Presupposto per l'operatività del meccanismo in esame è che le parti che concludono la transazione abbiano comunque partecipato al giudizio.
Svolgimento del processo
1. Con ordinanza in data 22 marzo 2022, il Tribunale di Roma ha accolto l’opposizione proposta da P. ITALIANE SPA avverso il decreto ingiuntivo emesso a favore dell’avv. G. E. I., rigettando la domanda di quest’ultimo e gravandolo delle spese di lite.
2. Il decreto ingiuntivo era stato chiesto dall’avv. G. E. I. allegando di avere patrocinato M. P. in una controversia che vedeva quest’ultimo contrapposto a P. ITALIANE SPA e che si era poi conclusa con una conciliazione ed invocando, conseguentemente, l’applicazione dell’art. 68 L.P.F.
3. P. ITALIANE SPA aveva proposto opposizione ex artt. 28, L. 794/1942 e 14, D. Lgs. 150/2011, evidenziando;
- che la controversia con M. P. si era conclusa in primo grado con sentenza che condannava la stessa opponente alla rifusione delle spese di lite in favore del medesimo M. P., disponendo la distrazione a favore dei due difensori antistatari, tra i quali, appunto, G. E. I.;
- che, proposto appello da P. ITALIANE SPA, era intervenuta la conciliazione con M. P. e la Corte d’appello aveva definito il giudizio con declaratoria di improcedibilità del gravame, non essendo stato il medesimo notificato alla controparte, senza disporre in ordine alle spese del grado;
e quindi contestando l’applicabilità alla fattispecie dell’art. 68 L.P.F.
4. Il Tribunale di Roma ha accolto l’opposizione, rilevando che le spese del giudizio di primo grado erano state direttamente regolate dal Tribunale, mentre la Corte d’appello non si era pronunciata sul merito della controversia, e concludendo per la inapplicabilità dell’art. 68 L.P.F.
5. Per la cassazione della decisione del Tribunale di Roma ricorre ora G. E. I..
Resiste con controricorso P. ITALIANE SPA.
6. La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380 bis.1, c.p.c.
Il ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è affidato a due motivi.
2.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 68 r.d. 1578/1933 (L.P.F.); 2230, 2232, 2233 c.c.; 112, 434 e 348 c.p.c.
Il ricorrente censura la decisione nella parte in cui ha escluso l’applicabilità dell’art. 68 L.P.F. (nella versione ratione temporis vigente), argomentando nel senso della piena operatività del meccanismo di solidarietà previsto da detta norma, dal momento che la conciliazione sarebbe intervenuta nel corso del giudizio di appello – da considerarsi pendente per effetto del solo deposito del ricorso - sottraendo all’organo giudicante la possibilità di statuire sulle spese di lite.
2.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, n. 4, c.p.c. e degli artt. 118 disp. att. c.p.c. e 348 e 434 c.p.c.
Il ricorrente censura la decisione impugnata, in quanto la medesima sarebbe stata adottata con motivazione che non illustrerebbe il percorso logico e giuridico che avrebbe condotto il Tribunale alla statuizione finale.
3.1. Appare opportuno esaminare in primo luogo il secondo motivo, il quale è, tuttavia, infondato.
Giova rammentare che questa Corte a Sezioni Unite ha chiarito che la riformulazione dell'art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., disposta dall'art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. con Legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 delle preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che è denunciabile in Cassazione solo l'anomalia motivazionale che si sia tramutata in violazione di legge costituzionalmente rilevante, esaurendosi detta anomalia nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", e risultando invece esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 -Rv. 629830 - 01 e, da ultimo, Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 7090 del 03/03/2022).
Nessuna di dette carenze estreme risulta ravvisabile nella motivazione della decisione impugnata, la quale espone il proprio percorso argomentativo in modo sintetico ma comunque completo, univoco, comprensibile ed immune da affermazioni reciprocamente inconciliabili.
3.2. Passando all’esame del primo motivo di ricorso, lo stesso deve ritenersi infondato.
Parte ricorrente, nella propria memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c. richiama il precedente di Cass. Sez. 2 - Ordinanza n. 6135 del 01/03/2023, la quale, effettivamente, ha operato una lettura estensiva dell’art. 13, comma 8, L. n. 247/2012 e dell’art. 68, r.d.l. n. 1578/1933, concludendo nel senso dell’operatività del meccanismo di solidarietà in tutti i casi in cui la transazione sia conclusa - anche stragiudizialmente e senza assistenza legale - in pendenza del giudizio per il quale i professionisti erano tenuti a prestare assistenza, con la conseguenza che, se al difensore della parte vincitrice in primo grado sia stata rilasciata procura alle liti non limitata al primo grado di giudizio, nel caso in cui la lite sia stata transatta e abbandonata subito dopo la proposizione dell'appello, al pagamento dei suoi onorari è tenuta, in solido, anche la controparte appellante, soccombente in primo grado, nonostante che il difensore della parte appellata non abbia svolto, prima della transazione, alcuna attività.
In senso affine può richiamarsi altresì Cass. Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 21209 del 20/10/2015, secondo la quale in caso di transazione del giudizio, non sussiste la responsabilità solidale delle parti al pagamento degli onorari degli avvocati, prevista dall'art. 68 del r.d.l. n. 1578 del 1933, solo se la decisione contenga una statuizione del giudice sulla liquidazione delle spese senza che, invece, rilevi la ragione della definizione della causa (per cessazione della materia del contendere o per abbandono), poiché il presupposto per l'applicazione dell'art. 68 cit. è proprio l'esistenza di un accordo che sottragga al giudice anche la pronuncia sulle spese.
Ritiene tuttavia questa Corte di valorizzare altri propri precedenti, i quali hanno invece ritenuto di ravvisare, come presupposto per l’operatività del meccanismo di solidarietà, il fatto che le parti che concludono la transazione abbiano comunque partecipato al giudizio definito con la transazione medesima.
Così è nel caso di Cass. Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 3052 del 09/02/2021, la quale, nell’affermare che l'obbligo solidale di pagare le competenze professionali dei difensori, ex art. 68, r.d.l. n. 1578/1933, in caso di definizione della lite mediante transazione, grava su tutti coloro che abbiano aderito a quest'ultima ed abbiano partecipato al giudizio in tal modo definito, ha invece escluso che tale obbligo si estenda nei confronti di chi, pur prestando adesione alla transazione, non abbia però assunto la qualità di parte processuale.
Così è, parimenti, nel caso di Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4663 del 08/05/1998, la quale ha affermato che, ai fini dell’operatività della responsabilità solidale, è necessaria l' esistenza di un giudizio, nel corso del quale avvenga la transazione di esso, concludendo che, nel diverso caso in cui, per la mancata comparizione delle parti all'udienza di trattazione ed in difetto di idonea prova della costituzione del convenuto in cancelleria, il ricorso introduttivo di giudizio con il rito del lavoro sia dichiarato inefficace, viene meno uno dei presupposti per l’operatività della solidarietà.
Così è, infine, nel caso di Cass. Sez. 2, Sentenza n. 18343 del 13/09/2004, la quale ha, parimenti chiarito che presupposto ineludibile perché il difensore possa far valere per il pagamento degli onorari e per il rimborso delle spese l'obbligo solidale della parte avversa al proprio cliente è la sussistenza di "un giudizio" nel corso del quale le parti stipulino la transazione che lo definisca, senza soddisfare le competenze del professionista, e, pertanto, in un caso in cui l'accordo tra la lavoratrice ed il datore di lavoro era stato stipulato, con verbale di conciliazione ex art. 411 c.p.c., dopo che il giudizio tra le parti si era concluso in primo grado con sentenza avverso la quale, pur pendendo ancora il termine per proporre appello, nessuno dei litiganti aveva proposto gravame, ha escluso il vincolo di solidarietà in quanto, al momento della stipula della conciliazione non era in corso un processo effettivo ed attuale - e non potenziale -, e cioè non vi era un "giudizio" in atto, ossia un valido rapporto processuale ed un rituale contraddittorio.
Occorre, del resto, osservare che l’insieme di queste pronunce si pone in rapporto di piena armonia con il principio – da questa Corte costantemente affermato – per cui l’art. 68, r.d.l. n. 1578/1933, costituendo deroga alla regola generale secondo cui il difensore può rivolgersi esclusivamente al cliente per il pagamento dei compensi, ha natura di norma singolare, da interpretarsi, quindi, restrittivamente (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 16856 del 13/08/2015; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9325 del 20/09/1997; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8224 del 06/11/1987).
Finalità degli artt. 13, comma 8, L. n. 247/2012 e 68, r.d.l. n. 1578/1933, infatti, è quella di assicurare all’avvocato la regolare corresponsione del compenso per l’attività espletata, evitando che tale legittima pretesa venga ad essere compromessa dalla definizione conciliativa del giudizio e dalla conseguente assenza di una statuizione giudiziale sul regolamento delle spese di lite.
Proprio per tale ragione, tuttavia, è da ritenersi che presupposto per l’operatività delle previsioni in esame sia l’assunzione della veste di parte in capo al patrocinato ed il conseguente espletamento di concreta attività difensiva nell’ambito del giudizio; condizioni che, evidentemente, vengono meno nell’ipotesi in cui la parte neppure si costituisca in giudizio e la regolamentazione giudiziale delle spese di lite sia preclusa dalla ben diversa circostanza dell’assunzione di una decisione conseguente al radicale mancato instaurarsi del rapporto processuale.
Tornando, allora, al caso in esame, si deve rilevare che l’odierno ricorrente ha patrocinato il proprio cliente contro l’odierna controricorrente in un giudizio conclusosi in primo grado con la condanna di quest’ultima alla rifusione delle spese – peraltro con distrazione delle medesime a favore dello stesso odierno ricorrente - e che l’intesa transattiva – che non è chiaro se investisse l’intero giudizio o solo il gravame - è stata conclusa quando la stessa controricorrente aveva depositato – ma non notificato – ricorso in appello, senza, quindi, che l’appellato (cioè il cliente dell’odierno ricorrente) si fosse costituito, di talché il suddetto giudizio d’appello è stato definito con una declaratoria di improcedibilità senza nulla statuire sulle spese, non per l’intervenuta transazione ma per l’evidente ragione che, non essendosi l’appellato costituito, non vi era luogo alcuno ad adottare detta statuizione.
In tale scenario, invero, stante lo svolgimento nullo di attività difensiva da parte dell’odierno ricorrente e la definizione in mero rito della controversia in virtù della stessa mancata notificazione del ricorso in appello, appare evidente l’assenza radicale dei presupposti per l’operatività del meccanismo speciale di solidarietà a favore del patrono.
Si deve, allora, ritenere che il meccanismo di solidarietà di cui agli artt. 13, comma 8, L. n. 247/2012 e 68, r.d.l. n. 1578/1933 operi nei confronti dei soli soggetti che siano stati parte del giudizio e che invece lo stesso non operi qualora la transazione o l’accordo tra le parti intervengano quando, pur essendo formalmente pendente un giudizio, la parte il cui patrono viene ad invocare il suddetto meccanismo non si sia costituita e non abbia assunto, quindi, la veste di parte processuale, e, ulteriormente, il giudizio, privo di effettività ed attualità venga ad essere definito con pronuncia derivante proprio dal mancato instaurarsi del rapporto processuale pieno.
La decisione del Tribunale di Roma appare conforme ai principi testé illustrati, dovendosi per l’effetto disattendere la doglianza del ricorrente.
4. Il ricorso deve quindi essere respinto, con conseguente condanna del ricorrente alla rifusione in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
5. Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della "sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto", spettando all'amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020 - Rv. 657198 - 05).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a rifondere ai controricorrenti le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 1.700,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1- quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.