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27 dicembre 2023
Non è discriminatorio il licenziamento del sindacalista che pubblica sui social commenti molto lesivi dell’immagine dell’azienda

I limiti del diritto di critica e i presupposti per la discriminatorietà del licenziamento intimato al lavoratore sindacalista: questi i temi trattati dalla Cassazione con l'ordinanza in commento.

La Redazione

La Corte d'Appello di Bari confermava la decisione del Giudice di prime cure e di conseguenza rigettava l'impugnativa del licenziamento per giusta causa intimato al lavoratore per aver pubblicato sulla bacheca personale di un noto social network in maniera visibile dalla generalità degli utenti dei commenti gravemente lesivi dell'immagine e del prestigio dell'azienda presso cui lavorava, oltre ad altri commenti lesivi dell'onorabilità e del decoro dei suoi responsabili e di persone notoriamente legate all'azienda. A fondamento della decisione, i Giudici affermavano che i fatti contestati al lavoratore a titolo di dolo o di grave negligenza grave e ingiustificabile travalicavano ogni limite di critica e di satira, impedendo la prosecuzione del rapporto di lavoro.
L'ormai ex lavoratore impugna la decisione mediante ricorso per cassazione, lamentando tra le altre cose il fatto che la Corte non avesse ritenuto integrata l'ipotesi di licenziamento discriminatorio per ragioni di appartenenza sindacale, oltre ad avere escluso la scriminante del diritto di critica.

Con l'ordinanza n. 35922 del 22 dicembre 2023, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso, ricordando che al lavoratore è garantito il diritto di critica anche aspra verso il datore di lavoro ma senza che ciò possa ledere sul piano morale l'immagine di quest'ultimo con riferimento a fatti non oggettivamente certi e comprovati, in quanto il principio della libertà di pensiero trova un limite nell'esigenza di tutelare i diritti e le libertà altrui, dovendo essere coordinato con altri interessi degni di pari tutela. Trattasi nello specifico della tutela della persona umana, conseguendone la sanzionabilità in via disciplinare della condotta del lavoratore apertamente disonorevole e con riferimenti denigratori non provati nei confronti del datore di lavoro.
Il diritto di critica del lavoratore che sia anche sindacalista sono stati ribaditi da questa Corte ponendo l'accento sulla duplice veste dello stesso, quale lavoratore da un lato, e quindi soggetto al vincolo di subordinazione degli altri dipendenti, e di sindacalista dall'altro, che si pone su un piano paritetico con il datore di lavoro poiché comporta un'attività tesa a tutelare gli interessi collettivi dei lavoratori verso quelli contrapposti del datore.
Ciò posto, gli Ermellini riscontrano che la Corte del merito si è attenuta a tali principi, escludendo la ricorrenza dei presupposti del legittimo esercizio del diritto di critica per via delle espressioni utilizzate dal lavoratore sindacalista e pubblicate sul profilo social accessibile a tutti gli utenti, altamente sgradevoli e prive di qualsiasi seria finalità divulgativa, essendo finalizzate esclusivamente a ledere il decoro e la reputazione aziendale e del suo fondatore. Ciò va ad escludere ogni profilo di discriminatorietà del licenziamento.
Inevitabile il rigetto del ricorso.