L'interesse conoscitivo del richiedente è elevato al rango di un diritto fondamentale. Pertanto, l'Amministrazione può negare la divulgazione dei documenti richiesti solo ove tale misura limitativa risulti necessaria per evitare un pregiudizio concreto alla tutela degli interessi pubblici e privati enucleati dall'art. 5-bis, D.L. n. 33/2013.
Con la sentenza n. 9849 del 16 novembre 2023, il Consiglio di Stato rigetta l'appello proposto da Tizio avverso il diniego della sua istanza di accesso civico generalizzato all'Accordo di collaborazione stipulato tra l'Agenzia Industrie Difesa e la Direzione Centrale dell'Immigrazione e della Polizia delle Frontiere del Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell'Interno.
A fondamento del rigetto, rilevava la circostanza che il documento in oggetto non è atto ostensibile poiché «rientra nella categoria dei documenti sottratti all'accesso per motivi attinenti alla sicurezza, alla Difesa e alle Relazioni Internazionali come recita l'
Dopo aver ricostruito il quadro normativo di riferimento, il Consiglio di Stato sostiene che l'accesso civico generalizzato si traduce nel diritto della persona a ricercare informazioni nonché a conoscere i dati e le decisioni delle amministrazioni, al fine di rendere possibile quel controllo democratico che l'istituto intendere perseguire.
Posto che chiunque può visionare ed estrarre copia cartacea o informatica di atti ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione obbligatoria, non occorre verificare la legittimazione dell'accedente né è necessario che la richiesta di accesso sia supportata da idonea motivazione.
Prosegue il Collegio: «per effetto dell'adesione dell'ordinamento al modello di conoscibilità generalizzata delle informazioni amministrative proprio dei cosiddetti sistemi FOIA (Freedom of information act), l'interesse conoscitivo del richiedente è elevato al rango di un diritto fondamentale (cosiddetto “right to know”), non altrimenti limitabile se non in ragione di contrastanti esigenze di riservatezza espressamente individuate dalla legge».
Ne deriva che l'Amministrazione può negare la divulgazione dei documenti richiesti ove tale misura limitativa risulti necessaria per evitare un pregiudizio concreto alla tutela degli interessi pubblici e privati legalmente contemplati. L'accesso civico generalizzato incontra dunque un limite non superabile nelle cause ostative enucleate dall'articolo 5-bis, D.L. n. 33/2013.
L'Amministrazione vieta, invece, l'accesso civico generalizzato, nei casi di segreto di Stato e negli altri casi di divieti di divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l'accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all'
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza (ud. 28 settembre 2023) 16 novembre 2023, n. 9849
Svolgimento del processo
ll sig. D.F. - direttore della rivista “Altreconomia” (dal 2019) - con ricorso ex art. 116 c.p.a. (proposto in data 28.9.2022) adiva il TAR Lazio per chiedere l’annullamento del provvedimento con il quale, in data 21.7.2022, la Direzione Generale di AID, Agenzia Industrie Difesa (Agenzia pubblica sottoposta alla vigilanza del Ministero della Difesa), aveva rigettato la sua istanza di acceso civico generalizzato all’Accordo di collaborazione stipulato in data 21.10.2021 tra la stessa Agenzia Industrie Difesa e la Direzione Centrale dell’Immigrazione e della Polizia delle Frontiere del Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno, nell’ambito del progetto “Support to integrated border and migration management in Libya – Second phase”.
Con nota del 21.7.2022, il Ministero della Difesa, Agenzia Industrie Difesa - Direzione Generale, rigettava la richiesta in base alla motivazione per cui il documento in oggetto “non è atto ostensibile atteso che lo stesso rientra nella categoria dei documenti sottratti all’accesso per motivi attinenti alla sicurezza, alla Difesa e alle Relazioni Internazionali come recita l’art. 5 bis comma 1 lett. a) ,c) ,d) del citato D.lgs. 33/2013.” (doc. 1 ric.).
Il provvedimento impugnato precisava che il diniego era altresì sostenuto, normativamente, dal Decreto del Ministero dell’Interno datato 16/03/2022, che, nell’elencare le categorie di documenti sottratti all’accesso per i motivi di sicurezza, difesa e relazioni internazionali, annovera all’art. 2 comma 1 lett. d) “i documenti relativi agli accordi intergovernativi di cooperazione e le intese tecniche stipulati per la realizzazione di programmi militari di sviluppo, di approvvigionamento e/o supporto comune o di programmi per la collaborazione internazionale di polizia, nonché quelli relativi ad intese tecnico-operative per la cooperazione internazionale di polizia inclusa la gestione delle frontiere e dell’immigrazione”.
Con il ricorso in primo grado, il Signor F. chiedeva di accertare il diritto dell’odierno ricorrente all’accesso civico generalizzato, ai sensi dell’art. 5, comma 2, del D.lgs. 33/2013, anche con sentenza in forma semplificata, all’accordo sottoscritto tra Ministero dell’Interno e AID nell’ambito del progetto “Support to integrated border and migration management in Libya – Second phase”. In via subordinata, chiedeva di annullare l’art. 2 c. 1 lett d) del decreto ministeriale del 16.03.2022 recante la disciplina delle categorie di documenti sottratti al diritto di accesso.
A sostegno del ricorso deduceva i seguenti motivi di impugnazione:
I) illegittimità del provvedimento impugnato per violazione di norme imperative di legge; violazione e/o falsa applicazione degli artt. 5 (co. 1, 2 e 6), 5 bis (co 1 e 3) d.lgs 33/13 e art. 3 legge 241/90; eccesso di potere per carenza assoluta di motivazione, arbitrarietà, travisamento dei fatti, contraddittorietà e manifesta illogicità. Sproporzionalità anche per mancata valutazione dell’accesso parziale;
II) violazione di legge e falsa applicazione art. 5 comma 2 e art. 5 bis comma 3 anche in combinato disposto con l’art. 24 c- 1 e 2 l. 241/90, violazione e falsa applicazione del dm del 16.03.2022 in merito alla disciplina delle categorie di documenti sottratti al diritto di accesso. Illegittimo in particolare sarebbe anche la motivazione del diniego di accesso che ha fatto leva sul Decreto Ministeriale del Ministero dell’Interno del 16 marzo 2022, nella parte in cui menziona le “intese tecnico-operative per la cooperazione internazionale di polizia inclusa la gestione delle frontiere e dell’immigrazione”.
III Con un terzo motivo di ricorso, la parte ricorrente impugnava, chiedendone l’annullamento, l’art. 2 c. 1 lett d) del decreto ministeriale del 16.03.2022 recante la disciplina delle categorie di documenti sottratti al diritto di accesso per genericità, eccesso di potere per sviamento e violazione degli artt. 22 e 24 Legge n. 241/90.
IV) in via subordinata, il ricorrente avanzava domanda affinché fosse ordinata, da parte del T.ar. l’esibizione di tutti gli atti oggetto della richiesta, ivi compresi quelli cui sia stata eventualmente apposta la qualifica di ‘riservato’,
Il Tar ha respinto il ricorso, compensando le spese di lite.
Contro questa sentenza il signor F. ha proposto appello reiterando criticamente i motivi di ricorso formulati in primo grado.
Si è costituito in giudizio il Ministero della difesa, chiedendo il rigetto dell’appello
In vista dell’udienza del 28 settembre 2023 le parti hanno depositato memorie con le quali hanno chiarito e ulteriormente argomentato la fondatezza delle rispettive prospettazioni difensive.
All’udienza del 28 settembre 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione
L’appello non è fondato.
Con un primo mezzo di gravame, la parte appellante adduce l’erroneità della sentenza impugnata per aver ritenuto che i documenti richiesti rientrerebbero tra i casi di eccezione assoluta all’accesso, in virtù del richiamo che l’art. 5 bis, c.3, d.lgs 33/13, fa ai limiti all’accesso documentale, e segnatamente all’art. 24 c. 1 e 2 e ai regolamenti ivi richiamati. (in particolare, il richiamo è nel caso di specie all’art. 2 c. 1 lett. d) DM 16.03.2022). Ad avviso dell’appellante, l’illegittimità del provvedimento di diniego discenderebbe dalla considerazione per cui i limiti previsti per l’accesso documentale, in quanto posti a presidio di interessi diversi da quelli che presidiando l’accesso civico generalizzato, non potrebbero essere richiamati ed applicati per analogia soprattutto laddove introducano limitazioni all’accesso sottratte alla riserva di legge. In tale ordine di idee, i limiti all’accesso documentale dovrebbero essere coordinati, contestualizzati e adattati alle finalità che ispirano il nuovo istituto dell’accesso civico generalizzato, rispetto al quale occorrerebbe sempre supportare il provvedimento che nega l’accesso con un preciso obbligo motivazionale. A sostegno di questa conclusione la parte appellante evidenzia che il diritto di accesso alle informazioni in possesso delle pubbliche amministrazioni è stato qualificato dalla Corte EDU come diritto fondamentale protetto dall’art. 10, par. 1, CEDU, in quanto specifica manifestazione della libertà di informazione. Rileva, a tal riguardo, l’appellante che dalle Linee guida ANAC, dalla Circolare FOIA 2/2017 e dalla riserva di legge contenuta nell’art. 10 CEDU, discenderebbe che le pubbliche amministrazioni, nel definire le modalità concrete di esercizio del diritto, possono disciplinare esclusivamente i profili procedurali e organizzativi di carattere interno, ma non possono incidere negativamente sull’estensione del diritto. Di qui la necessità di interpretare cum grano salis il rinvio che l’art. 5-bis, co. 3 del decreto opera all’art. 24, co. 1 e 2 della l. 241/1990, in tema di esclusione del diritto di accesso.
Con un secondo mezzo di gravame, la parte appellante lamenta l’omessa pronuncia, da parte della sentenza impugnata, sul motivo del ricorso di primo grado tendente a conseguire l’annullamento dell’art. 2 c. 1 lett d) del decreto ministeriale 16.03.2022 recante la disciplina delle categorie di documenti sottratti al diritto di accesso per genericità. Eccesso di potere per sviamento e violazione degli artt. 22 e 24, legge n. 241/90. Il predetto decreto ministeriale, ad avviso della parte appellante, non potrebbe essere utilizzato “per integrare la categoria dei limiti assoluti di cui all’art. 5 bis comma 3 D.Lgs 33/2013”, in rapporto al quale poteva essere utilizzato, semmai, solo come “indicatore o parametro di valutazione nella motivazione da svolgere nell’ambito della applicazione dei limiti relativi di cui all’art. 5 bis c. 1 e 2 D.Lgs. 33/2013.”
Con un terzo mezzo di gravame, la parte appellante deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 5 bis c. 1 e 2, d.lgs. 33/2013 ed il vizio di sproporzione anche per la mancata valutazione di una concessione dell’accesso soltanto parziale. A giudizio dell’appellante, dal tenore letterale della rubrica dell’art. 2 del citato DM, recante “Categorie di documenti inaccessibili per motivi attinenti alla sicurezza, alla difesa nazionale ed alle relazioni internazionali” si ricaverebbe la possibilità della concessione di un accesso parziale. Ciò in quanto tale locuzione ricalcherebbe il dettato dell’art. 5 bis, co. 1, d.lgs. 33/2013, sostanzialmente richiamando gli interessi la cui tutela può giustificare l’invocazione di un limite relativo.
Ne discenderebbe che, in sede di rigetto, l’amministrazione convenuta avrebbe dovuto motivare in ordine alla mancata concessione di un accesso parziale.
Infine, con un quarto mezzo di gravame, la parte appellante reitera la richiesta di esibizione di tutti gli atti oggetto della richiesta di accesso, ivi compresi quelli cui sia stata eventualmente apposta la qualifica di ‘riservato’
I motivi di appello, che possono essere esaminati congiuntamente, non sono fondati.
Preliminarmente il Collegio evidenzia che il provvedimento di diniego all’accesso in esame è un provvedimento plurimotivato, fondato su due distinte ed autosufficienti ragioni, di cui una, in particolare, è conforme al modello normativo.
In particolare, il primo motivo a sostegno del diniego di ostensione richiama le categorie di documenti di cui alle lettere a) (sicurezza pubblica e ordine pubblico), c) (la difesa e le questioni militari) e d) (le relazioni internazionali) dell’art. 5-bis, comma 1, d.lgs. n. 33 del 2013; il secondo motivo, invece, richiama il Decreto del Ministero dell’Interno (Ministero datato 16.3.2022, che, in attuazione dell’art. 24 comma 1 della legge n. 241 del 1990, nell’elencare le categorie di documenti sottratti all’accesso per motivi di sicurezza, difesa e relazioni internazionali, annovera, all’art. 2 comma 1 lett. d): “i documenti relativi agli accordi intergovernativi di cooperazione e le intese tecniche stipulati per la realizzazione di programmi militari di sviluppo, di approvvigionamento e/o supporto comune o di programmi per la collaborazione internazionale di polizia, nonché quelli relativi ad intese tecnico-operative per la cooperazione internazionale di polizia inclusa la gestione delle frontiere e dell’immigrazione”.
Il tenore motivazionale dell’atto rende evidente che ciascuno dei due profili ivi enucleati costituisce una ragione di per sé idonea a giustificare la deliberazione di diniego.
In termini generali, il Collegio osserva che:
- in presenza di provvedimenti motivati con distinte ragioni, ciascuna delle quali di per sé astrattamente sufficiente a sorreggere la volizione amministrativa, la parte che agisce per l’annullamento ha l’onere di aggredire tutti i pilastri motivazionali che reggono l’avversata decisione, pena l’inammissibilità dell’azione, strutturalmente inidonea, quand’anche in toto accolta, a determinare l’annullamento dell’atto, che, al contrario, resterebbe in piedi in virtù delle ragioni non fatte oggetto di censura;
- specularmente, pur ove il ricorrente abbia aggredito tutti i pilastri motivazionali, ove uno dei motivi indicati dall’Amministrazione a fondamento del provvedimento superi il vaglio giurisdizionale (regga, cioè, alle doglianze formulate dall’interessato), il giudice può arrestarsi, posto che, quand’anche gli altri motivi enucleati dall’Amministrazione venissero ritenuti illegittimi, comunque l’atto non sarebbe caducato, stante la piena idoneità del primo motivo a sorreggerne da solo il deliberato.(cfr. Adunanza plenaria n. 5 del 27 aprile 2015, in particolare al § 9.3.4.3).
Ciò premesso, il Collegio ritiene necessario ricostruire brevemente il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento.
L’art. 5, comma 2, d.lgs. n. 33/2013 stabilisce “2. Allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del presente decreto, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti secondo quanto previsto dall'articolo 5-bis.”.
….. “1. L'accesso civico di cui all'articolo 5, comma 2, è rifiutato se il diniego è necessario per evitare un pregiudizio concreto alla tutela di uno degli interessi pubblici inerenti a:
a) la sicurezza pubblica e l'ordine pubblico;
b) la sicurezza nazionale;
c) la difesa e le questioni militari;
d) le relazioni internazionali;
e) la politica e la stabilità finanziaria ed economica dello Stato;
f) la conduzione di indagini sui reati e il loro perseguimento;
g) il regolare svolgimento di attività ispettive.
2. L'accesso di cui all'articolo 5, comma 2, è altresì rifiutato se il diniego è necessario per evitare un pregiudizio concreto alla tutela di uno dei seguenti interessi privati:
a) la protezione dei dati personali, in conformità con la disciplina legislativa in materia;
b) la libertà e la segretezza della corrispondenza;
c) gli interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresi la proprietà intellettuale, il diritto d'autore e i segreti commerciali.
2-bis. … omissis…..
3. Il diritto di cui all'articolo 5, comma 2, è escluso nei casi di segreto di Stato e negli altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l'accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all'articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990.
4. Restano fermi gli obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa vigente. Se i limiti di cui ai commi 1 e 2 riguardano soltanto alcuni dati o alcune parti del documento richiesto, deve essere consentito l'accesso agli altri dati o alle altre parti.”.
L’art. 24, comma 1, lettera a), l. 241 del 1990, prevede, per quanto di rilievo nel presente giudizio, che “1. Il diritto di accesso è escluso: a) per i documenti coperti da segreto di Stato ai sensi della legge 24 ottobre 1977, n. 801, e successive modificazioni, e nei casi di segreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge, dal regolamento governativo di cui al comma 6 e dalle pubbliche amministrazioni ai sensi del comma 2 del presente articolo”.
Il citato comma 3, d.lgs. n. 33/2013, contrariamente ai commi precedenti, nell’estendere all’accesso civico generalizzato i limiti relativi all’accesso (documentale) di cui all'articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990, non esige alcuna motivazione in relazione all’accertamento della mancanza di un pregiudizio concreto alla tutela dell’interesse protetto dalla norma che vieta l’accesso. Trattasi, pertanto, di un rinvio, incondizionato, a fonti di regolazione che fanno riferimento ad atti che restano in ogni caso esclusi dal diritto di accesso. Tra le predette fonti di regolazione figurano, ai sensi del citato art. 24, comma, 1, gli atti delle pubbliche amministrazioni, adottati, ai sensi del successivo comma 2, in riferimento agli interessi elencati nel comma 1.
Nella fattispecie di che trattasi, la fonte di un divieto assoluto all’accesso civico generalizzato è costituita dal Decreto del Ministero dell’Interno 16.3.2022, che, in attuazione dell’art. 24 comma 1 della legge n. 241 del 1990, nell’elencare le categorie di documenti sottratti all’accesso per motivi di sicurezza, difesa e relazioni internazionali, annovera, all’art. 2 comma 1 lett. d): “i documenti relativi agli accordi intergovernativi di cooperazione e le intese tecniche stipulati per la realizzazione di programmi militari di sviluppo, di approvvigionamento e/o supporto comune o di programmi per la collaborazione internazionale di polizia, nonché quelli relativi ad intese tecnico-operative per la cooperazione internazionale di polizia inclusa la gestione delle frontiere e dell’immigrazione”.
Alla luce delle predette coordinate normative, ai fini dell’attivazione dei limiti di cui 24, comma 1, (tra i quali compare la previsione di ulteriori limiti all’accesso mediante atto della pubblica amministrazione), non occorre, contrariamente a quanto opina l’appellante, una motivazione dell’amministrazione che bilanci in concreto le ragioni sottese alla richiesta di accesso civico generalizzato con quelle cui è informato il contro-interesse tutelato dalla legge o in base alla legge.
Neppure può essere condiviso il motivo, non esaminato dal giudice di prime cure, che fa leva sulla illegittimità del regolamento 16.03.2022, che ha sostituito il precedente n. 415/1994, perché, a dire dell’appellante, introdurrebbe limiti incompatibili con il carattere di diritto fondamentale dell’accesso civico generalizzato.
L’argomento sviluppato dalla parte appellante è concettualmente errato per le ragioni che seguono.
Non vi è alcun dubbio in ordine al fatto che l’accesso civico generalizzato costituisca un diritto fondamentale che contribuisce al miglior soddisfacimento degli altri diritti fondamentali che l’ordinamento giuridico riconosce alla persona.
La natura fondamentale del diritto di accesso generalizzato rinviene, infatti, fondamento, oltre che nella Carta costituzionale (artt. 1, 2, 97 e 117) e nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (art. 42) anche nell’art. 10 della CEDU, in quanto la libertà di espressione include la libertà di ricevere informazioni e le eventuali limitazioni, per tutelare altri interessi pubblici e privati in conflitto, sono solo quelle previste dal legislatore, risultando la disciplina delle eccezioni coperta da riserva di legge.
Il Collegio parimenti non dubita del fatto che l’accesso civico generalizzato si traduce nel diritto della persona a ricercare informazioni, quale diritto che consente la partecipazione al dibattito pubblico e di conoscere i dati e le decisioni delle amministrazioni al fine di rendere possibile quel controllo “democratico” che l’istituto intendere perseguire.
La conoscenza dei documenti, dei dati e delle informazioni amministrative consente, infatti, la partecipazione alla vita di una comunità, la vicinanza tra governanti e governati, il consapevole processo di responsabilizzazione (accountability) della classe politica e dirigente del Paese.
Ai fini dell’accesso civico generalizzato, inoltre, non occorre verificare, così come per l’accesso documentale, la legittimazione dell’accedente, né è necessario che la richiesta di accesso sia supportata da idonea motivazione.
L’accesso civico “generalizzato”, infatti, consente a “chiunque” di visionare ed estrarre copia cartacea o informatica di atti “ulteriori” rispetto a quelli oggetto di pubblicazione obbligatoria (articolo 5, comma 2, d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33).
Per effetto dell’adesione dell’ordinamento al modello di conoscibilità generalizzata delle informazioni amministrative proprio dei cosiddetti sistemi FOIA (Freedom of information act), l’interesse conoscitivo del richiedente è elevato al rango di un diritto fondamentale (cosiddetto “right to know”), non altrimenti limitabile se non in ragione di contrastanti esigenze di riservatezza espressamente individuate dalla legge.
Ciò premesso, la disciplina delle preclusioni all’esercizio del diritto di accesso civico “generalizzato” si ricava dall’articolo 5-bis, d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, le cui disposizioni contemplano un duplice ordine di cause ostative all’accoglimento dell’istanza di ostensione.
Alla stregua di tale disposizione, l’amministrazione può negare la divulgazione dei documenti richiesti ove tale misura limitativa risulti necessaria per evitare un pregiudizio concreto alla tutela degli interessi pubblici e privati rispettivamente enumerati dai commi 1 e 2 del citato articolo 5-bis.
L’accesso civico “generalizzato” è, invece, escluso in termini assoluti “nei casi di segreto di Stato e negli altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’articolo 24, comma 1 della legge n. 241 del 1990” (comma 3).
A tal riguardo, occorre evidenziare che la disciplina delle nuove forme di trasparenza amministrativa differisce significativamente rispetto all’ordinario regime di ostensione documentale previsto dalla legge 7 agosto 1990, n. 241. Ed invero, l’accesso civico “semplice” e “generalizzato”, pur consentendo l’ostensione dei documenti richiesti a prescindere dalla dimostrazione di un interesse diretto, concreto e attuale, incontra un limite non superabile nelle cause ostative enucleate dall’articolo 5-bis, d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33.
Viceversa, le norme sull’accesso esoprocedimentale esigono la titolarità di una situazione giuridica legittimante, ma sanciscono la prevalenza dell’interesse conoscitivo “difensivo” nel conflitto con le contrastanti esigenze di riservatezza.
Ne deriva che, contrariamente a quanto ritenuto dall’appellante, all’ampliamento (rispetto all’accesso documentale) della platea dei soggetti che possono avvalersi dell’accesso civico generalizzato corrisponde un maggior rigore normativo nella previsione delle eccezioni poste a tutela dei contro-interessi pubblici e privati (rispetto a quanto si prevede con riferimento all’accesso documentale).
Sulla base delle considerazioni che precedono va respinto anche il motivo di appello finalizzato a censurare, sotto il profilo del difetto di proporzione, la mancata concessione dell’accesso parziale.
La lettera della disposizione di cui al comma 3 del citato d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, e l’evidenziata ratio sottesa all’istituto dell’accesso civico generalizzato non attribuiscono all’amministrazione, in sede di esame della richiesta di accesso, alcun potere valutativo suscettibile di estrinsecarsi nella fissazione di un limite modale. Né, contrariamente a quanto opinato dalla parte appellante, tale regola, nel richiamare i limiti di cui all’art. 24 comma 1, l. n. 241 del 1990, viola il principio di legalità.
In senso contrario va evidenziato che, ai sensi dell’art. 24 comma 2, l. n. 241 del 1990, le pubbliche amministrazioni sono tenute a individuare le categorie di atti da esse formati o comunque rientranti nella loro disponibilità sottratti all'accesso ai sensi del comma I.
Ne discende che alle pubbliche amministrazioni è demandato non un potere discrezionale illimitato nella individuazione delle categorie di documenti inaccessibili, ma un potere che può essere esercitato in relazione ai “soli” casi di esclusione previsti dal precedente comma 1. Trattasi, pertanto, di una discrezionalità limitata, e quindi coerente con il principio di legalità (nella sua duplice dimensione. legalità-indirizzo e legalità –garanzia)
Ferma restando la sufficienza delle argomentazioni sopra svolte ai fini del rigetto dell’appello, il Collegio rileva altresì che appaiono destituite di fondamento anche le censure articolate dalla parte appellante in relazione alla assenza di motivazione del diniego sul piano della chiara esplicazione del pregiudizio concreto all’interesse pubblico che deriverebbe dalla esibizione dell’Accordo di collaborazione in oggetto.
Come correttamente rilevato dal giudice di prime cure, le stesse linee guida dell’ANAC, invocate dal ricorrente, evidenziano la natura di eccezioni assolute da riferire alle situazioni di cui al citato co. 3 dell’art. 5 bis, le quali non richiedono l’esplicitazione di ulteriori motivazioni nel caso di negato accesso, atteso che “possono verificarsi circostanze in cui potrebbe essere pregiudizievole dell’interesse coinvolto imporre all’amministrazione anche solo di confermare o negare di essere in possesso di alcuni dati o informazioni (si consideri ad esempio il caso di informazioni su indagini in corso). In tali ipotesi, di stretta interpretazione, se si dovesse pretendere una puntale specificazione delle ragioni del diniego, l’amministrazione potrebbe disvelare, in tutto o in parte, proprio informazioni e dati che la normativa ha escluso o limitato dall’accesso, per tutelarne la riservatezza (pubblica o privata).” (Linee Guida ANAC).
Ciò, oltre a confermare la fondatezza della motivazione del diniego - laddove esclude l’accesso in quanto afferente a documenti categoricamente sottratti all’esibizione, in base a disposizioni normative specifiche ex art. 24, comma 1, lett. a) legge n. 241/90 - rende adeguata, nel suo complesso, la motivazione addotta in quanto da essa è agevolmente ricavabile il pregiudizio concreto che potrebbe derivare all’interesse pubblico alla riservatezza del documento, laddove alle Amministrazioni coinvolte fosse imposto, soltanto per motivare il diniego, di rendere espliciti i contenuti di un documento riservato.
Conclusivamente, per le ragioni esposte, l’appello va respinto in quanto infondato, sia pure all’esito di una motivazione parzialmente diversa rispetto a quella posta a base della decisione impugnata.
In ragione della parziale novità delle questioni sottese al gravame in esame, il Collegio ravvisa eccezionali ragioni, ex artt. 26 comma 1, c.p.a, e 92, c.p.c, per compensare integralmente le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto:
- respinge l’appello;
- dichiara integralmente compensate tra tutte le parti costituite le spese del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.