Con sentenza n. 227 depositata il 28 dicembre 2023, la Corte costituzionale ha accolto il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato dal Senato contro la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino, il Giudice per le indagini preliminari e il Giudice dell'udienza preliminare del medesimo Tribunale, in relazione all'attività di intercettazione che ha coinvolto Stefano Esposito, Senatore nella XVII legislatura.
In particolare, la Corte ha chiarito che per tali intercettazioni occorreva richiedere l'autorizzazione del Senato, precisando anche che gli indici di abitualità dei rapporti tra il parlamentare e il terzo intercettato, il numero delle conversazioni e la loro prevedibilità, nonché la loro proiezione nel tempo, non erano da soli sufficienti a qualificare il parlamentare come bersaglio effettivo delle indagini.
Infatti, afferma la Corte, «il carattere “mirato” dell'attività di indagine deve essere ricavato dalla decisiva circostanza per cui, nei confronti del parlamentare, emergono specifici indizi di reità che si traducono nella richiesta di approfondimenti investigativi».
Nel caso di specie, la Consulta ha ritenuto che l'effettivo e sostanziale coinvolgimento di Stefano Esposito è emerso chiaramente a partire dal 3 agosto 2015, data nella quale il contenuto delle conversazioni intercettate viene per la prima volta fatto oggetto di «spunti investigativi meritevoli di approfondimento». «All'avvenuto mutamento degli obiettivi dell'attività di indagine, convalidato anche da provvedimenti adottati a seguire e dalla successiva iscrizione del parlamentare nel registro degli indagati, si riconnette quindi l'illegittimità dell'acquisizione e dell'utilizzo delle intercettazioni successive al 3 agosto 2015 in quanto avvenuti senza che sia mai stata richiesta, dall'autorità giudiziaria procedente, l'autorizzazione preventiva prescritta dall'
Per quanto riguarda poi le intercettazioni disposte ed effettuate prima del 3 agosto 2015, la Corte le ha ritenute“occasionali” e, di conseguenza, non utilizzabili nei confronti di Stefano Esposito «senza l'autorizzazione successiva richiesta dall'art. 6, comma 2, della medesima Legge».
Per effetto dell'accoglimento del conflitto di attribuzione, la Corte costituzionale ha annullato, limitatamente alla posizione di Stefano Esposito, la richiesta di rinvio a giudizio formulata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino il 29 luglio 2021 e il decreto che dispone il giudizio, adottato dal Giudice dell'udienza preliminare il 1° marzo 2022.
Corte costituzionale, sentenza (ud. 23 novembre 2023) 28 dicembre 2023, n. 227
Svolgimento del processo
1.– Con ricorso depositato l’11 maggio 2023 e iscritto al n. 13 del registro conflitti tra poteri dello Stato del 2022, fase di merito, il Senato della Repubblica ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Torino, del Giudice per le indagini preliminari e del Giudice dell’udienza preliminare presso il medesimo Tribunale, in relazione all’attività di intercettazione svolta nei confronti di Stefano Esposito, senatore all’epoca dei fatti, ritenendo che essa sia stata posta in essere menomando le proprie attribuzioni garantite dall’art. 68, terzo comma, della Costituzione.
2.– Il ricorso premette che Stefano Esposito, senatore nella XVII legislatura, ha segnalato al Senato della Repubblica in data 8 marzo 2022 l’esecuzione di intercettazioni a suo carico disposte nel periodo in cui ricopriva il mandato parlamentare, nell’ambito di diversi procedimenti penali pendenti presso il Tribunale di Torino confluiti nel procedimento n. 24047/2015 R.G.N.R., nei quali risulta essere imputato, oltre che di concorso nel delitto di turbata libertà degli incanti, anche dei delitti di corruzione per atti contrari al dovere d’ufficio e di traffico di influenze illecite.
A fronte dello svolgimento di tale attività e dell’assenza di qualsiasi autorizzazione rivolta alla Camera cui apparteneva all’epoca dei fatti, Stefano Esposito ha investito il Senato della Repubblica, tramite il suo Presidente, della richiesta di «assumere tutte le iniziative opportune per la tutela delle prerogative parlamentari».
L’Assemblea del Senato, su conforme proposta della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, ha deliberato, nella seduta del 30 giugno 2022, di sollevare il presente conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato.
3.– Secondo il ricorrente, sussisterebbero i requisiti soggettivi e oggettivi di ammissibilità del conflitto.
Non potrebbe infatti dubitarsi della legittimazione attiva del Senato della Repubblica a promuovere conflitti inerenti alla rivendicazione di proprie attribuzioni costituzionalmente garantite, quali quelle di cui all’art. 68, terzo comma, Cost. Né potrebbe essere messa in discussione la legittimazione passiva tanto della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino, siccome «titolare dell’indagine finalizzata all’esercizio obbligatorio dell’azione penale» (art. 112 Cost.), quanto del Giudice per le indagini preliminari e del Giudice dell’udienza preliminare presso il medesimo Tribunale, considerato che tali organi svolgono la loro funzione in posizione di piena indipendenza, costituzionalmente garantita, e sono quindi competenti a dichiarare in via definitiva la volontà del potere cui appartengono (art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, recante «Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale»).
I requisiti oggettivi del conflitto andrebbero poi rinvenuti nella necessità, per il Senato della Repubblica, di presidiare il perimetro delle proprie attribuzioni costituzionalmente garantite rispetto alle indebite interferenze di altri poteri dello Stato, con riguardo, in particolare, al compimento di atti di indagine nei confronti dei suoi componenti rientranti tra quelli richiamati dall’art. 68, comma terzo, Cost., in assenza di autorizzazione da parte dell’istituzione parlamentare.
4.– Nel merito, il ricorso deduce la violazione del richiamato art. 68, comma terzo, Cost., perché l’autorità giudiziaria, sia inquirente che requirente, non avrebbe «ottemperato al proprio obbligo di chiedere l’autorizzazione del Senato della Repubblica in relazione alle intercettazioni telefoniche (e all’acquisizione delle comunicazioni WhatsApp)» disposte a carico del senatore Esposito durante il periodo in cui questi ricopriva il mandato parlamentare. La condotta complessivamente seguita dai magistrati, nonché i singoli atti «commissivi ed omissivi» da essi posti in essere, risulterebbero «palesemente lesivi» delle attribuzioni costituzionali del Senato della Repubblica, «cui è stato illegittimamente precluso l’esercizio delle proprie competenze costituzionalmente previste» quanto all’esercizio del proprio potere autorizzatorio.
4.1.– In via principale, il ricorso lamenta la lesione, unitamente al riferito parametro costituzionale, dell’art. 4 della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l’attuazione dell’articolo 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato) nell’assunto che l’attività di intercettazione posta in essere, in quanto sin da subito indirettamente riferibile al senatore Esposito, avrebbe necessitato dell’autorizzazione preventiva della Camera di appartenenza del parlamentare.
Muovendo dalla giurisprudenza di questa Corte (sono richiamate le sentenze n. 114 del 2010 e n. 390 del 2007), si dovrebbe escludere che quelle avvenute nei confronti del senatore Esposito siano intercettazioni meramente casuali, considerato che esse sono state eseguite, sin dall’inizio dell’attività di indagine, sull’utenza intestata «ad un suo amico abituale», coimputato nell’ambito del medesimo procedimento penale, e che esse ammontano complessivamente, nel periodo intercorrente tra il 2015 e il 2018, ad oltre 500 captazioni, 126 delle quali sono state ritenute rilevanti dal pubblico ministero e, di queste, 113 sarebbero state poste, in un primo momento, a fondamento della richiesta di rinvio a giudizio e, da ultimo, del decreto che dispone il giudizio.
Dovendosi quindi ritenere che l’autorità giudiziaria procedente abbia identificato sin da subito il senatore Esposito come interlocutore abituale di uno degli imputati, la prosecuzione dell’attività di captazione delle comunicazioni del parlamentare rivelerebbe «lo sviamento della direzione dell’atto investigativo», finalizzato a eludere la garanzia costituzionale rappresentata dalla necessità della previa autorizzazione della Camera di appartenenza del parlamentare.
4.2.– Il ricorso lamenta, in via subordinata, la violazione dell’art. 68, terzo comma, Cost., in relazione alla mancata richiesta di autorizzazione prevista dall’art. 6, comma 2, della legge n. 140 del 2003. Quest’ultima è stata prevista, come affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (è richiamata la sentenza n. 38 del 2019), in vista dell’utilizzazione in sede processuale degli atti menzionati nel comma 1 del medesimo articolo, in cui figurano le attività di intercettazione alle quali hanno preso parte membri del Parlamento, intendendosi tuttavia per tali quelle meramente «casuali», cioè non qualificate da una direzione dell’atto di indagine idonea a far ritenere che il destinatario dell’attività in questione sia anche il parlamentare, e non solo il terzo captato.
Secondo il ricorrente, nel caso di specie, anche ove si ritenesse che le intercettazioni fossero solo casualmente rivolte nei confronti del senatore Esposito, esse sarebbero state utilizzate in giudizio e poste a fondamento dell’imputazione nei confronti suoi e degli altri imputati, senza che l’autorità procedente abbia avanzato la richiesta prevista dall’art. 6, comma 2, della legge n. 140 del 2003, come peraltro sollecitata a fare dalle eccezioni avanzate dalle difese di alcune parti in giudizio, tra cui lo stesso Esposito.
5.– Questa Corte, con ordinanza n. 62 del 2023, ha dichiarato ammissibile il presente ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri, sussistendo i requisiti soggettivo e oggettivo prescritti dall’art. 37, primo comma, della legge n. 87 del 1953, ma «restando impregiudicata ogni ulteriore questione anche in punto di ammissibilità». L’ordinanza e il ricorso sono stati tempestivamente e ritualmente notificati.
6.– Si è costituita in giudizio la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino, chiedendo che il ricorso venga dichiarato non fondato.
6.1.– Ad avviso della resistente, dalla giurisprudenza di questa Corte (è richiamata diffusamente la sentenza n. 390 del 2007) si ricaverebbe che l’autorizzazione ex ante gravante sul giudice sarebbe necessaria, oltre che nel caso in cui ad essere oggetto di intercettazione sia il parlamentare stesso, unicamente laddove l’autorità giudiziaria miri specificamente a scoprire, direttamente o indirettamente, le comunicazioni del parlamentare. Di conseguenza, dovrebbero ritenersi assoggettate ad autorizzazione preventiva «tutte le intercettazioni aventi quella specifica finalità; ma giammai quelle attività che, senza accedere indebitamente “nella sfera delle comunicazioni del parlamentare”, sono comunque dirette ad accertare (anche) le eventuali responsabilità del parlamentare».
Nel caso di specie, nulla nel comportamento e negli atti dell’autorità inquirente porterebbe a ritenere che, al momento di inizio dell’attività di intercettazione nel 2015, l’intento perseguito fosse quello di accedere alle comunicazioni cui avrebbe potuto prendere parte il senatore Esposito, che solo nel 2017 era stato iscritto nel registro degli indagati.
Né avrebbe rilievo la circostanza che tra i soggetti intercettati vi fosse anche chi, come G. M., era legato a Esposito da rapporti di consuetudine, poiché una corretta lettura delle richiamate norme costituzionali e di attuazione indurrebbe a ritenere che l’esigenza di preservare il parlamentare da indebite intromissioni dell’autorità inquirente si avrebbe unicamente nel caso in cui «il destinatario “diretto” dell’intercettazione sia una mera “testa di legno” del parlamentare». Laddove, come nel caso di specie, lo scopo dell’attività di indagine (e delle intercettazioni disposte nel corso di essa) non sia quello di accedere al contenuto delle conversazioni e comunicazioni del parlamentare, ma del suo interlocutore – effettivo bersaglio degli inquirenti – nessuna autorizzazione ex ante dovrebbe ritenersi necessaria, malgrado la necessità di tenere successivamente conto della emersione di notizie di reato anche a carico del senatore Esposito.
6.2.– Parimenti non fondato sarebbe anche il motivo con cui il ricorrente ha lamentato la mancata richiesta di utilizzo delle intercettazioni, alla luce di quanto prescrive l’art. 6, comma 2, della legge n. 140 del 2003.
In primo luogo, l’autorizzazione in parola riguarderebbe unicamente il parlamentare non indagato, in vista della necessaria tutela della sua riservatezza.
In secondo luogo, nel caso di specie non vi sarebbe stata alcuna utilizzazione, in senso proprio, del materiale probatorio acquisito tramite intercettazioni, non essendo a tal fine sufficiente la circostanza che il pubblico ministero abbia indicato queste ultime tra le fonti di prova al momento della richiesta di rinvio a giudizio. Inoltre, nella motivazione di alcun provvedimento del giudice si sarebbe «fatto riferimento a questa o quella intercettazione del senatore Esposito per giustificare una decisione adottata né nei suoi confronti né nei confronti di altri», anche perché l’utilizzabilità degli atti processuali compete al giudice del dibattimento (è richiamata Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 8 aprile-18 luglio 2022, n. 27902).
7.– È intervenuto in giudizio Stefano Esposito, senatore all’epoca dei fatti, chiedendo che il ricorso del Senato della Repubblica venga dichiarato ammissibile e, nel merito, fondato.
7.1.– A sostegno dell’ammissibilità del suo intervento, Esposito dichiara di essere titolare di un interesse qualificato, che potrebbe essere compromesso dall’esito del presente giudizio (sono richiamate le sentenze di questa Corte n. 269 e n. 259 del 2019, n. 107 del 2015, n. 305 del 2011 e n. 312 del 2006). Tale interesse consiste nel suo essere parte del giudizio nel cui ambito sono state autorizzate dall’autorità procedente, prima, ed effettuate, poi, le intercettazioni di comunicazioni cui egli ha preso parte e che rappresentano «il nucleo centrale degli atti posti a fondamento degli addebiti che gli vengono mossi».
7.2.– Nel merito, tutte le intercettazioni captate nell’ambito dei diversi procedimenti penali successivamente confluiti nel procedimento n. 24047/2015 R.G.N.R. dovrebbero essere ritenute di natura “indiretta” e, pertanto, illegittimamente disposte e acquisite agli atti del giudizio in quanto mai sottoposte alla necessaria autorizzazione preventiva richiesta dagli artt. 68, terzo comma, Cost. e 4 della legge n. 140 del 2003, malgrado l’evidenza del fatto che la direzione degli atti di indagine, in ciascuno di quei procedimenti, includesse anche il senatore Esposito.
7.2.1.– Nell’ambito del procedimento penale n. 85108/2014 R.G.N.R., le intercettazioni sull’utenza in capo a G. M. sono state effettuate tra il febbraio e il settembre 2015; tra queste, «numerosissime» sarebbero quelle che hanno coinvolto il senatore Esposito, come risulta anche dall’elenco delle conversazioni ritenute rilevanti dall’allegato avviso di conclusione delle indagini preliminari.
Sin dal marzo 2015, diverse conversazioni tra G. M. e Esposito sarebbero infatti state oggetto di trascrizione, tanto che, nell’annotazione di polizia giudiziaria del 25 marzo 2015, si richiamerebbe espressamente il coinvolgimento di «un individuo di nome Stefano cui [G. M.] appare legato da un rapporto di profonda amicizia, identificato in Stefano Esposito, Senatore della Repubblica italiana». Aggiunge la difesa dell’interveniente, a riprova della consapevolezza del coinvolgimento di quest’ultimo nell’attività in questione e del rilievo dallo stesso assunto nel quadro delle indagini, che proprio tali conversazioni sarebbero state poste a fondamento della richiesta di proroga dell’attività di intercettazione sull’utenza di G. M.
Analoga evidenza emergerebbe dalle trascrizioni contenute nell’informativa n. 10/100 prot. R del 30 luglio 2015, depositata il successivo 3 agosto e anch’essa allegata all’atto di intervento, nella quale circa 20 conversazioni intercorse tra G. M. e Esposito sarebbero state ritenute «meritevoli di approfondimento» a fini investigativi.
7.2.2.– Nel quadro delle attività di indagine successivamente espletate nel procedimento penale n. 24047/2015 R.G.N.R., ad assumere rilievo sarebbero gli atti di proroga delle intercettazioni autorizzati dal Giudice per le indagini preliminari in data 13 e 28 novembre 2015. Da questi emergerebbero non solo il nome di Esposito come interlocutore abituale di G. M., ma anche il suo concreto coinvolgimento come bersaglio delle attività di indagine e, in particolare, un’ipotesi di reato di abuso d’ufficio a suo carico (come risulta dall’annotazione dei Carabinieri del 24 novembre 2015, depositata dall’interveniente).
7.2.3.– Ai medesimi esiti si dovrebbe pervenire, sempre secondo la difesa di Esposito, anche con riguardo alle intercettazioni disposte, nell’ambito del procedimento penale n. 7945/2015 R.G.N.R., parallelamente a quelle effettuate nel procedimento di cui si è dato conto nel punto precedente, a far data almeno della prima richiesta di autorizzazione del pubblico ministero in data 29 ottobre 2015.
7.2.4.– Da ultimo, nell’ambito del procedimento penale n. 5194/2017 R.G.N.R., gli elementi a sostegno della direzione degli atti d’indagine nei confronti del senatore Esposito si ricaverebbero – oltre che dal materiale acquisito nei precedenti procedimenti, con questo collegati – anche dalla circostanza che l’iscrizione nel registro degli indagati di quest’ultimo (avvenuta in data 8 marzo 2017) sarebbe stata seguita da una richiesta di autorizzazione di intercettazioni sull’utenza, tra gli altri, di G. M., presentata dal pubblico ministero il 24 marzo 2017 sulla base di precedenti conversazioni tra Stefano Esposito e lo stesso G. M., «in quanto asseritamente indicative di un presunto intervento del parlamentare al fine di favorire l’aggiudicazione della gara» a una società riconducibile a G. M.
Pertanto, anche le intercettazioni effettuate a partire dalla data di autorizzazione ad opera del Giudice per le indagini preliminari (30 marzo 2017) sarebbero da ritenersi di natura “indiretta” e, per l’effetto, illegittimamente disposte in quanto prive di autorizzazione parlamentare ai sensi dell’art. 4 della legge n. 140 del 2003.
7.2.5.– Ad analoga sorte sarebbero poi destinati i messaggi WhatsApp scambiati col senatore Esposito, acquisiti tramite copia forense dei dati contenuti nello smartphone in uso a G. M. in esito alla perquisizione del 19 marzo 2018. A rilevare nel senso, anche qui, del più che presumibile coinvolgimento del senatore Esposito, sarebbe la circostanza che tale attività di ricerca della prova sarebbe intervenuta in un momento successivo all’iscrizione del senatore Esposito nel registro degli indagati e, soprattutto, dopo che ampi, ripetuti e comprovati erano stati i contatti tra quest’ultimo e G. M., sicché dovrebbe ritenersi «oltremodo plausibile» che, con tale atto di indagine, il pubblico ministero abbia inteso ricercare «elementi a conforto delle ipotesi di reato in relazione alle quali stava indagando nei confronti del parlamentare».
7.2.6.– Da tutto quanto esposto, l’interveniente fa discendere la necessità che questa Corte, ravvisata la violazione dell’art. 68, terzo comma, Cost. e dell’art. 4 della legge n. 140 del 2003, annulli tutti gli atti di indagine aventi ad oggetto le intercettazioni sulle utenze telefoniche con cui egli è entrato in contatto nei sopra richiamati procedimenti, con il conseguente annullamento della richiesta di rinvio a giudizio e del decreto che dispone il giudizio.
7.3.– In ogni caso, risulterebbe palese la violazione dell’art. 6 della legge n. 140 del 2003 in ragione dell’utilizzo delle intercettazioni quali fonti di prova a supporto della richiesta di rinvio a giudizio e del decreto che dispone il giudizio, in assenza di qualsivoglia richiesta di autorizzazione alla Camera di appartenenza del senatore Esposito richiesta dalla predetta norma.
Quest’ultima previsione, infatti, stabilirebbe un divieto «assoluto» di utilizzo delle intercettazioni casualmente acquisite e farebbe gravare specificamente sul GIP l’obbligo di richiedere l’autorizzazione all’utilizzo, in quanto «si tratta di incombente indifferibile che risulta prodromico a qualsiasi utilizzo delle comunicazioni del parlamentare sin dalla fase delle indagini preliminari».
Della necessità di richiedere tale autorizzazione, del resto, si sarebbe mostrato consapevole il pubblico ministero nel corso dell’interrogatorio del 10 novembre 2017, senza che tale richiesta, tuttavia, sia mai stata inoltrata. Anzi, dopo tale data, non solo sarebbero proseguite le attività di captazione nell’ambito del procedimento penale n. 5194/2017 R.G.N.R. sulle utenze in uso, tra gli altri, a G. M., ma le conversazioni cui aveva preso parte il senatore Esposito sarebbero state anche utilizzate quali fonti di prova a sostegno della richiesta di rinvio a giudizio.
Per quanto strettamente possa essere intesa la nozione di «utilizzo» impiegata nell’art. 6 della legge n. 140 del 2003, ad avviso dell’interveniente si dovrebbe ritenere che la richiesta di autorizzazione successiva – anche ove non applicabile alla fase dell’interrogatorio – non possa essere elusa al momento di esercizio dell’azione penale, tanto più se esso si fonda sull’utilizzo processuale delle intercettazioni in questione come mezzo di prova.
Dal mancato rispetto di tale previsione, l’interveniente fa discendere la richiesta a questa Corte di annullare l’atto di esercizio dell’azione penale e del provvedimento conclusivo dell’udienza preliminare.
8.– Nell’imminenza dell’udienza pubblica, il Senato della Repubblica e la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino hanno depositato memorie.
8.1.– Il Senato della Repubblica, dopo aver ripercorso nel dettaglio lo svolgimento dei procedimenti all’origine del presente conflitto, contesta in linea generale gli assunti della Procura resistente, rimarcando innanzi tutto come, a fronte della cospicua mole di intercettazioni che hanno coinvolto il senatore Esposito, il loro carattere “indiretto” e la conseguente necessità della loro autorizzazione preventiva ai sensi dell’art. 4 della legge n. 140 del 2003 andrebbero desunti dai molteplici e convergenti elementi ricavabili dalla documentazione depositata in giudizio dalla stessa Procura.
A rilevare sarebbero, in particolare, le circostanze per cui: a) sin dal marzo 2015, nonostante l’identificazione di Stefano Esposito come interlocutore abituale dell’imputato G. M. e membro in carica del Senato, le sue conversazioni siano state trascritte e riassunte in annotazioni di polizia giudiziaria; b) l’effettuazione e le richieste di proroga delle intercettazioni venivano operate nel contesto di un’attività d’indagine in cui, già nel luglio/agosto 2015, emergevano condotte riconducibili al senatore Esposito ritenute meritevoli di approfondimenti investigativi, mentre nel novembre dello stesso anno venivano ravvisate ipotesi di reato a carico dello stesso, perpetrate a favore del medesimo G. M., imputato le cui utenze erano sottoposte a intercettazione; c) rientrerebbe in tali attività di indagine specificamente mirate anche nei confronti del senatore Esposito la delega a svolgere accertamenti patrimoniali sul conto del medesimo, richiesta in data 28 novembre 2015; d) nonostante tali evidenze probatorie, l’attività di intercettazione sarebbe proseguita, in assenza di alcuna richiesta di autorizzazione, anche dopo l’iscrizione di Stefano Esposito nel registro degli indagati, avvenuta l’8 marzo 2017.
Alle medesime conclusioni si dovrebbe pervenire in relazione alla mancata richiesta di autorizzazione all’acquisizione dei messaggi WhatsApp operata sullo smartphone di G. M. avvenuta in esito a una perquisizione del 19 marzo 2018, allorché, dalle predette risultanze, gli inquirenti avrebbero dovuto considerare la «concreta probabilità di rinvenire il testo delle comunicazioni del parlamentare sul predetto dispositivo».
Alla luce di tutto ciò, secondo il ricorrente, accedere alla prospettazione difensiva della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino – secondo cui a escludere l’autorizzazione preventiva della Camera di appartenenza del parlamentare sarebbero, nel caso di specie, il numero esiguo di intercettazioni che hanno coinvolto il senatore Esposito e, soprattutto, l’assenza di qualsiasi finalità soggettiva di accesso alla sfera riservata delle sue comunicazioni – equivarrebbe a «sterilizza[re] la garanzia di cui all’art. 68, comma 3, Cost.».
8.2.– La resistente Procura della Repubblica, ribadite le ragioni a sostegno della non fondatezza del ricorso fatte valere nell’atto di costituzione, rappresenta alcuni fatti intervenuti successivamente al deposito dello stesso, di potenziale rilevanza per la soluzione del presente giudizio.
In primo luogo, viene dato conto dell’avvio, nei confronti del pubblico ministero della Procura torinese titolare delle indagini, di un procedimento disciplinare promosso dal Procuratore generale presso la Corte di cassazione, avente ad oggetto i medesimi fatti di cui si verte nell’odierno conflitto.
In secondo luogo, sarebbe venuto meno l’oggetto del contendere, perché, con sentenza del 15 settembre-5 ottobre 2023, n. 40715, la sezione quinta penale della Corte di cassazione ha dichiarato la competenza territoriale del Tribunale di Roma in relazione ai reati di cui a diversi capi di imputazione riguardanti anche lo stesso senatore Esposito, con l’effetto che il procedimento deve intendersi regredito alla fase delle indagini preliminari e i provvedimenti che hanno dato luogo all’odierno conflitto (con riguardo, in particolare, alla richiesta di rinvio a giudizio e del decreto che dispone il giudizio) non più esistenti.
9.– Con atto depositato in data 31 ottobre 2023, ha richiesto di intervenire in giudizio G. C., titolare dell’ufficio di pubblico ministero nei procedimenti da cui ha tratto origine il presente conflitto.
Premesso che, in data 12 luglio 2023, gli era stato comunicato l’avvio, nei suoi confronti, di un procedimento disciplinare, promosso dal Procuratore generale presso la Corte di cassazione in relazione ai fatti oggetto del presente giudizio, G. C. ritiene sussistente il proprio interesse ad intervenire.
Infatti, sostiene l’interveniente, l’eventuale pronuncia di accoglimento adottata da questa Corte si presterebbe a pregiudicare gli esiti del procedimento disciplinare avviato nei suoi confronti, di talché l’ammissibilità dell’intervento conseguirebbe al fatto che l’oggetto del conflitto si presta a «coinvolgere, in modo immediato e diretto, situazioni soggettive di terzi, il cui pregiudizio o la cui salvaguardia dipendono dall’esito dello stesso (sentenza n. 230 del 2017 e ordinanza n. 269 del 2019)» (è richiamata l’ordinanza di questa Corte letta all’udienza del 4 aprile 2023, nel giudizio deciso con la sentenza n. 157 del 2023).
Nel merito, l’interveniente aderisce alle ragioni addotte, a sostegno della non fondatezza del ricorso introduttivo, dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino.
Motivi della decisione
1.– Con ricorso depositato l’11 maggio 2023 (reg. confl. poteri n. 13 del 2022), il Senato della Repubblica ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Torino, del Giudice per le indagini preliminari e del Giudice dell’udienza preliminare presso il medesimo Tribunale, in relazione all’attività di intercettazione svolta nei confronti di Stefano Esposito, senatore all’epoca dei fatti, ritenendo che essa sia stata posta in essere menomando le proprie attribuzioni garantite dall’art. 68, terzo comma, Cost.
Ad avviso del ricorrente, tale menomazione discenderebbe dal fatto che, nel corso di una attività d’indagine in origine rivolta contro altri soggetti, siano state effettuate, durante lo svolgimento del suo mandato parlamentare quale senatore nella XVII legislatura, numerose captazioni riguardanti Stefano Esposito. Tali intercettazioni, disposte sull’utenza di G. M., un terzo indagato cui Esposito sarebbe stato legato da rapporti di consuetudine, sono state successivamente acquisite agli atti di indagine e poste a fondamento della richiesta di rinvio a giudizio, presentata dal pubblico ministero il 29 luglio 2021 nell’ambito del procedimento penale n. 24047/15 R.G.N.R., e del decreto che dispone il giudizio, adottato il 1° marzo 2022 nei confronti di una serie di imputati, tra cui lo stesso Esposito.
Il Senato della Repubblica, a fronte di ciò, si duole che tali intercettazioni siano state dapprima effettuate, e, successivamente, utilizzate in giudizio senza che alcuna autorizzazione sia mai stata richiesta dall’autorità giudiziaria procedente alla Camera di appartenenza del parlamentare, in contrasto con quanto prescrivono, ciascuno per il rispettivo ambito di applicazione, gli artt. 4 e 6 della legge n. 140 del 2003. Un medesimo vulnus alle attribuzioni costituzionalmente garantite del Senato deriverebbe inoltre dall’acquisizione e dall’utilizzo, tra gli atti di indagine compiuti nel medesimo periodo, di alcuni messaggi WhatsApp di Esposito, prelevati tramite copia forense dei dati contenuti nello smartphone in uso al coimputato G. M.
2.– In via preliminare, deve essere confermata l’ordinanza dibattimentale con la quale è stato dichiarato ammissibile l’intervento di Stefano Esposito. Questi risulta imputato nel giudizio penale nell’ambito del quale, in un momento in cui ricopriva la carica di senatore della Repubblica, sono state captate le conversazioni oggetto di esame in questa sede, in seguito poste a fondamento della richiesta e del decreto di rinvio a giudizio.
Come questa Corte ha costantemente affermato, nei giudizi per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, di regola, non è ammesso l’intervento di soggetti diversi da quelli legittimati a promuovere il conflitto e a resistervi. Questa regola non opera, tuttavia, quando l’interveniente, come nel caso di specie, sia parte di un giudizio, i cui esiti o i cui effetti la pronuncia di questa Corte sia in grado di condizionare (sentenze n. 157 del 2023, n. 259 del 2019, n. 169 del 2018 e n. 107 del 2015). In caso contrario, infatti, gli interessi dell’interveniente rischierebbero di essere incisi, senza che questi possa far valere le proprie ragioni.
La medesima ordinanza dibattimentale deve essere confermata anche nella parte in cui ha dichiarato non ammissibile l’intervento di G. C., titolare dell’ufficio di pubblico ministero nel procedimento in questione, il quale fa valere un interesse scaturente dal provvedimento con cui è stato chiamato a rispondere, in sede disciplinare, per avere utilizzato in sede penale intercettazioni di conversazioni del senatore Esposito, senza osservare le garanzie previste dall’art. 68, terzo comma, Cost., come articolate dalla legge n. 140 del 2003.
In disparte i profili relativi alla sussistenza dell’interesse all’intervento, assume carattere dirimente la tardività di quest’ultimo, in quanto depositato oltre il termine perentorio previsto dagli artt. 4 e 31 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
3.– Sempre in via preliminare, deve essere confermata, ai sensi dell’art. 37 della legge n. 87 del 1953, l’ammissibilità del conflitto, già dichiarata da questa Corte, in sede di prima e sommaria delibazione, nell’ordinanza n. 62 del 2023, con cui è stata accertata la sussistenza dei suoi elementi oggettivi e soggettivi, «restando impregiudicata ogni ulteriore questione anche in punto di ammissibilità».
Con riguardo al requisito soggettivo, il Senato della Repubblica è legittimato ad essere parte del conflitto di attribuzione, in quanto competente a dichiarare in via definitiva la volontà del potere che esso impersona, in relazione alla lamentata menomazione della prerogativa di cui all’art. 68, terzo comma, Cost.
Ugualmente sussistente è la legittimazione soggettiva della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino, in quanto investita – nella persona del Procuratore della Repubblica – dell’attribuzione, costituzionalmente garantita, inerente all’esercizio obbligatorio dell’azione penale (art. 112 Cost.), cui si connette la titolarità delle indagini a tale esercizio finalizzate e rispetto alla quale il pubblico ministero è competente a dichiarare, in via definitiva e in posizione di piena indipendenza, la volontà del potere giudiziario cui appartiene.
La medesima legittimazione deve, infine, essere riconosciuta anche al Giudice per le indagini preliminari e al Giudice dell’udienza preliminare presso il medesimo Tribunale, in quanto organi giurisdizionali competenti a dichiarare, in via definitiva e in posizione di piena indipendenza, per il procedimento di cui sono investiti, la volontà del potere cui appartengono.
Non può dubitarsi, da ultimo, che ricorrano i presupposti oggettivi del conflitto, considerato che il Senato ricorre a tutela delle attribuzioni ad esso riconosciute dall’art. 68, terzo comma, Cost., asseritamente menomate dalla condotta delle autorità giurisdizionali chiamate a resistere in giudizio, che avrebbero disposto, effettuato e, successivamente, utilizzato in giudizio intercettazioni che hanno coinvolto un parlamentare, senza richiedere alcuna delle autorizzazioni previste dalla legge n. 140 del 2003.
4.– La materia del contendere del presente conflitto non è, peraltro, venuta meno per effetto della decisione con cui la Corte di cassazione ha dichiarato la competenza territoriale del Tribunale di Roma in relazione ad alcuni capi di imputazione per i quali è chiamato a rispondere lo stesso Esposito (Corte di cassazione, sezione quinta penale, sentenza 15 settembre-5 ottobre 2023, n. 40715).
A prescindere dalla circostanza che l’incompetenza del Tribunale di Torino non è stata dichiarata per tutti i capi di imputazione a carico di Esposito, a rilevare nel senso del perdurante interesse alla soluzione del conflitto è il fatto che la devoluzione della competenza ad altro giudice, e la connessa, eventuale, regressione del procedimento alla fase delle indagini preliminari, non sono state dichiarate «per motivi che attengono alle attribuzioni rivendicate con il conflitto» (sentenza n. 170 del 2023), rinvenendo la loro ragione giustificativa unicamente in aspetti endoprocessuali legati allo svolgimento delle indagini e della fase antecedente al dibattimento.
L’individuazione di un diverso giudice territorialmente competente e le conseguenze che da ciò discendono sui procedimenti da cui origina il presente conflitto, pertanto, non fanno venire meno l’interesse del Senato a dirimere, in ogni caso, l’incertezza circa la spettanza del potere esercitato dalle parti chiamate a resistere in giudizio.
5.– Benché la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino, unica parte costituita in giudizio, non abbia prospettato alcuna eccezione di inammissibilità del ricorso, questa Corte ritiene necessario soffermarsi su un profilo preliminare attinente al primo motivo di doglianza contenuto nell’atto introduttivo del presente giudizio.
Con esso, il ricorrente ha lamentato la violazione dell’art. 68, terzo comma, Cost. e, in connessione con quest’ultimo, dell’art. 4 della legge n. 140 del 2003, perché le intercettazioni che hanno riguardato l’allora senatore Esposito avrebbero natura “indiretta”, in quanto disposte ed effettuate sull’utenza dell’imputato G. M., ma avendo quale effettivo bersaglio sostanziale dell’attività di indagine il senatore Esposito. Ciò emergerebbe, in particolare, dal ricorrere di una serie di elementi (numero di intercettazioni e proiezione nel tempo dell’attività di captazione, carattere abituale dei rapporti tra G. M. e il parlamentare, emersione di indizi di reità a carico di quest’ultimo), i quali porterebbero a ritenere che il complesso dell’attività di captazione in esame, siccome non preceduta dall’autorizzazione preventiva di cui al richiamato art. 4, neanche richiesta dall’autorità procedente, avrebbe inciso sulle attribuzioni della Camera di appartenenza del parlamentare, menomandone le prerogative di cui all’art. 68, terzo comma, Cost.
5.1.– Ad un primo esame, tale motivo di ricorso, incentrato sulla qualificazione delle intercettazioni in questione come “indirette” e sulla connessa violazione del regime autorizzatorio contenuto nell’art. 4 della legge n. 140 del 2003, sembrerebbe non trovare esplicito riscontro negli atti parlamentari con cui il Senato della Repubblica ha deliberato la sollevazione del presente conflitto di attribuzione tra poteri.
Nella relazione della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari (Doc. XVI, n. 10, comunicata alla Presidenza il 21 giugno 2022), come anche nel dibattito che l’ha preceduta e che ne ha accompagnato l’approvazione in Aula (avvenuta nella seduta del 30 giugno 2022), pare, infatti, che l’organo parlamentare individui il vulnus nella circostanza che l’autorità giudiziaria procedente, in violazione dell’art. 6, comma 2, della legge n. 140 del 2003, avrebbe utilizzato nei confronti del parlamentare intercettazioni effettuate su utenze di terzi. Tale utilizzazione, in particolare, sarebbe avvenuta in occasione dell’adozione del decreto di rinvio a giudizio del 1° marzo 2022, che richiama tra le «fonti di prova» proprio le intercettazioni in questione.
Ad avviso del Senato, dunque, la violazione delle proprie attribuzioni sarebbe conseguita al fatto dell’avvenuta utilizzazione in giudizio delle intercettazioni in esame; il che escluderebbe la necessità di operare una qualificazione di queste ultime nel senso della natura “indiretta” o “occasionale”, poiché – sempre secondo la medesima relazione – «tale valutazione dovrà essere effettuata dalla Giunta e dal Senato solo ove la Corte costituzionale avrà annullato il decreto di rinvio a giudizio e conseguentemente l’autorità giudiziaria avrà trasmesso a questo ramo del Parlamento la richiesta di autorizzazione all’utilizzo».
5.2.– Ad un più attento esame, non può ritenersi tuttavia che vi sia un effettivo contrasto tra la volontà espressa dal Senato della Repubblica, con la deliberazione relativa alla proposizione del presente giudizio, e il primo motivo contenuto nel ricorso introduttivo, sicché quest’ultimo deve essere ritenuto ammissibile.
Come questa Corte ha costantemente affermato, nell’ambito del giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato «la corrispondenza tra il contenuto del ricorso e quello della deliberazione propositiva deve essere valutata in relazione ai profili essenziali del conflitto, dovendosi riconoscere alla difesa tecnica piena autonomia nello svolgimento della tesi affermata dalla parte (sentenza n. 302 del 1995)» (sentenza n. 379 del 1996).
Nel caso di specie, tale autonomia si è dispiegata all’interno del perimetro delle ragioni sostanziali che hanno indotto il Senato a ritenere lese le proprie attribuzioni e, conseguentemente, a chiedere a questa Corte di ripristinare il corretto riparto delle competenze con l’autorità giudiziaria.
La sostanza di tali ragioni, al di là delle contingenti argomentazioni impiegate nel dibattito parlamentare, si appunta sulla ritenuta anomalia del modo di procedere dell’autorità giudiziaria nella vicenda in esame, consistente nello svolgimento dell’attività di intercettazione con le caratteristiche suddette, e nel successivo utilizzo del materiale così acquisito, senza aver mai richiesto, lungo l’intero corso delle indagini e del procedimento penale, alcuna autorizzazione.
Non è dubitabile che l’attribuzione rivendicata dal Senato nel caso di specie, pur occupandosi la delibera di proposizione del solo profilo della utilizzabilità delle intercettazioni e della mancata richiesta di autorizzazione successiva ex art. 6, comma 2, della legge n. 140 del 2003, includa necessariamente anche il profilo, logicamente preliminare, consistente nella mancata presentazione della richiesta di autorizzazione preventiva di cui all’art. 4 della medesima legge, tenuto conto del ripetuto richiamo, nel corso dei lavori parlamentari e nella medesima Relazione della Giunta, a una serie di elementi idonei a denotare il possibile carattere “mirato” dell’attività di indagine nei confronti dell’allora senatore Esposito (quali il numero complessivo delle intercettazioni, la durata complessiva dell’attività di captazione e il carattere abituale dei rapporti tra Esposito e G. M.).
L’aver privato il Senato del potere di effettuare il vaglio assicurato dall’art. 68, terzo comma, Cost., sia pure nelle distinte forme introdotte dagli artt. 4 e 6 della legge n. 140 del 2003, a seconda che l’intercettazione sia indiretta o casuale, costituisce, in realtà, la vera e propria «anomalia decisionale e operativa» che il ricorrente ha individuato come sostanzialmente lesiva delle proprie attribuzioni, tenuto conto – secondo quanto ancora si legge nella richiamata relazione – che il Senato rivendica che «il potere di valutare la fortuità o meno di captazioni su utenze di terzi spetti inequivocabilmente alla Camera competente».
E tale valutazione, con tutta evidenza, non può che essere effettuata qualificando complessivamente l’operato dell’autorità giudiziaria in quanto rivolto, al momento di disporre le intercettazioni in questione, a includere tra i bersagli dell’attività di indagine le comunicazioni dell’allora senatore Esposito. Gli elementi a supporto di tale valutazione sono quelli che la difesa tecnica ha sviluppato nel primo motivo di ricorso, che, pertanto, può essere preso in esame nel merito.
6.– Giova, innanzi tutto, riassumere in estrema sintesi lo svolgimento delle attività di indagine che hanno coinvolto, durante il periodo di esercizio del suo mandato parlamentare, il senatore Esposito.
Secondo quanto emerge dalle prospettazioni e dalla documentazione allegata dalle parti costituite, che su questo punto non mostrano significative discordanze, tale attività può essere riassunta nei termini seguenti.
6.1.– Il nome dell’allora senatore Esposito affiora nell’ambito di un’attività di indagine (procedimento penale n. 85108/2014 R.G.N.R.), originariamente contro ignoti, in cui si procede per il reato di cui all’art. 416-bis del codice penale in relazione ai rischi di infiltrazione mafiosa nell’attività di G. M., imprenditore attivo nel settore degli eventi e dello spettacolo. Nel corso di un’attività di intercettazione disposta sulle utenze di quest’ultimo, iniziata nel febbraio 2015 e protrattasi fino al settembre dello stesso anno, risulta che, sin dal 3 marzo 2015, molteplici conversazioni intercorse tra Esposito e G. M. siano state riportate nelle trascrizioni effettuate dalle forze di polizia giudiziaria. Ad assumere particolare rilievo è un’annotazione di polizia giudiziaria del 25 marzo 2015, nella quale emerge per tabulas che le scelte imprenditoriali di G. M. trovavano un riferimento costante nella persona di «un individuo di nome Stefano cui appare legato da un rapporto di profonda amicizia, identificato in Stefano ESPOSITO Senatore della Repubblica italiana, […]. Sono numerose le conversazioni telefoniche intercorse tra i due, dal tenore nettamente confidenziale, caratterizzate dalla trattazione di svariati argomenti tra i quali emergono molteplici scambi di opinioni sulle vicende affaristiche di [G. M.]».
Successivamente, nell’informativa di polizia giudiziaria n. 10/100 prot. R, depositata negli atti del procedimento in data 3 agosto 2015, vengono ulteriormente approfonditi i rapporti tra G. M. ed Esposito alla luce del contenuto delle intercettazioni effettuate e, in vista dell’apertura di ulteriori filoni di indagine, si rimarca l’opportunità di «trasmettere il contenuto dei dialoghi per consentire a codesta A.G. di valutare se possano costituire spunti investigativi meritevoli di approfondimento». Dalla documentazione depositata dalla difesa di Stefano Esposito, emerge che le conversazioni rilevanti sino a quel momento erano circa 20.
Con due informative del 19 ottobre 2015, vengono riportate ulteriori conversazioni intercettate e approfonditi i rapporti intercorrenti tra Esposito e G. M., soprattutto a seguito dell’emissione di un’informazione interdittiva antimafia disposta dalla Prefettura di Milano nei confronti della società di quest’ultimo e si dà conto dell’interessamento dell’allora senatore Esposito per agevolare le attività di G. M. in relazione all’aggiudicazione del bando relativo al Terzo Forum Mondiale per lo sviluppo a favore di altra società riconducibile a G. M.
Nell’ambito di questa complessiva attività di indagine, rimasta senza esiti in relazione agli addebiti originari e successivamente confluita, per i profili di responsabilità emersi nel corso dell’attività di indagine, in distinto procedimento penale (n. 4273/2015 R.G.N.R.), la documentazione riassuntiva depositata negli atti del presente giudizio dalla Procura resistente evidenzia come le conversazioni complessivamente intercettate tra G. M. ed Esposito ammontino complessivamente a 131, delle quali 51 sono state ritenute rilevanti per le indagini.
6.2.– Parallelamente a quest’attività, l’attenzione degli investigatori torinesi sui rapporti tra Esposito e G. M. si concentrava sull’ipotesi investigativa di turbativa d’asta e peculato a carico di altri soggetti, in relazione a vicende riguardanti il Salone del Libro (procedimento penale n. 7945/2015 R.G.N.R.). Tra gli atti d’indagine confluivano risultanze provenienti dal procedimento penale n. 85108/2014 R.G.N.R., già menzionato, tutte successivamente confluite in un nuovo e distinto procedimento (n. 24047/2015 R.G.N.R.) in carico al medesimo pubblico ministero. A rilevare, nell’ambito di questi procedimenti, è la circostanza che – oltre al patrimonio informativo e di indagine già acquisito dalle autorità inquirenti – dai provvedimenti di proroga delle intercettazioni adottati in data 13 e 24 novembre 2015 emerge la consapevolezza del fatto che molte delle intercettazioni disposte sull’utenza di G. M. riguardavano conversazioni da questi avute con Esposito; conversazioni che evidenziavano «una profonda conoscenza famigliare e un elevato grado di confidenza» (pag. 5 dell’annotazione di polizia giudiziaria del 13 novembre 2015) e che facevano intravedere il potenziale rilievo penale e la rilevanza investigativa ritraibili dalle suddette conversazioni, con particolare riguardo a un’ipotesi di reato di abuso d’ufficio a carico del senatore Esposito (annotazione di polizia giudiziaria del 24 novembre 2015). Risulta dagli atti del procedimento n. 7945/2015 R.G.N.R che le conversazioni intercettate cui ha preso parte Stefano Esposito sono state in totale 111, delle quali 42 sono state ritenute rilevanti.
6.3.– L’ampliamento del perimetro delle indagini determinato in seguito alle riportate informative ha condotto, successivamente, all’apertura di un nuovo, ulteriore, filone d’indagine (procedimento penale n. 5194/2017 R.G.N.R.), avviato da un supplemento di attività di indagine nel novembre 2016. In esito a tali approfondimenti, il senatore Esposito è stato iscritto nel registro degli indagati per il delitto di cui agli artt. 110 e 353 cod. pen. (turbata libertà degli incanti) in data 8 marzo 2017. A fondamento dell’imputazione di Esposito militerebbe, secondo le risultanze offerte dalla stessa documentazione depositata dalla Procura presso il Tribunale di Torino, un’attività di intercettazione disposta sulle utenze di due altri indagati, dalla quale si ricaverebbero un totale di 204 conversazioni intercettate, delle quali 55 sarebbero state ritenute rilevanti dagli inquirenti. L’attività di intercettazione in questione si sarebbe protratta anche a seguito di un decreto del GIP del 30 marzo 2017.
6.4.– Ad assumere rilievo è, inoltre, la circostanza che il 19 marzo 2018, su delega del pubblico ministero – nell’ambito dell’attività volta ad approfondire i fatti di reato di cui al procedimento penale n. 85108/2014 R.G.N.R. – la polizia giudiziaria ha proceduto ad acquisire i dati contenuti nel cellulare in uso a G. M. mediante copia forense, dai quali risulta, secondo quanto si evince dall’annotazione del 13 giugno 2018 (depositata anch’essa in giudizio), che nel corso dell’analisi dei predetti contenuti sono stati rinvenuti messaggi WhatsApp che lo stesso ha scambiato con Stefano Esposito, di potenziale rilievo penale.
6.5.– Dalla documentazione complessivamente acquisita in giudizio risulta che Esposito ha avuto notizia di indagini a suo carico, e, in particolare, di essere imputato del delitto di turbata libertà degli incanti, nel novembre 2017, quando gli è stato notificato un avviso di proroga delle indagini preliminari (emesso nell’ambito del procedimento n. 5194/2017 R.G.N.R.).
Della sussistenza e della mole dell’attività di intercettazione che lo riguardava, disposta ed effettuata sull’utenza del principale imputato G. M., l’allora senatore Esposito sarebbe venuto a conoscenza in un momento successivo. Nell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, notificatogli in data 19 ottobre 2020 e relativo ai diversi procedimenti di cui si è dato conto, tutti successivamente riuniti in quello rubricato al n. 24047/2015 R.G.N.R., era infatti contenuto un elenco di intercettazioni telefoniche, per un totale di 126 conversazioni, che lo riguardavano in qualità di interlocutore di altri coimputati. Di queste conversazioni, 113 sarebbero state captate nel periodo in cui Esposito ricopriva la carica di senatore della Repubblica.
6.6.– Nella successiva richiesta di rinvio a giudizio del 29 luglio 2021 – dalla quale si ricava il complesso delle imputazioni contestate a Esposito per i delitti di cui agli artt. 110 e 353 cod. pen. (turbata libertà degli incanti), 81, 319 e 321 cod. pen. (corruzione per atti contrari al dovere d’ufficio), nonché 81 e 346-bis cod. pen. (traffico di influenze illecite) – vengono menzionate, tra le fonti di prova a sostegno delle ipotesi accusatorie, «operazioni di intercettazione telefonica».
Di fronte al Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Torino, e, in particolare, nel corso dell’udienza del 30 novembre 2021, veniva eccepita dal difensore di Esposito l’inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche che lo vedevano quale interlocutore, in ragione della mancata richiesta, da parte dell’autorità procedente, dell’autorizzazione di cui all’art. 4 della legge 20 giugno 2003, n. 140. Nel corso della medesima udienza, la stessa difesa faceva comunque istanza di trasmissione degli atti al Senato affinché questo, nel caso in cui le predette intercettazioni fossero comunque da ritenersi solo «casualmente» acquisite, si pronunciasse sulla loro utilizzabilità ai sensi dell’art. 6, comma 2, della medesima legge n. 140 del 2003.
Il GUP presso il Tribunale di Torino, con ordinanza resa nel corso della stessa udienza del 30 novembre 2021, ha ritenuto che tali istanze attenessero «all’utilizzabilità di singoli atti processuali», ravvisando conseguentemente la «non necessità di decidere anticipatamente rispetto al merito» le istanze stesse, riservandosi ogni decisione all’esito dell’udienza preliminare.
Disponendo il rinvio a giudizio in data 1° marzo 2022, il GUP procedente non si è pronunciato sulla richiesta di inutilizzabilità delle captazioni effettuate anche nei confronti dell’allora senatore Esposito, e ha esplicitamente annoverato queste ultime tra le fonti di prova rilevanti a suo carico.
7.– Entrando ora nel merito del conflitto, si deve ricordare che l’art. 68, terzo comma, Cost. stabilisce che è necessaria l’autorizzazione della Camera d’appartenenza «per sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza».
A questa previsione costituzionale è stata data attuazione mediante gli artt. 4 e 6 della legge n. 140 del 2003.
Il citato art. 4 stabilisce che «[q]uando occorre eseguire nei confronti di un membro del Parlamento […] intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni […] l’autorità competente richiede direttamente l’autorizzazione della Camera alla quale il soggetto appartiene».
L’art. 6 della medesima legge prevede, invece, che il Giudice per le indagini preliminari che ritenga necessario utilizzare le intercettazioni che non ricadono nell’ambito della fattispecie di cui all’art. 4, debba «decide[re] con ordinanza e richiede[re], entro i dieci giorni successivi, l’autorizzazione della Camera alla quale il membro del Parlamento appartiene o apparteneva al momento in cui le conversazioni o le comunicazioni sono state intercettate» (comma 2).
Nell’interpretazione e nell’applicazione di tali previsioni, questa Corte si è costantemente attenuta al principio per cui la garanzia di cui all’art. 68, terzo comma, Cost. «non mira a tutelare un diritto individuale, ma a proteggere la libertà della funzione che il soggetto esercita, in conformità alla natura stessa delle immunità parlamentari, volte primariamente alla protezione dell’autonomia e dell’indipendenza decisionale delle Camere rispetto ad indebite invadenze di altri poteri, e solo strumentalmente destinate a riverberare i propri effetti a favore delle persone investite della funzione (sentenza n. 9 del 1970)» (sentenze n. 157 del 2023 e n. 38 del 2019; ordinanza n. 129 del 2020).
Di conseguenza, l’individuazione degli ambiti di applicazione dell’uno e dell’altro regime autorizzatorio discende dalla ratio di garanzia dell’art. 68, terzo comma, Cost., che consiste nel «porre a riparo il parlamentare da illegittime interferenze giudiziarie sull’esercizio del suo mandato rappresentativo», quali quelle derivanti da intenti persecutori associati a strumenti «di particolare invasività» come le intercettazioni (sentenza n. 390 del 2007).
L’autorizzazione preventiva, pertanto, deve essere richiesta «non solo se l’atto d’indagine sia disposto direttamente nei confronti di utenze intestate al parlamentare o nella sua disponibilità (intercettazioni cosiddette “dirette”), ma anche tutte le volte in cui la captazione si riferisca a utenze di interlocutori abituali del parlamentare, o sia effettuata in luoghi presumibilmente da questo frequentati, al precipuo scopo di conoscere il contenuto delle conversazioni e delle comunicazioni del parlamentare stesso. Ai fini della richiesta preventiva dell’autorizzazione, ciò che conta, in altre parole, non è la titolarità dell’utenza o del luogo, ma la direzione dell’atto d’indagine (sentenza n. 390 del 2007)» (sentenza n. 38 del 2019).
A restare escluse dalla necessità del placet preventivo della Camera di appartenenza del parlamentare, e a ricadere quindi nell’ambito di applicazione del successivo art. 6 della legge n. 140 del 2003, sono le intercettazioni “occasionali”, per le quali l’impossibilità di munirsi dell’autorizzazione preventiva discende dall’assenza di preordinazione all’obiettivo di accedere alle comunicazioni del parlamentare e, di conseguenza, dal carattere fortuito dell’ingresso dei materiali captati nel recinto dell’attività d’indagine (da ultimo, sentenza n. 157 del 2023).
8.– Alla luce di queste premesse, il primo motivo di ricorso, con il quale si denuncia la violazione dell’art. 68, terzo comma, Cost. e dell’art. 4 della legge n. 140 del 2003, è fondato, nei termini di seguito precisati.
8.1.– Deve, innanzi tutto, essere evidenziata la peculiarità della vicenda da cui promana l’odierno conflitto, consistente nell’anomala effettuazione e acquisizione agli atti del procedimento di un numero assai cospicuo di intercettazioni che vedono coinvolto un parlamentare in carica, nel corso di un’attività di indagine che si è dispiegata, nell’ambito di una pluralità di procedimenti tra loro variamente collegati, per più anni, senza che sia stata richiesta alcuna autorizzazione.
A fronte di ciò, questa Corte ritiene che la complessiva attività di indagine posta in essere dall’autorità giudiziaria resistente denoti, con particolare evidenza, che l’attività di intercettazione che ha coinvolto l’allora senatore Esposito fosse univocamente diretta a captare le sue comunicazioni, quanto meno a far data dall’informativa di polizia giudiziaria del 3 agosto 2015.
Il carattere mirato di tale attività, idoneo a conferire natura non più “occasionale” ma “indiretta” a tutte le intercettazioni captate a seguito di tale data, si ricava – oltre che dalla sussistenza di quegli indici sintomatici che concorrono a escludere il carattere occasionale delle intercettazioni – dalla decisiva circostanza per cui è a partire da tale momento che emergono, nei confronti dell’allora senatore Esposito, specifici indizi di reità che si traducono nella richiesta di approfondimenti investigativi a suo carico.
Secondo la sentenza n. 114 del 2010 (ripresa dalla successiva ordinanza n. 263 del 2010), al fine di sceverare l’una tipologia dall’altra bisogna tenere conto, sebbene in via solamente esemplificativa, «dei rapporti intercorrenti tra parlamentare e terzo sottoposto a intercettazione, avuto riguardo al tipo di attività criminosa oggetto di indagine; del numero delle conversazioni intercorse tra il terzo e il parlamentare; dell’arco di tempo durante il quale tale attività di captazione è avvenuta, anche rispetto ad eventuali proroghe delle autorizzazioni e al momento in cui sono sorti indizi a carico del parlamentare».
Tali indici, per quanto rilevanti, possono tuttavia non essere da soli sufficienti a rivelare il carattere mirato dell’attività di indagine, essendo a tal fine dirimente la circostanza che, a carico del parlamentare, emergano elementi idonei a dimostrare l’intenzione delle autorità procedenti di approfondire, tramite l’attività di intercettazione, la sua posizione in vista del possibile esercizio dell’azione penale.
Infatti, a fronte di «una attività di captazione prolungata nel tempo» e della emersione di indizi di reità nei confronti del parlamentare, «non si può trascurare l’eventualità che intervenga, nell’autorità giudiziaria, un mutamento di obbiettivi: nel senso che – in ragione anche dell’obbligo di perseguire gli autori dei reati – le ulteriori intercettazioni potrebbero risultare finalizzate, nelle strategie investigative dell’organo inquirente, a captare non più (soltanto) le comunicazioni del terzo titolare dell’utenza, ma (anche) quelle del suo interlocutore parlamentare, per accertarne le responsabilità penali. Quando ciò accadesse, ogni “casualità” verrebbe evidentemente meno: le successive captazioni delle comunicazioni del membro del Parlamento, lungi dal restare fortuite, diventerebbero “mirate” (e, con ciò, “indirette”), esigendo quindi l’autorizzazione preventiva della Camera, ai sensi dell’art. 4» (sentenza n. 113 del 2010, successivamente ripresa, sul punto, dalla sentenza n. 157 del 2023 e dall’ordinanza n. 263 del 2010).
Analogamente, nella già citata sentenza n. 114 del 2010, si afferma che «l’ingresso del parlamentare – già preventivamente raggiunto da indizi di reità – nell’area di ascolto evoca con maggiore immediatezza, nell’autorità giudiziaria, la prospettiva che la prosecuzione dell’attività di intercettazione su utenze altrui servirà (anche) a captare comunicazioni del membro del Parlamento, suscettibili di impiego a suo carico: ipotesi nella quale la captazione successiva di tali comunicazioni perde ogni “casualità”, per divenire mirata».
Se quindi deve essere ribadito, come affermato di recente da questa Corte (sentenza n. 157 del 2023), che «la ricorrenza dell’intento, associato alla “direzione dell’atto di indagine”, di attingere direttamente alle conversazioni del parlamentare non presuppone necessariamente la qualità di indagato dello stesso», è però vero che il coinvolgimento del parlamentare tra gli obiettivi dell’attività di indagine, laddove si traduca – indipendentemente dall’acquisizione dello status di indagato – in indirizzi investigativi chiaramente e univocamente rivolti ad approfondire la sua eventuale responsabilità penale, contrassegna la correlata attività di intercettazione come “indiretta” e, pertanto, bisognosa dell’autorizzazione preventiva ex art. 4 della legge n. 140 del 2003.
8.2.– Dall’esame della vicenda da cui ha tratto origine il conflitto, risulta evidente che tale effettivo coinvolgimento nelle indagini si è avuto, per l’allora senatore Esposito, a decorrere dall’indicata informativa del 3 agosto 2015, con la conseguenza che alle intercettazioni successive a tale momento deve essere attribuita natura “indiretta”.
Non può dubitarsi, innanzi tutto, che il carattere abituale delle interlocuzioni tra Esposito e G. M. fosse a conoscenza dell’autorità procedente già nel marzo 2015. In particolare, nell’annotazione di polizia giudiziaria del 25 marzo 2015 risulta che l’interlocutore di G. M. identificato come il senatore Stefano Esposito era legato all’imputato «da un rapporto di profonda amicizia» e che le numerose conversazioni intercorse tra i due, «dal tenore nettamente confidenziale», risultano «caratterizzate dalla trattazione di svariati argomenti tra i quali emergono molteplici scambi di opinioni sulle vicende affaristiche di M[.]».
Il carattere abituale delle conversazioni tra il soggetto indagato e il parlamentare, tuttavia, non è di per sé sufficiente a rendere quest’ultimo destinatario di una specifica attività di indagine, elevandolo a bersaglio dell’atto investigativo; né, quindi, la sola prevedibilità dell’interlocuzione tra l’indagato e il parlamentare rende necessaria l’acquisizione dell’autorizzazione di cui all’art. 4 della legge n. 140 del 2003 affinché possa essere proseguita l’attività di captazione sull’utenza telefonica del primo.
Pertanto, pur se sino alla richiamata informativa del 3 agosto 2015, numerose erano state le conversazioni intercorse tra l’allora senatore Esposito e G. M., e pur se poteva prevedersi che altre conversazioni tra i due avrebbero potuto essere intercettate, non può ritenersi che già prima di quella data fosse necessaria, per il proseguimento dell’attività di captazione, la preventiva autorizzazione della Camera di appartenenza del parlamentare.
Ad assumere un decisivo rilievo è, invece, il contenuto della richiamata informativa di polizia giudiziaria del 3 agosto 2015. In quest’ultima, i rapporti tra il parlamentare e il terzo intercettato vengono approfonditi alla luce delle ulteriori intercettazioni captate, rimarcando contestualmente l’opportunità di «trasmettere il contenuto dei dialoghi per consentire a codesta A[utorità] G[iudiziaria] di valutare se possano costituire spunti investigativi meritevoli di approfondimento».
Il mutamento di direzione dell’attività di indagine risulta ancor più evidente alla luce dell’adozione dei provvedimenti di proroga delle intercettazioni (in particolare, del 13 novembre e del 25 novembre 2015), nei quali non solo si rafforzava la consapevolezza che l’attività di intercettazione avrebbe potuto coinvolgere conversazioni di G. M. con Esposito, ma veniva anche ulteriormente concretizzandosi il potenziale rilievo penale e la rilevanza investigativa emergente dall’attività di intercettazione, successivamente impiegata in relazione ad ipotesi di reato a carico del parlamentare diverse da quella di abuso d’ufficio, per la quale al momento si procedeva (ma che successivamente, tuttavia, non è stata contestata).
A ciò si aggiunga che, secondo quanto emerge dalla documentazione depositata dalle parti, in tal senso depone anche la nota del 28 dicembre 2015, a firma del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino, in cui si delega la polizia giudiziaria «a svolgere iniziali accertamenti patrimoniali in relazione al Sen. Stefano Esposito».
Non pare quindi possibile dubitare che il mutamento degli obiettivi delle indagini sia maturato nel momento in cui sono stati per la prima volta adombrati profili di responsabilità penale specifici a carico dell’allora senatore Esposito, successivamente convalidati dalle ulteriori indagini effettuate e sfociati nell’iscrizione anche del parlamentare – oltre che del terzo intercettato – nel registro degli indagati.
8.3.– Alla luce di una valutazione complessiva e non atomistica delle circostanze fattuali dell’attività di indagine (sentenza n. 157 del 2023), deve dunque ritenersi che la direzione dell’attività di indagine sia mutata a partire dal momento in cui l’autorità procedente ha ritenuto di dover specificamente approfondire l’eventuale responsabilità del parlamentare, con la conseguenza che – pur in mancanza di una formale iscrizione nel registro degli indagati – l’attività di captazione effettuata da allora in avanti deve ritenersi indirettamente rivolta ad accedere alla sfera di comunicazione del parlamentare.
Del resto, che la volontà della Procura procedente fosse orientata anche a verificare la sussistenza di indizi di reità a carico del parlamentare attraverso la captazione delle conversazioni sull’utenza intestata al principale indagato, risulta sostanzialmente ammesso nell’atto di costituzione, là dove si afferma che dovrebbero essere sottoposte ad autorizzazione preventiva solo le intercettazioni direttamente volte a captare le conversazioni del parlamentare, «ma giammai quelle attività che, senza accedere indebitamente “nella sfera delle comunicazioni del parlamentare”, sono comunque dirette ad accertare (anche) le eventuali responsabilità del parlamentare».
Il risultato dell’attività complessiva di captazione ha dato luogo, limitatamente alle conversazioni tra G. M. ed Esposito, a un totale di 446 intercettazioni, 148 delle quali ritenute rilevanti per le indagini. La massima parte di queste è stata effettuata in un momento successivo all’emersione di indizi di reità a carico del parlamentare. È di tutta evidenza come tale numero assuma ulteriore rilievo alla luce sia dell’orizzonte temporale di più anni lungo il quale si è dispiegata l’attività di indagine, sia della circostanza che le conversazioni acquisite in un procedimento sono state successivamente poste a fondamento di attività di indagine relative ad altri e diversi filoni, così evidenziando ulteriormente il concreto rischio di un ampliamento “a macchia d’olio” degli accessi alle comunicazioni del medesimo parlamentare.
8.4.– Di conseguenza, è a partire dal 3 agosto 2015 che si deve ritenere che Esposito sia stato incluso tra i bersagli dell’attività di indagine, con la conseguenza che tutte le intercettazioni successive devono intendersi, in realtà, come rivolte ad accedere alla sua sfera di comunicazioni.
L’anomalia decisionale e operativa che ha contraddistinto, secondo le ragioni poste a fondamento del ricorso, il modus procedendi delle autorità giudiziarie torinesi si riverbera su tutte le attività poste in essere da queste ultime sulla base delle intercettazioni illegittimamente autorizzate, effettuate a far data dal 3 agosto 2015. Poiché l’accertata illegittimità si correla allo svolgimento del mandato parlamentare da parte del senatore Esposito, essa deve ritenersi sussistente quanto alle intercettazioni effettuate dal 3 agosto 2015 al 22 marzo 2018, data in cui la XVII legislatura ha avuto termine.
Quanto alle attività di captazione delle conversazioni del parlamentare in epoca antecedente al 3 agosto 2015, alle stesse deve ritenersi applicabile la disciplina di cui all’art. 6, comma 2, della legge n. 140 del 2003. Ne consegue che la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino, prima, e il GUP del medesimo Tribunale, poi, non avrebbero potuto porre quelle captazioni a fondamento, rispettivamente, della richiesta di rinvio a giudizio di Stefano Esposito e del decreto che dispone il giudizio, in assenza della richiesta di autorizzazione di cui al citato art. 6, comma 2.
Restano viceversa esenti dalla necessità di qualsivoglia autorizzazione le intercettazioni delle conversazioni di Stefano Esposito effettuate dopo il 22 marzo 2018, data di conclusione della legislatura nella quale l’Esposito ha ricoperto la carica di senatore della Repubblica.
8.5.– Parimenti illegittima deve ritenersi l’acquisizione, in data 19 marzo 2018, al compendio probatorio posto a fondamento tanto della richiesta di rinvio a giudizio, quanto del decreto che ha disposto il giudizio, della corrispondenza scambiata tra il senatore Esposito e G. M. mediante messaggi WhatsApp, prelevati tramite copia forense dei dati contenuti nello smartphone in uso al medesimo G. M., perché effettuata in violazione di quanto prescritto dall’art. 4 della legge n. 140 del 2003.
In proposito, è sufficiente ricordare che, secondo quanto affermato da questa Corte nella recente sentenza n. 170 del 2023, «l’art. 68, terzo comma, Cost. tutel[a] la corrispondenza dei membri del Parlamento – ivi compresa quella elettronica – anche dopo la ricezione da parte del destinatario».
Tale garanzia si traduce, per gli organi inquirenti che abbiano appreso i contenuti di conversazioni scambiate dal parlamentare con il terzo proprietario del dispositivo di telefonia mobile oggetto di sequestro, nell’obbligo di «sospendere l’estrazione di tali messaggi dalla memoria del dispositivo (o dalla relativa copia) e chiedere l’autorizzazione della Camera di appartenenza del parlamentare, a norma dell’art. 4 della legge n. 140 del 2003, al fine di poterli coinvolgere nel sequestro» (sentenza n. 170 del 2023).
La necessità della previa richiesta di autorizzazione alla acquisizione del materiale investigativo opera in termini oggettivi, vale a dire – sempre secondo la richiamata sentenza n. 170 del 2023 – «a prescindere da ogni valutazione circa la natura “mirata” o “occasionale” dell’acquisizione dei messaggi del parlamentare».
Alla luce di tale precedente, deve essere accertato e dichiarato il lamentato vulnus alle attribuzioni del Senato nel caso di specie, tenuto conto che l’acquisizione delle comunicazioni via WhatsApp è avvenuta in data 19 marzo 2018, anteriormente, quindi, alla cessazione del mandato parlamentare del senatore Esposito e, per di più, in un momento in cui erano noti alle autorità inquirenti sia l’abitualità dei rapporti tra il parlamentare e G. M., sia, soprattutto, il pieno coinvolgimento del primo nelle indagini, in quanto iscritto nel registro degli indagati dal marzo 2017.
Di conseguenza, i messaggi presenti nella copia forense indirizzati al (o ricevuti dal) senatore Esposito non avrebbero potuto essere acquisiti senza autorizzazione preventiva della Camera di appartenenza.
9.– Alla luce delle esposte considerazioni, il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato dal Senato della Repubblica deve essere risolto dichiarando che non spettava alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino, al Giudice per le indagini preliminari e al Giudice dell’udienza preliminare presso il medesimo Tribunale, disporre, effettuare e utilizzare le intercettazioni che hanno coinvolto Stefano Esposito, nel periodo in cui questi ricopriva l’incarico di senatore della Repubblica, nell’ambito dei procedimenti penali confluiti in quello iscritto al n. 24047/2015 R.G.N.R., e acquisire quali elementi di prova i messaggi WhatsApp scambiati tra il senatore Esposito e G. M., prelevati il 19 marzo 2018 tramite copia forense dei dati contenuti nello smartphone in uso a quest’ultimo nell’ambito del procedimento penale n. 85108/2014 R.G.N.R., in violazione dell’art. 4 (per le intercettazioni effettuate dal 3 agosto 2015 al 22 marzo 2018 e per l’acquisizione dei messaggi WhatsApp) e dell’art. 6 (per le intercettazioni antecedenti al 3 agosto 2015) della legge n. 140 del 2003.
Per l’effetto, devono essere annullati, limitatamente alla posizione di Stefano Esposito, la richiesta di rinvio a giudizio formulata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino il 29 luglio 2021 nell’ambito del procedimento penale n. 24047/2015 R.G.N.R. e il decreto che dispone il giudizio, adottato dal Giudice dell’udienza preliminare il 1° marzo 2022 in relazione al medesimo procedimento.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara che non spettava alla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Torino, al Giudice per le indagini preliminari e al Giudice dell’udienza preliminare presso il medesimo Tribunale, disporre, effettuare e utilizzare, nell’ambito dei procedimenti penali confluiti nel procedimento iscritto al n. 24047 del registro generale delle notizie di reato del 2015, le intercettazioni che hanno coinvolto Stefano Esposito nel periodo intercorrente tra il 3 agosto 2015 e il 22 marzo 2018;
2) dichiara che non spettava alle medesime autorità utilizzare, nell’ambito degli stessi procedimenti, le intercettazioni che hanno coinvolto Stefano Esposito, effettuate sino alla data del 2 agosto 2015;
3) dichiara che non spettava alle medesime autorità acquisire e utilizzare quali elementi di prova, nell’ambito degli stessi procedimenti, i messaggi WhatsApp scambiati tra Stefano Esposito e G. M., prelevati il 19 marzo 2018 tramite copia forense dei dati contenuti nello smartphone in uso a quest’ultimo;
4) annulla, per l’effetto, limitatamente alla posizione di Stefano Esposito, la richiesta di rinvio a giudizio formulata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino il 29 luglio 2021 nell’ambito del procedimento penale n. 24047/2015 R.G.N.R. e il decreto che dispone il giudizio, adottato dal Giudice dell’udienza preliminare il 1° marzo 2022 in relazione al medesimo procedimento.
Allegato:
ORDINANZA
Ritenuto che è intervenuto nel giudizio Stefano Esposito, il quale, dopo aver premesso la sussistenza dei presupposti che, alla luce della giurisprudenza di questa Corte, legittimerebbero il proprio intervento, ha concluso per la dichiarazione di ammissibilità e per l'accoglimento del ricorso;
che nel giudizio è intervenuto altresì Gianfranco Colace, che ha rivestito la funzione di pubblico ministero nel giudizio da cui ha tratto origine il presente conflitto, il quale, dopo avere anch'egli premesso la sussistenza dei presupposti di ammissibilità del suo intervento, ha concluso aderendo alle prospettazioni della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino.
Considerato che questa Corte ha costantemente affermato che nei giudizi per conflitto di attribuzione, sebbene di regola non sia ammesso l'intervento di soggetti diversi da quelli legittimati a promuovere il conflitto o a resistervi, tale preclusione non opera quando l'oggetto del conflitto sia tale da coinvolgere, in modo immediato e diretto, situazioni soggettive di terzi, il cui pregiudizio o la cui salvaguardia dipendono dall'esito dello stesso (sentenze n. 157 del 2023 e n. 230 del 2017; ordinanza n. 269 del 2019);
che ciò tipicamente avviene quando l'interveniente sia parte di un giudizio i cui esiti o i cui effetti la pronuncia della Corte sia suscettibile di condizionare in via diretta e immediata (sentenze n. 157 del 2023, n. 259 del 2019, n. 169 del 2018, n. 107 del 2015, n. 221 e n. 224 del 2014): ipotesi nella quale gli interessi dell'interveniente rischierebbero di essere incisi, senza che egli possa far valere le proprie ragioni;
che tale ipotesi ricorre in relazione alla posizione vantata dall'interveniente ad adiuvandum, il quale lamenta di essere stato rinviato a giudizio sulla base delle intercettazioni la cui legittima acquisizione e successiva utilizzazione costituiscono l'oggetto del presente conflitto di attribuzione tra poteri;
che, alla luce di tali considerazioni, e preso atto della ritualità e tempestività del deposito dell'atto di intervento di Stefano Esposito, quest'ultimo deve essere dichiarato ammissibile;
che, con riguardo all'atto di intervento di Gianfranco Colace, deve rilevarsi che questi assume a fondamento della propria legittimazione ad intervenire la circostanza che pende a suo carico procedimento disciplinare, ove l'incolpazione consiste nell'aver utilizzato in sede penale intercettazioni di conversazioni del senatore Esposito, senza osservare le garanzie previste dall'art. 68, terzo comma, della Costituzione, come articolate dalla legge n. 140 del 2003;
che, in disparte i profili relativi alla sussistenza di un interesse qualificato, tale da legittimare la partecipazione al giudizio, tenuto conto della diversità di oggetto tra il presente giudizio per conflitto di attribuzione e il procedimento disciplinare, assume valore dirimente, ai fini dell'ammissibilità dello stesso, la tardività del suo deposito;
che, invero, l'atto di intervento è stato depositato il 31 ottobre 2023;
che il deposito è quindi avvenuto dopo lo spirare del termine di venti giorni fissato dagli artt. 4 e 31 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, decorrente dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del ricorso introduttivo, avvenuta il 24 maggio 2023;
che, anche a ritenere che il dies a quo potesse decorrere dal momento in cui l'interveniente è venuto a conoscenza delle incolpazioni elevate nei suoi confronti in sede disciplinare (il 12 luglio 2023), l'atto di intervento risulta comunque tardivo;
che non sussistono i presupposti per la rimessione in termini (ordinanza n. 101 del 2017), del resto neanche richiesta dall'interveniente ad opponendum;
che, alla luce di tali considerazioni, l'intervento di Gianfranco Colace non è ammissibile.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara ammissibile l'intervento di Stefano Esposito e non ammissibile l'intervento di Gianfranco Colace.