascicolo del dibattimento. Sarà compito del E.G. rescissorio procedere all'accertamento sollecitato in appello (E non effettuato) e dare risposta agli altri motivi.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Napoli.