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Gli attori (titolari di un panificio) proponevano opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale con il quale le era stato ingiunto il pagamento di un credito fondato su 14 fatture in relazione alla fornitura di farina, e su 3 assegni bancari privi di provvista. A sostegno dell'opposizione, gli attori deducevano l'omessa autenticazione notarile delle fatture e dei registri con conseguente nullità del decreto ingiuntivo opposto; il disconoscimento delle firme apposte sulle fatture e sugli assegni bancari sottesi all'ingiunzione di pagamento; il difetto di prova in merito alla sussistenza del credito ingiunto. Costituendosi in giudizio, parte opposta eccepiva che il credito chiesto in pagamento con il decreto ingiuntivo opposto trovava fondamento nelle fatture, tutte regolarmente sottoscritte. |
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Il Legislatore con l' |
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In tema di ricorso monitorio, la fattura è titolo idoneo per l'emissione di un decreto ingiuntivo in favore di chi l'ha emessa, ma nell'eventuale giudizio di opposizione la stessa non costituisce prova dell'esistenza del credito, che dovrà essere dimostrato con gli ordinari mezzi di prova dall'opposto. In tal caso, la fattura commerciale, avuto riguardo alla sua formazione unilaterale ed alla sua funzione di far risultare documentalmente elementi relativi all'esecuzione di un contratto (come l'elenco delle merci, il loro prezzo, le modalità di pagamento ed altro), si inquadra tra gli atti giuridici a contenuto partecipativo, consistendo nella dichiarazione indirizzata all'altra parte di fatti concernenti un rapporto già costituito, sicché quando tale rapporto sia contestato fra le parti, la fattura, ancorché annotata nei libri obbligatori, non può assurgere a prova del negozio ma costituisce al più un mero indizio (Cass. civ., sez. II, 20 maggio 2004, n. 9593). Parimenti gli estratti autentici delle scritture contabili prescritti dalle leggi tributarie possono costituire, ai sensi dell' |
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Nella vicenda, l'opponente aveva contestato la validità dei documenti sottesi all'ingiunzione di pagamento, disconoscendo le sottoscrizioni apposte sulle fatture e sugli assegni bancari allegati dal creditore opposto, nonché l'inidoneità dei medesimi documenti alla prova del credito ingiunto. Sulla scorta delle scritture di comparazione, il c.t.u. evidenziava la compatibilità delle firme autografe in contestazione, consentendo di rilevare la compatibilità dell'impostazione e del livello di maturità grafica, nonché la concordanza delle più qualificanti caratteristiche di insieme. Quindi la firma era autografa. Quanto all'eccepito difetto di prova del credito ingiunto, si osserva che l'opponente non aveva contestato né l'esistenza del rapporto commerciale con la società opposta, né l'effettiva fornitura di farina, ma aveva eccepito genericamente la nullità del decreto ingiuntivo in ragione dell'omessa autenticazione notarile delle fatture sottese all'ingiunzione di pagamento. A tal proposito, giova premettere che a mente dell' |
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
Con atto di citazione ritualmente notificato, C. A. conveniva in giudizio I. C. proponendo opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 433/2020 emesso dal Tribunale di Cosenza in data 26.04.2020 con il quale le era stato ingiunto, anche in qualità di titolare della ditta individuale Panificio S. E. di C. A., il pagamento di € 5.334,89, oltre interessi e spese del procedimento monitorio, quale credito fondato su 14 fatture emesse nel periodo 2015-2016, in relazione alla fornitura di farina, e su 3 assegni bancari privi di provvista.
A sostegno dell’opposizione deduceva l’omessa autenticazione notarile delle fatture e dei registri con conseguente nullità del decreto ingiuntivo opposto; il disconoscimento delle firme apposte sulle fatture e sugli assegni bancari sottesi all’ingiunzione di pagamento; il difetto di prova in merito alla sussistenza del credito ingiunto.
Invocava, quindi, la revoca del decreto ingiuntivo opposto.
Si costituiva in giudizio I. C. che contestava la fondatezza dell’opposizione.
Deduceva in particolare che il credito chiesto in pagamento con il decreto ingiuntivo opposto trovava fondamento nelle fatture - tutte regolarmente sottoscritte a conferma dell’avvenuta consegna della fornitura - e nei 3 assegni bancari emessi a parziale adempimento dell’obbligazione, sottoscritti da G. E., marito della C., con l’apposizione del timbro del Panificio S. E.; che fosse invocabile l’inversione dell’onere della prova in ordine all’esistenza del credito di cui ai 3 assegni bancari, costituenti promessa di pagamento equiparata alla ricognizione di debito; che sia le fatture che gli assegni erano stati sottoscritti da G. E., autorizzato dalla C., e in alcuni casi anche da quest’ultima, per cui, intendendo avvalersi dei documenti disconosciuti dell’opponente, proponeva istanza di verificazione. Chiedeva, altresì, di essere autorizzato a chiamare in causa G. E. in quanto soggetto autorizzato dalla titolare della Ditta opponente a sottoscrivere fatture e assegni.
Concludeva, dunque, per il rigetto dell’opposizione con conferma del decreto ingiuntivo opposto, previa concessione della provvisoria esecuzione.
Autorizzata la chiamata in causa del terzo, si costituiva in giudizio G. E. il quale eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva evidenziando di non aver sottoscritto le fatture e gli assegni sottesi all’ingiunzione di pagamento e di non aver mai avuto autorizzazioni in tal senso da C. A. in quanto soggetto assolutamente estraneo al Panificio S. E..
Espletati gli incombenti di rito e concessi i termini ex art. 183 VI comma c.p.c., la causa veniva istruita mediante prova per testi e c.t.u. grafologica.
All’udienza del 10.07.2023, sulle conclusioni precisate dai procuratori delle parti, la causa veniva trattenuta in decisione con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.
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La presente controversia ha ad oggetto l’opposizione proposta da C. A. avverso il decreto ingiuntivo n. 433/2020 emesso dal Tribunale di Cosenza in data 26.04.2020 per il pagamento della somma di € 5.334,89, a titolo di debito maturato in relazione alla fornitura di farina effettuata dalla ditta individuale M. di I. C..
L’opponente ha contestato la validità dei documenti sottesi all’ingiunzione di pagamento, disconoscendo le sottoscrizioni apposte sulle fatture e sugli assegni bancari allegati dal creditore opposto, nonché l’inidoneità dei medesimi documenti alla prova del credito ingiunto.
Occorre premettere che l’opposizione a decreto ingiuntivo introduce un processo ordinario di cognizione di primo grado, il quale non costituisce un autonomo e distinto procedimento rispetto alla fase sommaria, bensì una ulteriore fase di svolgimento a cognizione piena ed in contraddittorio tra le parti.
Da tale premessa derivano i due seguenti corollari.
Sul piano sostanziale, la qualità di attore è propria del creditore che ha richiesto l’ingiunzione, con la conseguenza che, in base ai principi generali in materia di prova, incombe a lui l’onere di provare l’esistenza del credito, mentre spetta, invece, all’opponente quello di provarne i fatti estintivi, modificativi o impeditivi.
Il giudice dell’opposizione non valuta più soltanto la sussistenza delle condizioni di legge per l’emanazione del decreto ingiuntivo, ma deve ampliare il proprio esame e verificare la fondatezza o meno della pretesa creditoria dell’attore opposto sulla base dell’intero materiale probatorio acquisito in corso di causa.
Inoltre, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, in tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento (cfr. ex plurimis, Cass. Civ., n. 9351 del 19.4.2007; Cass.Sez. Un. n. 13533 del 30.10.2001).
Ciò posto, avuto riguardo al caso di specie, si osserva quanto segue.
I. C. ha prodotto la fattura n. 22 del 16.02.2015 sottoscritta da C. A., nonché le fatture n. 10 del 20/01/2015 di euro 411,84; n. 33 del 20/03/2015 di euro 274,56; n. 39 del 31/03/2015 di euro 377,52; n. 45 del 13/04/2015 di euro 366,08; n. 57 del 23/04/2015 di euro 320,32; n. 63 del 07/05/2015 di euro 352,25; n. 78 del 21/05/2015 di euro 497,64; n. 89 del 04/06/2015 di euro 313,00; n. 96 del 17/06/2015 di euro 223,60; n. 102 del 25/06/2015 di euro 447,20; n. 175 del 29/09/2015 di euro 357,76; n. 182 del 20/10/2015 di euro 559,00; n. 5 del 15/01/2016 dRi Geuron4. 921,1992 3/2020 sottoscritte da G. E., marito della C..
Il creditore opposto ha altresì allegato gli assegni bancari, privi di provvista, n. (omissis) del 20.06.2015, n. (omissis) del 20.04.2015 e n. (omissis) del 20.04.2015 di euro 920,00 cadauno, anch’essi sottoscritti da G. E..
Ciò posto, C. A. e G. E. hanno disconosciuto le sottoscrizioni apposte sulle fatture e sugli assegni già menzionati e I. C., da parte sua, ha proposto rituale istanza di verificazione, intendendo avvalersi dei documenti in questione.
E’ stata quindi espletata perizia calligrafica sui documenti in contestazione.
Sulla scorta delle scritture di comparazione, nonché acquisito idoneo saggio grafico, il c.t.u. dott.ssa M. P., con procedimento logico ed immune da vizi che si condivide interamente, ha proceduto al confronto tra il tracciato grafico delle firme in verifica a nome “A. C.” e “G. E.” e il tracciato grafico delle firme della grafia dell’opponente e della parte chiamata in causa.
Quanto a C. A., sono state utilizzate quali scritture comparative le firme apposte sulla procura alle liti rilasciata in calce all’atto di citazione, sulla carta d’identità e sulla cartolina n. 153553498718 del 18.10.2019, nonché quelle acquisite mediante saggio grafico.
Dalle analisi di confronti tra le firme in verifica e la grafia autografa di C. A. sono emerse le seguenti risultanze: 1) compatibilità nel livello di forma e padronanza della scrittura; 2) compatibilità nell’andamento pressorio; 3) compatibilità nell’andamento lungo il rigo; 4) compatibilità nell’andamento assiale; 5) compatibilità nell’andamento curvilineo; 6) compatibilità nella tipologia di distacchi; 7) compatibilità nello spazio tra lettere; 8) compatibilità nella morfologia della lettera “A” e “L”; 9) compatibilità nella morfologia dei grafemi e della lettera “o” (cfr. pagg. 28-40 della relazione). Alla stregua di tali accertamenti, il c.t.u., dott.ssa M. P., ha evidenziato che “Il confronto, condotto in parallelo tra le firme autografe della signora C. e quella in esame, ha consentito di rilevare la compatibilità dell’impostazione e del livello di maturità grafica, nonché la concordanza delle più qualificanti caratteristiche di insieme. Le omogeneità sono state riscontrate in tutti i parametri ma soprattutto negli elementi più intimi delle grafie che ci hanno consentito di stabilirne, inequivocabilmente, la unicità di mano” ed è pervenuta alla conclusione che “La firma apposta su documento fattura n. 22 del 16.02.2015, in esame è autografa, è stata vergata dalla signora C.”.
Quanto alle firme a nome “G. E.” in contestazione, dal confronto con le scritture comparative (ossia le firme apposte su carta d’identità, patente, procura alle liti in calce alla comparsa di costituzione e risposta, nonché quelle acquisite mediante saggio grafico), il consulente ha rilevato la presenza di elementi di similitudine redazionale perfettamente riconducibili al sig. G.. In particolare, secondo quanto specificato dal c.t.u., “oltre ad una similarità di carattere formale, riscontrabile ad es. nel modo di tracciare alcuni grafemi (es. la prima lettera, le “l”), sono emerse anche una serie di concordanze di carattere sostanziale riguardanti l’aspetto dinamico della scrittura, come i rapporti dimensionali, la scrittura gladiolata, l’inclinazione, i ricci, ecc.. che ci inducono alla conclusione della concordanza e unicità di mano delle autografe con le contestate” (cfr. pagg. 41-75 della relazione).
Ciò posto e tenuto conto delle omogeneità riscontrate tra le caratteristiche tipiche e personali della grafia autografa del sig. G. e quelle dei documenti in contestazione, il c.t.u. ha affermato che le firme apposte sui documenti in esame siano state vergate da G. E. e siano, quindi, autografe. Simili conclusioni, fondate su accertamenti di natura scientifica, non sono state in alcun modo contestate dalle parti che non hanno formulato alcuna osservazione sull’elaborato peritale.
Alla luce di tali premesse, deve essere accolta l’istanza di verificazione proposta in via incidentale da I. C..
Quanto all’eccepito difetto di prova del credito ingiunto, si osserva che l’opponente non ha contestato né l’esistenza del rapporto commerciale con la società opposta, né l’effettiva fornitura di farina, ma ha eccepito genericamente la nullità del decreto ingiuntivo in ragione dell’omessa autenticazione notarile delle fatture sottese all’ingiunzione di pagamento.
A tal proposito, giova premettere che a mente dell’art. 634, comma 2, c.p.c., richiamato dall’opponente a sostegno delle proprie deduzioni, il solo estratto autentico delle scritture contabili può costituire prova scritta sufficiente ad ottenere l’emissione del provvedimento monitorio; ne consegue che la validità del decreto ingiuntivo emesso sulla scorta del credito descritto in fattura non è limitata al requisito dell’autenticazione delle scritture contabili.
In relazione al valore probatorio della fattura, poi, l’orientamento senz’altro prevalente è nel senso di ritenere che le semplici fatture possano costituire prova dei crediti in questione limitatamente alla fase di emissione del decreto ingiuntivo o dell’ordinanza di ingiunzione ex art. 186 ter c.p.c., e fatta salva ogni ulteriore valutazione del materiale probatorio nel successivo giudizio a cognizione piena (cfr. Cass. n. 3090/79; Cass. n. 3261/79).
D’altra parte, la giurisprudenza riconosce che la fattura commerciale, avuto riguardo alla sua formazione unilaterale ed alla sua funzione di far risultare documentalmente elementi relativi all’esecuzione di un contratto (come l’elenco delle merci, il loro prezzo, le modalità di pagamento ed altro), si inquadra tra gli atti giuridici a contenuto partecipativo, consistendo nella dichiarazione indirizzata all’altra parte di fatti concernenti un rapporto già costituito, sicché quando tale rapporto sia contestato fra le parti, la fattura, ancorché annotata nei libri obbligatori, non può assurgere a prova del negozio ma costituisce al più un mero indizio (crf. Cass. Civ., n. 9593 del 20.04.2004).
Nella fattispecie in esame, dunque, la parte opponente ha formulato una contestazione meramente generica, in ordine all’inidoneità probatoria delle fatture poste a fondamento del decreto ingiuntivo opposto.
Il creditore opposto, dal canto suo, ha fornito la prova del credito azionato in sede monitoria, allegando le fatture contenenti l’indicazione del tipo, della quantità e del prezzo della merce fornita, e recanti la sottoscrizione del ricevente per avvenuta consegna della merce, secondo la quantità e i prezzi riportati nelle stesse che non sono in alcun modo contestati dalla debitrice.
Oltre a ciò, il creditore opposto ha allegato 3 assegni tratti su Banca S. di € 920,00 ciascuno, - rivelatisi privi di copertura (ma valevoli come promessa di pagamento ai sensi dell’art. 1988 c.c.) - emessi da “Panificio S. E.” e recanti la sottoscrizione di G. E. con l’apposizione del timbro del panificio, assumendo che questi fossero stati emessi a parziale soddisfacimento del pagamento dovuto.
L’opponente, gravato del relativo onere probatorio, nulla ha dimostrato con riguardo all’insussistenza o all’estinzione dell’obbligazione, né con riguardo all’imputazione del titolo a una diversa causa adquirendi.
Circa poi le sottoscrizioni apposte da G. E. sui documenti in questione e la riferibilità delle medesime al Panificio “S. E.” di C. A., le dichiarazioni rese dal testimone escusso in giudizio hanno fornito elementi atti a comprovare l’esistenza del credito oggetto del provvedimento monitorio e la prospettazione della parte opposta.
In particolare, P. R. (dipendente della ditta opposta) ha confermato la partecipazione di G. E. all’attività del Panificio “S. E.”, per conto della coniuge, nel periodo relativo agli anni 2015-2016, avendo egli stesso provveduto - all’incirca due volte al mese - alla consegna dei sacchi di farina.
Il predetto testimone ha affermato che G. E. “effettuava gli ordini per conto del panificio della moglie C. A.” e che, al momento della consegna, apponeva la firma e il timbro del panificio sulla fattura emessa da I. C..
Il teste ha poi aggiunto che il tutto avveniva alla presenza di C. A. e che il pagamento avveniva mediante assegni “che venivano compilati da G. E. al momento della consegna della merce”.
Consegue che le risultanze documentali (fatture sottoscritte dal destinatario della merce (..) dichiarazioni assunte in sede di prova testimoniale e la genericità delle contestazioni sollevate dall’opponente, forniscono elementi idonei a ritenere dimostrato il credito relativo al corrispettivo delle forniture di cui alle fatture poste a fondamento del decreto ingiuntivo.
In conclusione, alla stregua delle argomentazioni esposte e dei principi giuridici richiamati, risulta adeguatamente provata la pretesa economica azionata da I. C., in forza del decreto ingiuntivo opposto, in assenza dell’allegazione e dimostrazione di fatti estintivi da parte dell’opponente debitrice.
Per i motivi già indicati, l’opposizione proposta da C. A. deve essere rigettata, con conseguente conferma del decreto ingiuntivo n. 433/2020 emesso dal Tribunale di Cosenza in data 26.04.2020, che deve essere dichiarato definitivamente esecutivo.
Non appaiono ravvisabili i presupposti per la pronuncia di condanna, ex art. 96 c.p.c., formulata dalla parte opposta, in assenza dell’allegazione degli elementi previsti dalla disposizione in oggetto.
Al riguardo, la Suprema Corte ha, anche di recente, ribadito che “La responsabilità ex art. 96, comma 3, c.p.c., presuppone, sotto il profilo soggettivo, una concreta presenza di malafede o colpa grave della parte soccombente, perché agire in giudizio per far valere una pretesa non è di per sé condotta rimproverabile, anche se questa si riveli infondata, dovendosi attribuire a tale figura carattere eccezionale e/o residuale, al pari del correlato istituto dell'abuso del processo, giacché una sua interpretazione lata o addirittura automaticamente aggiunta alla sconfitta processuale verrebbe a contrastare con i principi dell'art.24 Cost.” (cfr. Cass. Civ., n. 19948 del 12.7.2023).
Inoltre, la liquidazione del danno da responsabilità processuale aggravata, ex art. 96 c.p.c., postula che la parte istante abbia quantomeno assolto l'onere di allegare gli elementi di fatto, desumibili dagli atti di causa, necessari ad identificarne concretamente l'esistenza ed idonei a consentire al giudice la relativa liquidazione, anche se equitativa (cfr. Cass. Civ., n. 15175 del 30.5.2023).
Nella fattispecie in esame, il convenuto opposto non ha specificamente dedotto l’elemento soggettivo della malafede e/o della colpa grave riferibile alla condotta processuale dell’opponente, sicchè la sola iniziativa giudiziaria, rigettata da questo giudicante, non appare idonea, di per sé, a giustificare la pronuncia di una condanna per lite temeraria.
Le spese di lite, come liquidate in dispositivo in applicazione dei parametri minimi di cui al D.M. n. 147/2022 (scaglione di valore compreso tra € 5.200,01 ed € 26.000,00), seguono la soccombenza, in ragione dello svolgimento del giudizio e della natura non particolarmente complessa della controversia.
Le spese relative alla c.t.u., nella misura liquidata con separato decreto, sono definitivamente poste a carico dell’Erario, attesa l’ammissione dell’opponente e del terzo chiamato al patrocinio a spese dello Stato.
P.Q.M.
definitivamente pronunciando, nel contraddittorio delle parti, ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione disattesa, così provvede:
1) rigetta l’opposizione proposta da C. A. e, per l’effetto, conferma il decreto ingiuntivo n. 433/2020 emesso dal Tribunale di Cosenza in data 26.04.2020 e lo dichiara esecutivo;
2) rigetta la domanda di condanna, ex art. 96 c.p.c., formulata dalla parte opposta;
3) condanna la parte opponente ed il terzo chiamato in causa, in solido tra loro, alla rifusione, in favore della parte opposta, delle spese del giudizio, liquidate in complessivi € 2.538,50 per compensi professionali, oltre rimborso forfettario spese generali in misura del 15%, cpa ed iva come per legge, da distrarre in favore del difensore antistatario ex art. 93 c.p.c.;
4) pone le spese relative alla c.t.u., nella misura liquidata con separato decreto, definitivamente a carico dell’Erario, attesa l’ammissione dell’opponente e del terzo chiamato al patrocinio a spese dello Stato.