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5 gennaio 2024
Può un giornalista chiedere istanza di accesso civico generalizzato di un’opera d’arte privata dichiarata di interesse culturale?

Con la sentenza in commento, il TAR Lazio ripercorre il quadro disciplinare che regola sia l'istituto dell'accesso civico generalizzato, sia la “materia” della tutela e valorizzazione dei beni culturali, al fine di verificare se vi siano i presupposti per l'ostensione della documentazione richiesta dall'istante.

La Redazione

La controversia trae origine dalla domanda di accesso civico generalizzato presentata da un soggetto nella sua qualità di “giornalista – libera professionista”, diretta a conoscere quali opere d'arte, originariamente appartenenti al defunto Tizio e poi cadute in successione ereditaria, siano state dichiarate di interesse culturale ex artt. 10 e 13 D.Lgs. n. 42/2004 e quindi sottoposte alle disposizioni di tutela ivi contenute.
La richiesta di accesso civico veniva accolta dalla Direzione Generale Archeologia Belle Arti e Paesaggio del Ministero della cultura, la quale riteneva applicabile come “criterio guida” destinato a soccorrere nel caso specifico, lo stesso Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al D.Lgs. n. 42/2004, e segnatamente l'art. 17, c. 6, il quale, con riferimento alla “creazione di un catalogo on-line contenente le opere private dichiarate di interesse culturale”, stabilisce che «La consultazione dei dati concernenti le dichiarazioni emesse ai sensi dell'articolo 13 è disciplinata in modo da garantire la sicurezza dei beni e la tutela della riservatezza».

La controparte ricorre dinanzi al TAR Lazio deducendo, tra i motivi di doglianza, la violazione delle norme in materia di accesso civico generalizzato. In particolare, i ricorrenti lamentano che il Ministero non avrebbe tenuto conto del fatto che la richiesta sia stata avanzata al fine di soddisfare una propria esigenza personale (la realizzazione di una trasmissione televisiva), slegata da qualsivoglia finalità pubblica o di interesse generale, in aperta violazione delle vigenti disposizioni in materia (artt. 5 e 5-bis D.Lgs. n. 33/2013).
Nella stessa sede, i ricorrenti lamentano la violazione del GDPR: la riservatezza degli interessati risulterebbe violata in quanto «la tecnica dell'oscuramento tramite “anonimizzazione” dei dati adottata dal Ministero (cd. tecnica di “aggregazione e k-anonimato”) non sarebbe idonea ad impedire l'identificazione delle persone fisiche interessate».

Investito del ricorso, il TAR Lazio ripercorre anzitutto il quadro disciplinare che regola sia l'istituto dell'accesso civico generalizzato, sia la “materia” della tutela e valorizzazione dei beni culturali, nell'ottica di verificare se vi siano i presupposti per l'ostensione della documentazione, così come richiesta dall'istante.
Per quanto riguarda il diritto di accesso, il TAR sostiene che «non vi sono ragioni per dubitare che anche il giornalista, nell'esercizio della propria attività professionale, possa accedere alle informazioni e alla documentazione in possesso di una pubblica amministrazione ai sensi del prefato art. 5 d. lgs. n. 33/2013».
Ciò detto, il ragionamento del Tribunale amministrativo si sposta sul seguente interrogativo: l'accesso civico generalizzato (ivi compreso quello esercitato dal giornalista nell'espletamento della propria attività professionale, nell'ottica di cui si è appena detto) può trovare spazio anche in un ambito specifico, quale quello della tutela e valorizzazione dei beni culturali, che trova la propria regolamentazione ad hoc nel Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al D.Lgs. n. 42/2004? La risposta è affermativa. Sul tema è intervenuta l'Adunanza Plenaria (sentenza n. 10/2020), la quale ha chiarito che va escluso che possa introdursi un limite (quello della “materia) all'accesso civico generalizzato non previsto espressamente dal Legislatore.
Tuttavia, occorre precisare che l'istituto dell'accesso civico generalizzato non è incondizionato, ma soggiace, per espressa previsione dell'art. 5, c. 2, ai limiti relativi alla tutela di «interessi giuridicamente rilevanti» espressamente contemplati dal successivo art. 5-bis.

Inoltre, le disposizioni di tutela possono riguarda beni appartenenti ai privati: per questo motivo, il Legislatore ha operato un bilanciamento tra interesse pubblico e proprietà privata sia con l'attribuzione al Ministero della cultura di poteri di vigilanza e ispezione, sia tramite la previsione di misure di protezione atte ad imporre, al titolare della res, prescrizioni, limitazioni e condizioni di godimento e sfruttamento del bene. Ciò muovendo dal presupposto che si tratta di beni che, «seppure su un piano prettamente giuridico-formale sono di proprietà di privati, a livello per così dire “valoriale” vanno considerati di “appartenenza” della collettività in quanto componenti del “patrimonio della Nazione”».
A tal proposito, il TAR si sofferma sull'art. 17 rubricato «Catalogazione». Tale disposizione contempla uno strumento ad hoc (il catalogo dei beni culturali) quale misura funzionale a rendere conoscibile in via generalizzata il patrimonio culturale italiano, nell'ottica di garantire a tutti l'accesso ai dati e alle informazioni concernenti beni che, seppure di proprietà privata, fanno capo alla collettività.

Tuttavia, è la stessa lex specialis ad aver previsto precisi limiti e condizioni alla conoscibilità da parte del pubblico dei dati detenuti dal Ministero della cultura. Il riferimento è al comma 6 dell'art. 17, che subordina la consultazione delle dichiarazioni di interesse culturale emesse ai sensi dell'art. 13 all'osservanza di modalità atte ad assicurare (“in modo da garantire”) la sicurezza dei beni e la tutela della riservatezza.

In altri termini, spiega il TAR, «il Legislatore ha inteso garantire un riserbo su alcune informazioni concernenti aspetti particolarmente delicati e “sensibili”, suscettibili di essere pregiudicati da una divulgazione del dato conoscitivo su scala generalizzata, tra i quali devono annoverarsi, ad esempio, le informazioni relative al titolare del bene (qualora trattasi di soggetto privato) e l'ubicazione della res (qualora trattasi di cosa mobile): tale disposizione, dunque, preclude un incondizionato e “illimitato” accesso ai dati e documenti relativi ai beni culturali privati, al fine di contemperare (sempre nell'ottica della ricerca di un soddisfacente punto di equilibrio tra poli contrapposti) l'interesse del pubblico alla conoscenza con l'interesse antagonista ad assicurare la “sicurezza” del bene e la “riservatezza” di chi lo possiede (in altri termini, laddove il vincolo sia stato apposto, ad es., su un'opera d'arte quale un dipinto o una scultura, va resa conoscibile al pubblico l'esistenza dell'opera, quale appunto “bene culturale”, e le sue intrinseche caratteristiche, ma non anche chi la possiede né dove essa si trovi)».

Ciò detto, l'istituto dell'accesso civile non può tradursi in uno strumento atto ad “aggirare” le condizioni alle quali la normativa speciale del Codice consente la conoscibilità al pubblico delle opere assunte quali “beni culturali”, e nello specifico dei limiti che il comma 6 della citata disposizione frappone alla consultazione di talune informazioni.
Dunque, le restrizioni contemplate dalla norma de qua non possono non valere anche nel caso di accesso civico generalizzato.
Tale impostazione trova conferma anche nel quadro normativo sovranazionale in materia di protezione internazionale.

Alla luce di quanto esposto, il TAR Lazio rileva che l'istanza di accesso presentata dall'istante è impostata su base esclusivamente soggettiva, in quanto diretta ad appurare quali siano i beni originariamente di proprietà di un determinato soggetto privato e, ora, nella titolarità dei suoi eredi. Pertanto, dall'istanza così formulata non traspare un interesse alla conoscenza di documentazione e/o informazioni concernenti le funzioni istituzionali di tutela del patrimonio culturale italiano demandate al Ministero della cultura, meritevole di soddisfazione ai sensi dell'art. 5 D.Lgs. n. 33/2013.

Per questi motivi, il TAR Lazio accoglie il ricorso con sentenza n. 19889 del 28 dicembre 2023.